Vita e morte dell'unico uomo che avrebbe potuto uccidere Mussolini.
Lamiere e sangue, sabbia e cherosene, fumo nero ed odore di carne bruciata: è questo lo scenario che si presenta ai primi soldati che raggiungono l’ aereo schiantatosi a pochi metri dal campo T.2 di Sedi Azeis. La RAF ha appena attaccato l’antistante baia di Tobruk, cogliendo di sorpresa la difesa italiana, ma sembra che un apparecchio inglese ci abbia lasciato le metalliche penne. In realtà, tra i rottami in fiamme, si scorgono tre fasci neri su campo bianco, inconfondibile effige dei velivoli della Regia Aeronautica. La soddisfazione lascia presto spazio allo sgomento: l’aereo di Italo Balbo è stato abbattuto dal fuoco amico.
La carlinga brucia fino al mattino seguente, il 29 giugno 1940, quando i giornali italiani battono la notizia della morte in combattimento del Governatore della Libia. Ben presto però la verità viene alla luce e la trama del complottocomincia a serpeggiare tra le truppe, così come negli ambienti governativi e militari. Qui, il gerarca nativo di Quartesana nella campagna ferrarese aveva ormai pochi estimatori: se i contrasti con Mussolini ed i gerarchi del suo cerchio magico erano ormai noti all’interno del Gran Consiglio, anche i vertici dell’esercito malcelavano l’invidia nei suoi confronti.
“Un bell’alpino, un grande aviatore, un autentico rivoluzionario. Il solo che sarebbe stato capace di uccidermi”.
B. Mussolini su Italo Balbo
Infatti la fama di Italo Balbo aveva raggiunto una dimensione globale qualche anno prima, quando aveva condotto due storiche crociere atlantiche, divenendo il volto più celebre della Regia Aeronautica. Allo stesso tempo, sebbene non avesse frequentato alcuna accademia militare, soltanto i suoi più capziosi delatori avrebbero potuto considerarlo un parvenu dell’ars militaria, dati i suoi trascorsi durante la Grande Guerra. Infatti, a vent’anni, nel 1916 si era arruolato come sottotenente ed aveva servito in Carnia nel battaglione Val Fella degli Alpini.
Promosso tenente l’anno successivo, aveva raggiunto il Deposito Aeronautico di Torino per prendere parte ad un corso di pilotaggio, suafervente passione. Tuttavia lo sfondamento a Caporetto lo aveva costretto a tornare al fronte, dove aveva guidato il reparto d’assalto Alpini “Pieve di Cadore”, durante la controffensiva sul Monte Grappa. Prima dell’Armistizio di Villa Giusti, si era meritato una medaglia di bronzo e due d’argento al valor militare, oltre alla promozione al grado di capitano.
Balbo e la sua squadra ritratti a Venezia nel 1921.
Deposte le armi, aveva ripreso gli studi presso l’istituto fiorentino di scienze sociali Cesare Alfieri, dove si sarebbe diplomato con una tesi sul pensiero economico e sociale di Giuseppe Mazzini. Quindi aveva lavorato come giornalista ed era stato iniziato alla Massoneria italiana; nel frattempo si era fidanzato con la contessina Emanuela Florio, con cui si sarebbe sposato nel 1924 e che gli avrebbe dato tre figli. Nel 1921 aderì al PNF ed ottenne l’incarico di segretario del Fascio ferrarese, sezione che originariamente aveva sposato le cause rivoluzionarie di matrice futurista e socialista. In realtà, al crescere del potere di Balbo, le squadre da lui dirette sarebbero diventate sempre più il braccio armato dei padroni agrari e della borghesia conservatrice.
