Il costo dei biglietti cresce a tassi doppi rispetto quello degli stipendi o del costo della vita. Anatomia di un problema che attanaglia il calcio moderno.
Guardarsi una sacrosanta partita di pallone è ormai diventato un mestiere nel quale bisogna essere anche piuttosto scaltri per riuscire ad incastrare tutti gli impegni. Anticipo del venerdì, anticipi del sabato alle 15, alle 18 e alle 20.30 (quel quarto d’ora che avete voluto cambiare quanto vi stava antipatico?). Quello del pranzo della domenica, il posticipo delle 18 infilato tra le tradizionali partite post abbuffata e posticipo serale. E ancora quello del lunedì, poi martedì e mercoledì Champions League, giovedì Europa League quando il venerdì ricomincia tutta la tiritera. Tutto questo tra le legittime lamentele di mogli, madri e giovani innamorate che abbozzano davanti alla nostra insaziabile esigenza. In più, da quest’anno c’è anche il problema su dove sia possibile vederle. Sky, Dazn: questioni mercantili, per carità, però così ci fate diventare matti.
Che il calcio sia una malattia lo sapevamo, ma voi ce la trasformate in qualcosa di cronico. Allora si prova ad evadere da questo traffico mentale così stressante, si chiamano i soliti tre quattro amici e ci si organizza per andare a vederla dal vivo, questa benedetta partita. Ma anche qua, c’è un bell’ostacolo. Perché se questa lotta commerciale – che poi lo è solo agli occhi dei poveri tifosi – poteva avere il risvolto positivo di far disdire qualsiasi tipo di abbonamento alle pay tv e spendere quei soldi per riservarsi un seggiolino allo stadio, ci hanno pensato le società a far rimettere sciarpe e cappelli nell’armadio.
“Stadio nuovo l’unica cosa che dovete fare è: curva senza anelli ad un prezzo popolare!” recitava uno striscione esposto in curva Sud a Roma in un aprile di quattro anni fa. Negli ultimi dieci anni i prezzi in curva, per quanto riguarda l’AS Roma, sono aumentati di circa settanta euro. Un singolo biglietto per la Curva Sud in una partita di cartello si aggira sui quarantacinque. Mentre se sei un ospite, per la stessa partita ne servono sessanta. Non poco. L’esempio più lampante e tragico è rappresentato dalla Juventus: il costo di un abbonamento in curva è arrivato a cinquecento novantacinque euro. Ve lo scriviamo in numeri, così rimane meglio in testa: 595 euro. La banale giustificazione è sempre la stessa: stadio di proprietà (come anche quello del Sassuolo che costa 155 euro ma, vabbè, questione di obiettivi), giocatori megagalattici che ogni anno sbarcano a Torino e quant’altro.
La classifica di calcio giocato, almeno per le prime due posizioni, rispecchia anche quella del calcio pagato: dopo la Juventus, viene il Napoli. Quello stesso stadio, che venne definito come cesso dal presidente Aurelio De Laurentiis, non tende però ad invogliare il tifoso a comprare un abbonamento: lo scorso anno per la curva servivano 355 euro – quest’anno la società non ha indetto gli abbonamenti poiché l’impianto sarà sottoposto a manutenzione per arrivare preparato all’evento Universiadi 2019. A proposito, all’inizio di dicembre il club partenopeo è stato condannato dal Tribunale civile di Napoli poiché è stato riscontrato il pagamento del biglietto a prezzo intero per due ragazzi under 14. Secondo la legge, almeno per metà degli eventi stagionali tutti coloro che sono al di sotto di questa età hanno diritto ad entrare gratuitamente allo stadio, in qualsiasi settore ed in qualsiasi manifestazione, che sia questa nazionale o internazionale. Tale anomalia, chiamiamola così, è stata verificata in più stadi d’Italia, dimostrazione di quanto le società abbiano a cuore di riportare le famiglie allo stadio.
In questa particolare classifica, troviamo un outsider sull’ultimo gradino del podio. È infatti a Ferrara che si registra il terzo abbonamento in curva più caro con 335 euro, più di Inter, Milan e Fiorentina, oltre che delle già citata Roma. Ma lo scorso anno era in buona compagnia, anzi pessima: il Benevento dei record negativi si faceva pagare ben trecento euro un abbonamento in curva. Quest’anno, invece, con dieci euro di meno ti accaparri quello per la curva del Frosinone. Affare! Venghino siori venghino! Analizzati questi numeri, non si può neanche giustificare il tutto con ciò a cui mirano queste società, dato che a quanto pare un abbonamento per una squadra che lotta per la retrocessione costa esattamente quanto quello di un che gioca in coppa campioni, se non di più.
Se pensate che la situazione sia drammatica, non avete capito nulla. L’abbonamento, in teoria, è una sorta di meccanismo win-win. Io società offro la possibilità a te, tifoso, di risparmiare qualora avessi l’intenzione di venire a vedere tutte le partite della tua squadra: piuttosto che pagare partita per partita, ti garantisco un posto ad un prezzo più conveniente ed io, società lucrante, ho la (semi) certezza che tu, tifoso pagante, venga a sostenerci. E, soprattutto, ti prometto attraverso campagne mediatiche berlusconiane che quest’anno dobbiamo alzare l’asticella e che per farlo abbiamo bisogno proprio del tuo appoggio, caro tifoso. Non fai l’abbonamento? Ok, allora ti alzo il prezzo sul biglietto singolo.
