Estero
17 Aprile 2025

In cosa è cresciuta l'Inter di Inzaghi

Non è una statistica, è un modo di essere.

Ad una prima e rapida occhiata, Inzaghi più che maturare sembra regredire, di partita in partita, ad un’età della fanciullezza magari creativa, ma ancora nervosa e incontrollata. Le sue ormai celeberrime – pure troppo – invasioni di campo, ben oltre i limiti imposti dall’area tecnica, sono diventate argomento di dibattito nel nostro Paese, nascondendone di fatto l’essenza profonda: l’esser mossi da una sorta di spirito divino. Le invasioni di campo di Inzaghi sembrano conseguenza dell’invasione spirituale che questo allenatore, come l’elettricità attraverso un conduttore, trasmette ai suoi ragazzi.

Ecco in cosa è davvero cambiata l’Inter, a nostro avviso. Rispetto al più recente passato – l’ultima, e anche la precedente edizione della Champions, fino alla finale poi persa col Manchester City – la squadra di Inzaghi ha forse meno soluzioni davanti, e sembra dipendere parecchio (eufemismo) dai lampi di Lautaro Martinez, a proposito di divina energheia. Soprattutto, le trame avvolgenti che hanno imposto il divieto dell’epiteto inzaghino per riferirci all’allenatore piacentino se non sono scomparse sono quantomeno diluite.

Ad un certo punto della stagione, si potrebbe dire dopo il 3-0 del Franchi, ma forse anche prima, Inzaghi si è reso conto di una cosa: nelle difficoltà tattiche, la reazione non può venire dal gioco, ma dall’atteggiamento.

Sembra una banalità: non lo è affatto, soprattutto per un allenatore ancora giovane come lui. “Noi non siamo stati bravi a reagire”, aveva detto Inzaghi. Risultato? Dopo quella debacle, l’Inter ha ricominciato a macinare punti, prendendosi la testa della classifica in Serie A – una sola sconfitta dal 6 febbraio, contro la Juventus allo Stadium – e facendosi largo tra le grandi d’Europa con piede stabile e braccio forte. 0-2 col Feyenoord sul difficilissimo campo del De Kuip, 2-1 a San Siro per chiudere la pratica. 1-2 stoico all’Allianz Arena di Monaco, 2-2 ieri sera a San Siro per ottenere il pass alle semifinali della massima competizione europea.

Giocando come? Benissimo? Magari all’andata anche, perché i due gol nerazzurri sono stati degni di nota. Ma è nell’atteggiamento la chiave. Al pareggio di Müller, l’Inter si è ributtata nella metà campo avversaria sfruttando sì i clamorosi buchi di un Bayern Monaco simbolicamente rappresentato dal cappelletto stile NFL di Vincent Kompany – allenatore di uno dei club più importanti del mondo senza attuali meriti sportivi – ma con una veemenza e una rabbia che si sono riflettute nella vena gonfia di Davide Frattesi dopo il gol del 2-1 a pochi istanti dalla fine.

Così Sebastiano Vernazza, nel suo pezzo di commento alla partita uscito oggi sulla Rosea, ha potuto scrivere: “di rabbia e di sofferenza, di tenacia e di resistenza. […] L’Inter sta in Europa come un vascello dentro le tempeste, ama battagliare con le onde grosse“.

Anche ieri, dopo la rete di Harry Kane, su atteggiamento a dir poco passivo della difesa nerazzurra, chi si aspettava – gran parte della Penisola gufante – un Bayern sereno nel dominio del campo ha dovuto fare molto presto i conti con la realtà. L’Inter non si è disunita, cosa che forse in passato non sarebbe accaduta. Meglio, ha preso la difficoltà come casus belli per cannoneggiare verso la porta di Urbig. E allora, 1-1 di Lautaro Martinez da corner, pochi secondi dopo l’occasionissima di Thuram (uno dei peggiori, pensate un po’). 2-1 Pavard, poco dopo il tiro di Darmian miracolosamente deviato in corner da Dier in scivolata. Totale: 4 occasioni nitide da rete create dopo il gol di Kane. Laddove qualsiasi altra squadra si sarebbe spaventata, l’Inter ha reagito. E lo ha fatto con una qualità che, naturalmente, non va sottovalutata.



Il centrocampo dei nerazzurri, per caratteristiche e assortimento, è al momento tra i migliori d’Europa – forse solo l’Arsenal, con Rice, Odegaard e Merino, può competervi. L’attacco non sarà stellare quanto le altre tre squadre ancora in lotta per il titolo (Arsenal, appunto, PSG e Barcellona, prossima avversaria dell’Inter), ma può contare sul miglior attaccante del torneo: Lautaro Martinez, trascinatore e leader tecnico dei nerazzurri.

Dietro, dulcis in fundo, l’Inter rimane – delle 4 finaliste – la miglior difesa con appena 5 gol subiti. Per farvi capire, l’Arsenal di Arteta (forse la favorita al momento, soprattutto per come ha battuto il Real Madrid) ne ha presi 7, il PSG 14, il Barcellona addirittura 17. Come abbiamo scritto ad inizio articolo, le statistiche contano fino ad un certo punto. Non però se associate a – o conseguenza di – un atteggiamento dell’anima famelico, a tratti spiritato, sempre connesso con la partita, che l’Inter di Inzaghi sta dimostrando di avere. Una sorpresa solo per chi si basa sui freddi numeri, senza indagare le profondità dell’animo umano.

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