Nell’Emilia Romagna che ancora ardeva per l’incendiario Biennio Rosso, egli organizzò una serie di cruente azioni repressive contro le Leghe contadine, tenendo spesso sotto scacco i prefetti stessi. Sempre in camicia nera, tra gli squadristi si vociferava addirittura che Balbo fosse l’ideatore della “cura” dell’olio di ricino da somministrare ai nemici politici. La sua notorietà crebbe rapidamente dopo la presa del Castello Estense e l’occupazione di Ravenna, azioni seguite da rappresaglie che misero a ferro e fuoco le basi anarchiche e rosse della Romagna. Soltanto a Parma le sue squadre vennero respinte dalla tenacia degli antifascisti locali, supportati dai reparti del regio esercito.
Le barricate dietro a cui si asserragliarono gli abitanti del quartiere Oltretorrente di Parma.
La ritirata non diminuì la stima riposta in lui da Mussolini, a cui Balbo aveva mostrato che il potere si sarebbe potuto ottenere manu militari, o quasi, di fronte ad uno Stato liberale ormai inerme. Così, il 28 ottobre 1922, era tra i quadrunviri che organizzavano le camicie nere dirette verso Roma. Ambizioso, carismatico e risoluto: la sua carriera all’interno del partito era ormai in rapida ascesa. Mentre a Ferrara allestiva un enclave di amici e collaboratori fidati, nella capitale prendeva parte alle sedute Gran Consiglio del Fascismo, prossimo alla nomina di comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, il corpo militare in cui sarebbero state inquadrate le incontenibili squadre d’azione.
Qualche mese più tardi fu accusato di essere il mandante della letale aggressione contro Don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta appartenente al Partito Popolare e punto di riferimento per gli antifascisti della zona ferrarese; dopo un iter processuale estremamente complesso, prima chiuso e poi riaperto in seguito al “delitto Matteotti”, Balbo fu prosciolto dalle accuse, masi dimise dalla MVSN.
Nel 1925 le conseguenti polemiche non interferirono con la sua investitura a vicesegretario del Ministero della Regia Aeronautica, istituito due anni prima. Il gerarca coronava cosìil sogno di gioventù, solo accarezzato durante la Prima Guerra Mondiale, quando i cieli erano teatro delle gesta del cavallino rampante di Francesco Baracca, di D’Annunzio e del suo istrionico alfiere Guido Keller.
La fierezza nello sguardo di Francesco Baracca, asso dell’aviazione italiana.
Ben presto, nell’immaginario collettivo l’aeronautica divenne l’arma d’eccellenza del regime, mentre la produzione di velivoli costituiva il fiore all’occhiello dell’industria italiana. Temerari e disciplinati, guasconi, ma votati al sacrificio: i piloti rappresentavano gli eroi dei ragazzini ed i sogni proibiti delle fanciulle, seppur promessi sposi della Nera Signora. Soprattuto i cavalieri dell’aviazione incarnavano quel sincretismo di futurismo, arditismo e fiumanesimo con cui la propaganda cercava di definire il carattere dell’uomo nuovo fascista.
Durante il Ventennio, le classi popolari si avvicinarono alla boxe, al ciclismo e al calcio, mentre l’alta borghesia e l’aristocrazia si invaghirono degli aeroplani. Tanto più che, dopo gli esordi civili nel 1911 e l’impiego bellico, l’aviazione italiana era diventata la disciplina più estrema nei motorsports. Tale declinazione sportiva si accentuò ulteriormente, quando proprio Balbo organizzò il primo giro d’Italia in aereo nel 1931, due anni dopo la stesura del Manifesto dell’aeropittura futurista.
NOI FUTURISTI DICHIARIAMO CHE:
1. Le prospettive mutevoli del volo costituiscono una realtà assolutamente nuova e che nulla ha di comune con la realtà tradizionalmente costituita dalle prospettive terrestri;
2. Gli elementi di questa nuova realtà non hanno nessun punto fermo e sono costruiti dalla stessa mobilità perenne;
3. Il pittore non può osservare e dipingere che partecipando allo loro stessa velocità ;
4. Dipingere dall’alto questa nuova realtà impone un disprezzo profondo per il dettaglio e una necessità di sintetizzare e trasfigurare tutto;
5. Tutte le parti del paesaggio appaiono al pittore in volo: a) schiacciate; b) artificiali; c) provvisorie; d) appena cadute dal cielo.
