La bici procede cigolando sulla strada di terra battuta, mentre il suo metallico lamentarsi è subissato dal frinire delle cicale. In fondo alla pineta, verde galleria di pini marittimi, un puntino cobalto si allarga ad ogni pedalata. È il primo pomeriggio, il momento migliore per godersi il russare del mare. Nessun marmocchio in giro, né simposio di pettegolezzi da bagnasciuga o tentazione di giunoniche forme: soltanto ombra per nascondersi dal Sol Leone, il blu di fronte ed un libro tra le mani. Ad ogni riga, le palpebre si appesantiscono ed il richiamo di Orfeo diviene più insistente.
Boia di un mondo ladro! un tavolino trema e le tazzine da caffè sobbalzano, mentre l’improperio si propaga nel silenzio della spiaggia semi-deserta, seguito da irripetibili maledizioni rivolte allo sciagurato socio. Nell’ombra della veranda del lido, un asso è stato sperperato malamente e la partita è persa: impossibile mantenere la serenità nella sconfitta alle carte. Dai baretti inghiottiti dalla nebbia nella Bassa Padana alle piazze dei paesini del Meridione, dove i muri sono bianchi ed i vestiti delle comare neri, i giochi con le carte sono assoluti protagonisti e la loro tradizione viene onorata da almeno seicento anni!
La loro comparsa affonda le radici nella leggenda, ma secondo le fonti storiche il primo mazzo nella Penisola è databile alla seconda metà del 1300. Probabilmente derivate dalla carta moneta cinese, facendo correre la fantasia potremmo ipotizzare che siano un fortunato lascito della spedizione di Marco Polo. In realtà, per quanto ne “Il Milione” la minuziosa descrizione delle valute circolanti nel Catai diano credito a romantiche ricostruzioni, più verosimilmente le carte hanno seguito le rotte mercantili verso Occidente attraverso la Persia, e sono sbarcate sui moli nostrani su navi che trafficavano con i Mamelucchi egiziani.
Secondo un’altra tesi, le carte da gioco discenderebbero da rari lingotti romani, detti aes signatum, contrassegnati da un sole o un’aquila, una spada, un bastone ed una coppa. Quest’ultima tesi ad oggi è priva di fonti concrete, ma sicuramente alimenta l’alone di mistero che ne ammanta l’origine. Quel che invece risulta inopinabile è il successo conseguente alla loro diffusione, per cui sono diventate una delle cifre dello stile di vita italiano, nonché mediterraneo. Oggi la storia delle carte da gioco raccoglie l’eredità del corso della Storia dalle Alpi alla Sicilia, verace cartina tornasole delle evoluzioni politiche e sociali che hanno segnato l’Italia.
Ludus tresseptem a tribus septum nomen accept, qui in eo tresseptem tres punctos comuniter valent.
Lo juoco de lo tressette piglia sto nomme da tre sette, pecchè a lo tressette scopierto, è pe revola ca tre sette fanno tre punte.
Il gioco del tressette prende nome da tre sette, perché nel gioco scoperto tre sette di norma valgono tre punti. (1)
Proprio Venezia e Napoli, due dei massimi poli di irradiazione di italianità, sono state anche tra i principali centri di diffusione dei giochi con le carte. Ancora oggi nel silenzio delle calli e nelle corti sconte, lontano dalle frenetiche orde di turisti, i riflessi delle verdastre acque dei canali restituiscono le sagome dei Lagunari, che si smarriscono in eterne partite di Tressette. Allo stesso modo, nelle antiche basi della Serenissina nell’Adriatico, all’ombra di cattedrali romaniche con campanili che guardano a Piazza San Marco, gli anziani ricordano l’italiano e chiamano striscio e busso.
Nei vicoli della Partenope del 1600 invece, il Chitarrella raccoglie le fonti per stilare i codici De regulis scoponis e De regulis ludendi ac solvendi in treseptem, primi regolamenti scritti in latino sui giochi con le carte. Negli stessi bassifondi, della Roma papalina però, il Caravaggio rende le odierne carte da poker protagoniste di uno dei capolavori del suo realismo: ne’ I Bari due ceffi imbrogliano un malcapitato damerino nel gioco dello zarro, di origine persiana e già bandito da un editto del Duca di Milano del 1531, perché ritenuto socialmente pericoloso.