Questa è la ratio seguita da molte società italiane. Un esempio l’abbiamo avuto proprio negli ultimi tempi. Per Lazio – Inter di fine maggio scorso, valida per l’arrivo in Champions, un tagliando nel settore ospiti costava sommariamente quindici euro in meno rispetto a quello di circa un mese fa. Qual è il senso? Il concetto è piuttosto semplice: sostanzialmente, le società vogliono un certo tipo di pubblico. Uno di quelli che può spendere e che della partita, o meglio del suo esito, interessa relativamente. Poco pathos e tanto entertainment.
Si cerca sempre di arrivare ad un compromesso tra società e tifosi, ma spesso non ci si riesce. Se da una parte troviamo una sorta di accordo tra le due rivali di sempre quali Inter e Juventus, che hanno deciso di fissare il prezzo dei settori ospiti a 50 euro sia al Meazza che all’Allianz, dall’altra si paga 75 euro per assistere ad un Milan – Juventus dal terzo anello. Anche qui, ci chiediamo il perché non si riesca a giungere perlomeno ad un’equità. Un altro esempio è recente: 65 euro per assistere a Juventus-Roma nel settore ospiti dell’Allianz. Più un altro centinaio di euro per il treno, più vitto e alloggio. Più o meno un totale di 200/220 euro ed eccolo lì che una trasferta diventa un fine settimana a Parigi.
Ma se siamo incazzati noi italiani, pensate quanto possa esserlo un tifoso inglese. Il calcio più bello del mondo è per pochi. E sì, gli stadi sono sempre pieni perché se il campionato vale allora attira tutti, soprattutto turisti. Questa teoria non ve la stiamo improvvisando noi ma un giocatore reale di calcio, personaggio che viene in nostro aiuto. Il capitano del Manchester City – squadra che fa da portabandiera a questa politica di business – Vincent Kompany si è laureato in Business Administration con una tesi che si è posta l’obiettivo di dare una soluzione molto complessa: rendere ancora più appetibile la Premier League. Il che a primo impatto sembrerebbe piuttosto difficile, dato il seguito di persone che ha questo campionato. Invece, secondo il giocatore belga, con una semplice riduzione del costo dei biglietti si tenderebbe ad includere, nuovamente, anche quella stessa working class, letteralmente cacciata dagli stadi dalla politica tatcheriana, ed avere così uno stadio realmente amico e appassionato a colori e storia della squadra.
<< È un’analisi da punto di vista del business. Se qualcuno va allo stadio pensando “Adoro questo club, voglio sostenere questo club”, farà più rumore. Ed è dimostrato che questo è un fattore vantaggioso per la squadra di casa. Con un pubblico del genere si vincono le partite. Per ogni sterlina che abbassi il prezzo del biglietto, se riesce a recuperarla nel “fattore casa”, forse non avrai una perdita >>
Se a dirlo è un addetto ai lavori, fa sicuramente più scalpore. Ma provocò discussione anche la protesta dei tifosi reds di Liverpool di quasi tre anni fa, quando con contestazioni plateali all’interno dello stadio fecero capire che non era più sostenibile continuare su strada intrapresa dalla società. Durante la partita casalinga contro il Sunderland, infatti, i tifosi decisero di uscire dallo stadio al minuto 77 per contestare il prezzo di un biglietto arrivato a costare, appunto, ben settantasette sterline. Circa ottantasei euro, per tradurvela istantaneamente.
Quell’insofferenza venne compresa. Così si decise, anche attraverso l’appena arrivato Jurgen Klopp che vestì i panni di interlocutore, di non aumentare i prezzi. Se dalla proletaria Liverpool si alza il coro Football whitout fans is nothing, dalla Germania si alza invece quello Kein Zwanni, che letteralmente viene tradotto con Niente venti euro. Questo movimento, appoggiato tra gli altri dai tifosi di Dortmund, Hertha Berlino e Bayern Monaco, si pone l’obbiettivo di fissare i prezzi dei biglietti per i posti in piedi a massimo venti euro e per quelli seduti a cinquanta. Prezzi sostenibili, insomma. Mentre in Germania fino a qualche anno fa, ai tempi di Pep Guardiola in Baviera per intenderci, i costi erano ancora bassi ma tendevano all’inflazione, in terra d’Albione sono già, da anni, schizzati alle stelle – di media sulle sessanta sterline a partita.
Tanti soldi, troppi soldi. Ci troviamo di fronte al problema della tutela del tifoso, che dovrebbe essere l’art. uno dello statuto delle regole dello sport. L’aumento dei prezzi per andare a vedere una partita non è soltanto un fenomeno locale, bensì globale. Anche la Uefa, ad esempio, ha deciso di far dare una bella impennata ai costi dei tagliandi. Lo scorso anno, il giornale Il Romanista portò avanti una campagna di sensibilizzazione molto importante contro i costi, assurdi, di un biglietto per la trasferta dei tifosi giallorossi a Barcellona. Di questo appello rivolto alla Uefa se ne parlò anche oltreoceano, sul New York Times.
L’importanza sociale di questo sport non è ancora compresa a sufficienza, per non dire che non si vuole comprenderla affatto. Per un qualsiasi individuo, alienarsi all’interno della propria squadra significa abbandonare il resto e alleggerirsi. Che si vinca o si perda, quell’individuo è comunque felice di poter andare a liberare la mente dalle turbe personali e poter condividere quell’amore che lo lega ad altre migliaia di persone a lui sconosciute. La passione, qualsiasi passione, non si misura dal fatto che quell’individuo sia il padrone della fabbrica oppure l’operaio della stessa. D’altronde ce lo ripetete costantemente anche voi: il calcio è di chi lo ama. Non contradditevi.