Non ci sono più le bandiere, ma neanche gli uomini.
A riassumere la vicenda Milan Skriniar è stato un perfetto Beppe Marotta: «non si possono più immaginare le bandiere nei club, esistono delle dinamiche tali in cui i calciatori cambiano casacca frequentemente», ha detto l’amministratore delegato prima della sfida di Coppa Italia tra Inter e Atalanta. «Dobbiamo abituarci a questo tipo di calcio, che è un po’ lontano da quello romantico e fatto di sentimenti. Certamente non è quello che gradiamo noi né quello che gradiscono i nostri tifosi, però abbiamo a che fare con dei professionisti. Skriniar – ha concluso – ha fatto una scelta che rientra nei suoi diritti e noi abbiamo il dovere di rispettarla».
Un caso che, soprattutto in questi giorni, si collega a quello – be più grave e meno “professionale” – di Niccolò Zaniolo, escluso dal progetto tecnico della Roma dopo aver preteso la cessione ma rifiutato l’unica offerta concreta arrivata al club, ovvero quella del Bournemouth. Due situazioni differenti, ma accomunabili alla radice; non tanto nel perché delle scelte bensì nel come sono state prese, quelle scelte. Senza alcun pensiero, rispetto o riconoscenza per chi in questi anni li aveva valorizzati e difesi, esaltati e protetti, aspettati (nel caso di Zaniolo e dei suoi due crociati) e resi simboli (in quello di Skriniar, con la fascia di capitano).
Sia quando era giusto farlo, sia quando lo era un po’ meno.
Tanto per fare un paragone: lo scorso anno Gleison Bremer, ex capitano del Torino – seppur bistrattato e accusato di tradimento –, nella consapevolezza di dover abbandonare la Mole da lì a pochi mesi firmò un rinnovo di contratto in modo tale che la dirigenza granata potesse incassare circa 50 milioni di euro. Una forma di rispetto che non ha avuto Skriniar, ormai ex capitano dell’Inter, che ha invece preferito tacere quando in realtà aveva già l’accordo con il Paris Saint Germain, dove sbarcherà in estate a parametro zero.
Per non parlare di Zaniolo, che ha gestito la sua rottura con la Roma nel modo più ottuso, arrogante e irrispettoso che si potesse immaginare. Prima autoescludendosi dalla trasferta di La Spezia e forzando la mano per la cessione, strappando così con i compagni e l’ambiente; poi pretendendo solo la destinazione che più lo soddisfacesse, in mancanza però di un’offerta soddisfacente per il club; quindi creando un enorme problema tecnico ed economica alla squadra, privata di un titolare e impossibilitata ad acquisirne un altro sul mercato per il settlement agreement quadriennale firmato con la UEFA e i paletti del Fair Play Finanziario.
Il tutto nella fuga ‘obbligata’ da Roma, laddove l’esasperazione dei tifosi aveva fatto traboccare il vaso della civiltà in inseguimenti, minacce, insulti alla famiglia, con il risultato che, adesso, Zaniolo non può più uscire tranquillamente nella città che per anni lo aveva atteso e amato – malgrado le prestazioni, non certo esaltanti, e i numeri, rivedibili (tre gol in Serie A nelle stagioni 2021/2022 e 22/23) degli ultimi tempi. Forse è proprio per questo, per il timore a ritornare nella Capitale, che prima lo spezzino aveva valutato una causa all’As Roma per “mobbing e pressioni psicologiche” – secondo quanto riporta il Messaggero; poi ha invece deciso di ritornare sui suoi passi, scrivendo una “lettera d’amore” ai tifosi e tendendo «la mano alla famiglia della Roma».