6. Tutte le parti del paesaggio accentuano agli occhi del pittore in volo i loro caratteri di: folto; sparso; elegante; grandioso;
7. Ogni aeropittura contiene simultaneamente il doppio movimento dell’aeroplano e della mano del pittore che muove matita, pennello o diffusore;
8. Il quadro o complesso plastico di aeropittura deve essere policentrico;
9. Si giungerà presto a una nuova spiritualità plastica extraterrestre.
Soprattutto, in quegli anni pionieristici, i piloti nostrani conquistarono numerosi primati mondiali, tentando imprese sempre più pericolose. Tra le tante, nel 1925 il leggendario Francesco De Pinedo compiva il raid andata-ritorno Sesto Calende – Melbourne, percorrendo 55000 km su un idrovolante Savoia Marchetti; un anno dopo il capitano De Bernardi faceva sua la Coppa Schneider, il principale trofeo per idrovolanti, segnando per due volte il record di velocità.
Ancora, nel 1928 Arturo Ferrarin, già artefice del volo Roma-Tokyo ispirato dal sodalizio tra D’Annunzio ed Harukichi Shimoi, infrangeva i limiti umani e meccanici: prima stabiliva il record di durata di volo in circuito chiuso, in simbiosi con il suo monomotore per quasi 59 ore, poi volava da Roma a Touros in Brasile, percorrendo la più lunga tratta senza scali di sempre.
Avendo conseguito il brevetto di volo nel 1926, certamente Balbo non poteva limitarsi a fare da spettatore, così desideroso di dare lustro al regime di fronte alla platea mondiale, ma ancor di più di soddisfare la sua adrenalinica passione. Dopo aver condotto una squadriglia di 58 idrovolanti su Francia e Spagna, alla testa di 37 velivoli raggiunse Odessa nel 1929, dove i Sovietici gli tributarono una trionfale accoglienza.
Una cartolina ritrae gli S55 in formazione.
Al ritorno in Italia, venne nominato Ministro dell’Aeronautica e dedicò tempo e risorse allo sviluppo del settore, il cui quartier generale era il palazzo a Castro Pretorio. Presso Guidonia, la Città dell’Aria rappresentava un centro all’avanguardia di livello mondiale per le ricerche nel campo aeronautico, un polo in cui si formavano piloti, ingegneri, meccanici e marconisti. Tuttavia, soltanto gli addetti ai lavori erano in grado di riconoscere il valore di questi tecnici, così Balbo progettava come sedurre la scena mondiale.
In primis decise di compiere la prima crociera transatlantica, un volo di 10400 km suddiviso in sei tappe: il 15 gennaio 1931 la folla celebrava gli ultimi idrovolanti che planavano nelle acque del golfo di Rio de Janeiro. Un clamoroso successo, nonostante nel tragitto si fossero persi tre velivoli, per un bilancio di cinque vittime.
L’entusiasmo sudamericano parse poco più di una vasta sagra di paese di fronte all’apoteosi che si celebrò il 12 agosto 1933, quando venticinque idrovolanti si adagiavano sulle morbide increspature del Lago Michigan; la trasvolata sull’Atlantico del Nord era partita un mese e mezzo prima e, dopo aver toccato quattro tappe, concludeva la sua ultima tratta di fronte ai cittadini di Chicago, che a migliaia si erano assiepati sui moli. Qui Balbo, il copilota Cagna ed il resto dell’equipaggio furono ricevuti come autentici eroi.
Balbo gaudente durante la sfilata sul viale di Broadway a New York.
Addirittura il gerarca sfilò lungo i viali di Broadway e fu ricevuto a Washington dal presidente Roosvelt. Sulla via del ritorno , al Madison Square Garden tenne un discorso per salutare la comunità italiana, che però gli concesse la parola soltanto dopo mezz’ora di acclamazioni. Nel frattempo Mussolini seguiva l’itinerariocon l’animo stretto tra l’orgoglio e l’apprensione, ben consapevole del prestigio che stava conseguendo il gerarca, che rischiava così di oscurare la fama stessa del Duce.
