Immobile, Insigne e Verratti: da Zeman a Mancini.
Quando un chirurgico destro a giro di Emmanuel Cascione fissava il definitivo 0-6 di Padova-Pescara, il 20 aprile del 2012, una telecamera particolarmente indiscreta indugiava sul viso solcato di Zdenek Zeman in panchina, scoprendone gli occhi lucidi. Le lacrime venivano inibite a fatica dal tecnico boemo, uomo stoicamente non avvezzo alle emozioni ma in quel momento vittima della bellezza da lui stesso generata. Quella partita fu uno dei manifesti più esaltanti per gli zemaniani di tutto il mondo, e senza i miracoli di Perin – ai tempi al Padova – sarebbe finita 9 o 10 a 0.
Una partita simbolo di una stagione inebriante, forse l’ultima vera epopea di Zeman e di quel gioco gioiosamente spavaldo, sincero nelle intenzioni, verticale e atletico, costruito su quelli che al tempo erano solo giovani di belle speranze come Ciro Immobile, Lorenzo Insigne (autori di una doppietta a testa in quella serata) e Marco Verratti. Proprio loro, oggi tre capisaldi della Nazionale di Roberto Mancini all’Europeo, la spina dorsale di una squadra che è stata costruita considerando anche la loro vecchia, magica intesa. Un’intesa oggettivamente già fuori scala per la Serie B, che solo Zeman avrebbe potuto far esprimere in questa maniera così esplosiva e genuina.
Sono passati quasi 10 anni da quella stagione incantata. Ciro Immobile, all’epoca solo un ventunenne di prospettiva di proprietà della Juventus, viene da tre gol in due anni con le maglie di Siena e Grosseto, ed anche il suo prestito a Pescara sembra destinato a rimanere un’esperienza fugace da passare in panchina: nelle gerarchie pre-stagionali, infatti, Ciro parte dietro allo storico bomber Marco Sansovini e all’altro juventino in prestito, Riccardo Maniero. Anche il ventenne Lorenzo Insigne arriva all’Adriatico per fare esperienza: nonostante un’ottima stagione in Lega Pro nel Foggia, a Napoli non lo ritengono pronto per il doppio salto di categoria e così viene spedito in B al Delfino, riabbracciando lo stesso allenatore che lo aveva avuto in rossonero l’anno precedente.
Marco Verratti al contrario è nato e cresciuto a Pescara: con i biancazzurri ha esordito in Lega Pro tre anni prima, quando aveva appena 15 anni, e viene da un’ottima stagione in B con Di Francesco in panchina, che lo schiera spesso vertice alto del centrocampo, rifinitore alle spalle dei terminali offensivi. Qualcuno a Pescara inizia a chiamarlo “Il Messi dell’Adriatico”, ma il suo destino tattico verrà cambiato per sempre proprio in quella stagione.
L’annuncio di Zdenek Zeman come nuovo allenatore del Pescara solletica la mente di molti tifosi in estate: memori dell’impronta craterica lasciata da Giovanni Galeone, al boemo appena arrivato viene chiesto se, dopo Il profeta, lui possa essere il papa straniero:
«Io vorrei dare soddisfazione alla gente, e spero che ci riesca».
Risponderà in perfetto stile zemaniano. Il tredicesimo posto dell’anno precedente non lascia però molti margini per ambizioni superiori ad un campionato tranquillo, con qualche soddisfazione casalinga ed il bel gioco promesso da Zeman. La prima amichevole della stagione è un 2 a 2 contro la Real Sociedad condito da trame spumeggianti e i primi schizzi di talento di Lorenzo Insigne. Con l’inizio del campionato, ben presto ci si accorge di essere di fronte ad una squadra destinata a lottare per la vittoria finale.
Marco Verratti, spostato come perno davanti alla difesa, è leader tecnico e baricentro della squadra, Ciro Immobile sembra nelle condizioni di poterla buttare dentro in qualsiasi maniera e Lorenzo Insigne, che con Sansovini completa il trio offensivo, semplicemente dipinge calcio cominciando a far degustare i suoi destri a giro, all’occorrenza morbidi assist o mortifere parabole sul palo lontano. I tre si amalgamano alla perfezione nel contesto ultra-offensivo e verticale apparecchiato dal boemo: la costante ricerca della profondità di Immobile si incastra egregiamente con i tagli di Insigne e le imbucate improvvise di Verratti. Le attenzioni dei piani superiori vengono attirate in fretta e chissà, magari tra gli osservatori arrivati a sbirciare il Delfino c’era anche qualche emissario di Roberto Mancini, ai tempi al Manchester City. Di sicuro, vedendoli giocare oggi in azzurro sotto la sua guida, un pensiero a Zeman il Mancio l’avrà fatto.
Rivedere i gol segnati di quella cavalcata – saranno 90 in tutto, di cui 28 di Immobile e 18 di Insigne – fa profeticamente assaporare quale sarebbe stato il destino dei tre: di Ciro Immobile in primis, con le sue corse pulsanti in verticale e la sua lucidità nel trovare la traiettoria giusta in ogni occasione. Il lob flautato contro il Vicenza o questo cioccolatino quasi dalla linea di fondo contro il Gubbio lasciano presagire che c’è del potenziale nella futura Scarpa d’Oro.
Lorenzo Insigne invece in quella stagione è semplicemente imprendibile per i difensori della B: questo gol al Bari è griffato da una giocata fuori da ogni schema, mentre il tiro piazzato sul palo lontano inizia a diventare il suo marchio di fabbrica. I due si trovano a meraviglia, imparano a sincronizzare i movimenti ed a giocare per la squadra, sublimando la loro intesa dentro e fuori dal campo.
Dietro di loro Marco Verratti è il fosforo della squadra: l’arretramento posizionale ne esalta il dinamismo e le letture, consacrandolo già ad uno dei maggiori prospetti europei nel ruolo. Il lancio vellutato per Insigne contro il Torino o il blitz offensivo con assist per Caprari contro la Sampdoria rendono l’idea di quanto Verratti sia migliorato giocando qualche metro più indietro. Proprio la trasferta di Genova contro la Samp è la partita che regala al Pescara la Serie A: di lì in poi, per i tre giovani prospetti, sarà un’escalation verso i grandi palcoscenici del pallone.
Con la maglia azzurra né Ciro, né Lorenzo né Marco hanno saputo riesumare le magie di quell’anno prima della gestione Mancini. Nessuno degli allenatori precedenti (Prandelli, Conte, Ventura) li ha considerati prioritari per incastonarli in un contesto che li esaltasse contemporaneamente. Eppure, nei rispettivi club negli anni hanno continuato a dimostrare di essere imprescindibili. Con Prandelli al Mondiale brasiliano giocarono a tratti e mai insieme; Conte e Ventura invece non li potevano incasellare né nel 3-5-2 né nel 4 -4- 2.
Solo Roberto Mancini ha cominciato a schierare titolari tutti e tre regolarmente, con i risultati che possiamo apprezzare: 7 gol per Immobile, 5 per Insigne, 2 per Verratti e 57 presenze totali prima dell’Europeo. Si è visto così qualche sprazzo di quell’alchimia unica che si era generata l’anno di Zeman a Pescara, e non a caso il boemo era in tribuna all’Olimpico nel 3 a 0 alla Turchia con cui l’Italia ha aperto l’Europeo. Chissà che dopo il terzo gol di Lorenzo Insigne su assist di Ciro Immobile, questa volta lontano da telecamere indiscrete, quelle lacrime trattenute a fatica a Padova non siano finalmente sgorgate.