Una gestione pessima, assai peggiore di quella di Skriniar. Eppure, in entrambi i casi, ci saremmo potuti risparmiare tante prese in giro semplicemente dicendo la verità. «I tifosi dell’Inter mi conoscono» giurava uno a settembre; «Voglio continuare a vincere con la Roma», gli faceva eco l’altro pochi giorni dopo. Il tutto tra baci alla maglia e proclami di appartenenza. Quattro mesi dopo, entrambi hanno tentato la fuga nelle ultime ore di mercato. Ebbene lasciateci dire – malgrado un comunicato in cui la Curva Nord spiega, «dopo aver parlato con il difensore», di «non prendere posizione contro la sua scelta di lasciare l’Inter» – che i tifosi non meritano questo:
non meritano di essere presi per i fondelli né meritano comportamenti come quelli di Zaniolo e Skriniar.
Che poi, sia chiaro, qui non c’è spazio per la morale spicciola. Chi ci legge e conosce da tempo lo sa, non siamo mai stati di quei pauperisti che si stracciavano le vesti per i privilegi dei calciatori, né abbiamo mai ceduto alla retorica (da bar sport) per cui gli operai si spezzano la schiena per 1400€ al mese e quindi i calciatori dovrebbero solo mangiare merda, con quello che guadagnano. Spesso anzi abbiamo preso le parti dei giocatori, soprattutto negli ultimi due anni, quando sono stati costretti a giocare partite su partite, competizioni su competizioni, con tempi di recupero inesistenti, infortuni multipli e riposi azzerati. Però, a tutto c’è un limite.
Oggi l’impressione, anzi la certezza, è che nel grande calcio si sia definitivamente rotto il legame tra popolo (i tifosi) ed élite calcistica (i giocatori). E che anzi i calciatori vivano in un mondo chiuso, autoreferenziale, esclusivo, nel quale sono venuti meno non solo i sentimenti di attaccamento al club ma anche quelli di riconoscenza e rispetto verso società e tifosi. Nel quale non si deve più minimamente rendere conto al proprio pubblico dei propri comportamenti, lo stesso pubblico che ha consentito di diventare grandi, che li ha esaltati e difesi, che li ha valorizzati e ha creduto in loro quando magari nessun altro lo faceva (il caso di Zaniolo).
Poi, naturalmente, ci sono tutte le ragioni del mondo: nessuno può permettersi di giudicare un difensore di quasi 28 anni a cui hanno promesso venti milioni alla firma e nove (forse otto, forse dieci) all’anno, né si può incolpare quello che, secondo media e giornali, è un astro nascente del calcio italiano per la sua volontà di cambiare squadra e di crescere altrove. Il problema è il come, con trame nascoste e orchestrate da procuratori e consiglieri senza scrupoli morali, i quali fanno (e dicono) di tutto per farsi detestare da quante più persone possibile.
Sorprende infine, a noi che siamo ancora un po’ troppo romantici, che tanto amore non abbia lasciato nulla.
Non gli striscioni, non i cori, non il supporto incondizionato nei momenti più bui, neanche la grande considerazione di club come Inter e Roma sono serviti per ricevere in cambio trasparenza. Si chiedeva solo quella, niente più. E un comportamento corretto da due giocatori che erano stati eretti a simboli: chi con la fascia di capitano al braccio, chi venendo paragonato ai più grandi del passato romanista.
La ferita comunque si riassorbe, lasciando da parte i sentimenti per la razionalità. Più difficile sarà per Inter e Roma gestire i loro casi: rinunciando in entrambi i casi a una monetizzazione fondamentale (le due squadre, a proposito del settlement agreement di cui prima, sono le due italiane con gli accordi più stringenti con la UEFA) e, nel caso della Roma, anche a un titolare, per giunta ora che la stagione entra nella sua fase più calda e fitta. Skriniar e Zaniolo però sono persone adulte, “professionisti” si dice oggi, e hanno tutto il diritto di fare le loro scelte e ascoltare i consigli che ritengono più opportuni. Poi, però, non ci stupiamo se i tifosi reagiscono in certi modi: l’ultima spiaggia prima di non credere più in niente e nessuno.