Probabilmente tali pensieri tormentavano la sua mente, anche durante il ricevimento della gloriosa squadriglia ad Ostia. Tra le numerose foto che ritraggono l’evento, una risulta particolarmente eloquente: il Capo del Governo mostra un sorriso tirato ed il suo sguardo tradisce l’imbarazzo, mentre l’iconico pizzetto del pilota è illuminato da un ghigno quasi mefistofelico; gli occhi di Balbo fiammeggiano di fronte a nuovi orizzonti di conquiste.
Mussolini sorride forzatamente al fianco di Balbo.
L’impietoso confronto fotografico spinse Mussolini a riconsiderare la sua immagine pubblica. Via la camicia nera, avrebbe sfoggiato l’alta uniforme militare, offerto il petto nudo al Sole benedicente il grano ed ovviamente avrebbe indossato il giubbotto di pelle d’aviatore. Sopra ogni altra cosa, avrebbe modificato i suoi rapporti con Balbo, gerarca divenuto decisamente troppo scomodo da gestire.
Così, dopo averlo promosso Maresciallo dell’Aria, lo allontanò dai giochi di potere di Palazzo Venezia nominandolo governatore di quell’immensa scatola di sabbia, ufficialmente nota come Libia. Altrettanto significativa fu la decisione di escluderlo dalle operazioni di preparazione all’invasione dell’Etiopia.
Dal canto suo, Balbo aveva beninteso i mutati umori del Duce, verso cui la stima si era ormai guastata irrimediabilmente. Dal gennaio 1934 si dedicò alla valorizzazione della colonia libica, dove fu favorita l’integrazione tra indigeni e colonizzatori, tra musulmani e cristiani. In particolare vennero restaurate moschee e costruita una scuola superiore coranica; in seguito l’ammiccamento al mondo dell’Islam fu colto da Mussolini che si professò difensore del credo del profeta. Sempre in Libia furono potenziate le infrastrutture, tra cui spiccavano i 1800 chilometri della Via Balbia, nuova litoranea che collegava il confine orientale ed occidentale.
L’Arco dei Fileni, tra Cirenaica e Tripolitania, lungo la Via Balbia nel 1939 (Istituto Luce)
Nonostante il netto ridimensionamento delle sue ambizioni di carriera militare, Balbo non perse occasione per manifestare il suo dissenso verso la politica estera stabilita da Mussolini. In particolare aveva sconsigliato di intervenire al fianco di Franco nella guerra civile spagnola, impegno che avrebbe sottratto preziose risorse alle truppe italiane.
Infatti il Regio Esercito era stato provato dall’avventura coloniale e necessitava di una profonda riorganizzazione; i modelli Savoia Marchetti rappresentavano davveroun’eccellenza a livello mondiale, ma la limitata produzione, insieme alla scarsa integrazione con le forze di terra e di mare, ne avrebbero limitato l’efficacia in un conflitto su vasta scala.
Di fronte al Gran Consiglio Balbo non esitò a condannare l’avvicinamento alla Germania nazista, dove anche il braccio destro di Hitler, Hermann Goering, era stato un decorato pilota durante la prima Guerra Mondiale. La firma del Patto d’acciaio pose le basi per l’emanazione delle leggi razziali, provvedimento che fu contestato dal Corriere Padano, quotidiano fondato da Balbo nel 1925. Il direttore della testata ferrarese, uno dei più autentici giornali di fronda dell’epoca, era Nello Quilici; tra i più stretti collaboratori di Balbo, condivise con lui anche anche l’ultimo volo.
«Quando il principio del sangue non si spiritualizza, ma se ne fa questione da naturalisti, si cade in quella barbarie odinica, animalesca e barbara che stupì in antico i Romani e stupisce oggi le genti civili vedendola riesumata e glorificata in Germania».