Regola XIII
Avaritia semper adversa, in chartis autem est perversa.
L’avarizia è sempre na brutta cosa ma a le carte porte pregiudizio.
L’avarizia è sempre un male; nelle carte poi è fatale. (2)
Carte da poker, si diceva, o meglio francesi, che insieme a quelle di derivazione tedesca, spagnola ed ovviamente italiana, raccontano le mire espansionistiche di sovrani e condottieri stranieri, ammaliati dalle ricchezze e bellezze delle nostre città. A proposito, nel ‘500 le malfamate schiere di Lanzichenecchi avevano portato nella Penisola morte, peste ed il gioco della Zecchinetta; quattro secoli dopo, il nome non suona nuovo ai lettori di Sciascia, che lo mutua in soprannome per uno dei personaggi de “Il giorno della civetta”, proprio per la passione nutrita per il gioco.
Così le varianti regionali dei tradizionali quattro semi, coppe, denari, bastoni e spade, traggono ispirazione dal coevo gioco dei Tarocchi e descrivono il risiko di repubbliche, stati e regni che componevano il nostro territorio durante il ‘700. Nel Risorgimento a calare l’asso è la mano di Cavour, che sfrutta le buone carte del compagno di coppia Garibaldi, tra i cui uomini si diffonde la Briscola, il gioco che contribuirà a fare l’Italia e poi gli Italiani da Nord a Sud.
Agli inizi del ‘900, Antonio Gramsci si sofferma sull’antitesi tra il neonato football ed il tradizionale Scopone, popolare discendente della Scopa; l’intellettuale sardo riconosce il valore sociale dell’innovativo passatempo di genia britannica, mentre condanna la totale mancanza di etica e le frequenti derive violente del gioco da osteria. Con il senno del poi, possiamo affermare che entrambi i giochi siano entrati di diritto nella cultura degli Italiani, anche se oggi le conclusioni di Gramsci andrebbero forse invertite.
Dalla tela al romanzo, fino alla pellicola: nella seconda metà del Novecento è la settima arte a celebrare il culto delle carte nel costume della Prima Repubblica. Nel 1972 “Lo scopone scientifico” è uno dei capolavori di Comencini, geniale cineasta della commedia italiana; tuttavia, per quanto rimangano iconiche le scene in cui Alberto Sordi e Silvana Mangano sperano nella mano fortunata per cambiare la loro esistenza, è una fotografia di dieci anni più tardi a fissare lo scopone nell’immaginario degli Italiani, sportivi e non. Sul DC9 che riporta la Nazionale a casa dal Mundial di Spagna, il presidente Pertini e Zoff sfidano Bearzot e Causio, mentre sul tavolo troneggia la Coppa del mondo appena sollevata al cielo di Madrid.
Quattro amici attorno ad un mazzo di carte, l’occhio impiccione di un intruso, il colpo di genio ed uno sguardo di complicità per innescare la commedia: è proprio al tavolo del Bar Necchi che i protagonisti di Amici Miei mettono in atto uno delle beffe più irriverenti del film, ovvero lo scherzo al pensionato Righi. Ma prima delle goliardiche zingarate, Adolfo Celi già architettava le oscure trame dell’organizzazione Spectre; così in “007 Thunderball – Operazione Tuono” affronta l’impeccabile Sean Connery a blackjack. Nonostante lo sfoggio delle corna rivolte all’ingiù, la più italica delle invocazioni rivolte alla Dea Bendata, nulla può contro la fortuna sfacciata di Mr Bond.
Regola XVII
Quaerere de chartis vitiosum, illas monstrare perniciosum.
Lagnarese de le carte è bizio; mmostrarele è pericoluso.