Corriere Padano del 2 Marzo 1934 (1)
Tuttavia ogni tipo di dissenso fu ridotto al silenzio dal MinCulPop e la contestazione si limitò al folclore. Si racconta dell’episodio in cui Balbo spalancò la porta del più rinomato ristorante di Ferrara, con una poderosa pedata; portava sottobraccio il prefetto Ravenna, amico fraterno, ormai allontanato dal pubblico incarico perché ebreo. Quando il 10 giugno 1940l’Italia entrava in guerra al fianco delle potenze dell’Asse, il governatore della Libia stava definendo la strategia difensiva agli ordini del Capo di Stato Maggiore Graziani: i confini libici apparivano troppo vasti per truppe che non disponevano di sufficienti rifornimenti, e nemmeno di mezzi motorizzati.
Nemmeno venti giorni dopo, Balbo decollava da Derna in direzione Sidi Azeis per effettuare una ricognizione del campo T.2. Insieme a lui, sul trimotore c’erano altri sette tra amici, familiari e collaboratori. Poco tempo prima, con un’azione spettacolare ed efficace, era riuscito a catturare uno dei Desert Rat di Sua Maestà, una manovra tattica che prometteva di sopperireal divario negli armamenti dei due eserciti. Verso le 17, un’incursione a sorpresa degli Inglesi metteva a soqquadro la difesa della baia di Tobruk, mentre l’S79 si avvicinava alla sua destinazione.
Una squadriglia di “Savoia Marchetti 79” in volo sul Mediterraneo.
Il sole calante alle spalle complicava il riconoscimento delle insegne dei velivoli da terra mentre, dall’aereo che lo accompagnava, il generale Porro faceva segno di provare una manovra alternativa, per evitare di trovarsi tra gli attaccanti e gli attaccati. TuttaviaBalbo non se ne rese conto, oppure semplicemente non ne ebbe il tempo. Si immagina che avesse gli occhi puntati sulla pista di atterraggio, appena devastata dai bombardieri della RAF; gli stessi che qualche ora più tardi gli avrebbero reso omaggio, con un messaggio recapito proprio sul luogo dello schianto.
«Le forze britanniche esprimono il loro sincero compianto per la morte del Maresciallo dell’Aria Italo Balbo, un grande condottiero e valoro aviatore che conoscevo personalmente e che il fato pose in campo avverso».
Sir Arthur Laymore
Ai tempi, la freddezza mostrata da Mussolini al ricevimento della notizia e nelle successive cerimonie in memoria dei caduti aveva alimentato sinistri sospetti, ma oggi, grazie ad approfondite opere di inchiesta come “Tobruk 1940- Dubbi e verità sulla fine di Italo Balbo” di Folco Quilici, è possibile smentire le ricostruzioni complottistiche. L’aereo su cui viaggiavano il Maresciallo dell’Aria ed i suoi compagni fu colpito verosimilmente dalle raffiche di una mitraglia italiana, sistemata a terra oppure sul ponte del sottomarino segretamente impiegato nella baia di Tobruk.
La confusione conseguente al blitz inglese, aggravata dai danni riportati nel sistema di comunicazione, in aggiunta alle scarse condizioni di visibilità ed al mancato ordine di cessare il fuoco, possono spiegare il drammatico incidente. Tuttavia, rimane irrisolto il mistero delle trenta pagine strappate dal diario di campo tenuto da Nello Quilici, un prezioso frammento sull’ultima settimana di Italo Balbo.
L’articolo è liberamente ispirato alla puntata “Italo Balbo, il volo fascista” di A. Orbicciani e F. Petrelli, del programma RAI “Correva l’anno” (2016).
Nota (1): testo tratto da p.118 di “Tobruk 1940 – Dubbi e verità sulla fine di Italo Balbo” di Folco Quilici (Mondadori, Milano 2015).
Nell’immagine di copertina, tratta dal sito raicultura.it, Mussolini premia Balbo in divisa da aviatore.