Lagnarsi delle carte è vizio; mostrarle è pericoloso. (3)
Oggi le carte continuano a rappresentare gli attimi di evasione durante attese infinite, oppure l’unica attività agonistica praticabile durante bollenti pomeriggi estivi; il passatempo di gruppo sul ponte di un traghetto che avanza nella notte mediterranea, o l’epilogo di una serata in veranda, tra il fumo delle sigarette, bicchieri di digestivi caserecci e nugoli di voraci zanzare. A chi non è mai capitato di salutare una nuova alba vestendo il ruolo di “amico del giaguaro”? Al Bar Sport, la partita a carte è la più valida alternativa a noiose rassegne stampa ed avventati discernimenti tattici, tra calici di frizzantino e pagine spiegazzate di quotidiani.
Allo stesso tempo, nelle partite a carte ritroviamo lo scontro generazionale, quando la scettica esperienza degli anziani affronta la smaniosa sfrontatezza dei giovani, così come la tradizione che si tramanda, quando un nonno insegna il solitario preferito al nipotino. Tra smorfie ed occhiolini, ammiccamenti e linguaggi cifrati, attorno ad un tavolino nascono nuovi amori e si spezzano cuori, si corroborano amicizie e si rompono sodalizi, si prega ed impreca, esulta e soffre.
Regola XXVII
Astutus certe ludens, est frigidus et ridens.
Lo jocatore malezejuso sta sempre indifferente.
Il giocatore astuto gioca sicuro, freddo e sorridente. (4)
Durante l’ultima nefasta primavera, i numerosi episodi di irriducibili vecchietti sorpresi a giocare a carte, nonostante i divieti di assembramento, testimoniano il valore di questa tradizione nella cultura degli abitanti della Penisola. Per quanto sia un passatempo trasversale per età e ceto sociale, senza dubbio questo gioco è più frequentemente associato proprio alla terza età ed alle giornate infinite dei pensionati. Nelle giungle di cemento urbane, mentre arranchiamo per raggiungere uffici, aule ed altri luoghi di coercizione, spesso ci capita di vederli: sono ai tavolini fuori dalla bocciofila, oppure dietro alla vetrata del bar più popolare del quartiere; in inverno vestono coppola, piumino e pantaloni di velluto a coste, in estate sfoggiano polo o camicia a maniche corte, con calzature che variano dallo zoccolo al sandalo con il calzino.
L’estetica ce li rende simpatici, ma in genere è la tenerezza il sentimento prevalente, per via dell’aspetto che ai nostri occhi palesa la loro inadeguatezza per un mondo che corre troppo veloce. In realtà, mentre siamo al semaforo, oppure bruciamo le suole sul marciapiede, dopo esserci lanciati giù dall’autobus, li osserviamo con invidia e nostalgia. Vederli giocare a carte evoca una promessa dell’ozio del fine settimana, l’eco delle agognate ferie estive, infine un punto interrogativo in coda alle domande sul nostro futuro. Ogni tanto, alzando gli occhi dal tavolo, a loro volta ricambiano il nostro sguardo con compassione. Sono mariti, padri e nonni, lavoratori che hanno dato gli anni migliori alla famiglia ed alla fabbrica; prima dell’ultimo viaggio, si godono gli amici di sempre con le carte in mano, ritornando un po’ bambini.
Vivace aggregazione ed amore per il quieto vivere, intraprendenza e spirito avventuriero, maliziosa furbizia e genialità polivalente, sono alcuni dei caratteri delle nostra gente che vengono rivelati dal gioco delle carte, passatempo arcitialiano per eccellenza. Scopa, Rubamazzo, Maraffone, Poker, Burraco, Scala 40 e via discorrendo: da quando l’unità d’Italia era un lontano ricordo di retaggio augusteo e nemmeno un sogno nella mente di focosi nazionalisti, su questa benedetta terra mescoliamo il mazzo, “lo tagliamo” e prendiamo in mano le carte. Consci dei nostri pregi e difetti, di popolo ed individuali, affrontiamo ogni partita con una sola raccomandazione: di fronte alle incertezze che ci può riservare un mazzo di carte, o meglio la vita, il vero errore non è giocare una carta sbagliata, ma non giocarla nemmeno.