Che belli, i bei vecchi tempi in cui invadere il campo era il gesto più situazionista, spoliticizzato, anarco-invidualista che ci fosse. Mezzi matti che scavalcavano le barriere ed entravano nei terreni di gioco, spesso correndo a più non posso, con gli steward che li rincorrevano cercando di braccarli e gli si lanciavano addosso spesso mancandoli (in sketch di una comicità impagabile). Vere e proprie schegge impazzite che lo facevano per visibilità, per follia, al massimo per toccare qualche giocatore, sicuramente non per impartirci lezioni di morale.
Da un po’ di tempo invece è nata la figura dell’invasore di campo che sensibilizza. Anche lui, anche l’invasore.
Questo verbo, ormai diventato il mantra delle nostre società e una raccomandazione per tutte le categorie. Ormai pure le rockstar sensibilizzano mandando a fanculo Putin – che anticonformismo, che coraggio! – e figuriamoci se non potevano farlo gli invasori di campo. L’ultima notizia risale all’altroieri, alla semifinale del Roland Garros, quando unaragazza è entrata sul terreno di gioco legandosi alla rete per protestare contro il climate change – lo stesso contro cui lotta Thorsby. Il volto serioso e implacabile, il braccio alzato neanche fosse in missione per il Führer, il messaggio scritto sulla maglia: «ci rimangono 1028 giorni», quelli prima che il pianeta esploda o qualcosa del genere. Risultato, partita interrotta, e i poveri Cilic e Ruud costretti a tornare negli spogliatoi fino a quando la ragazza non è stata “liberata” e portata via di peso dagli addetti della sicurezza – come Sgarbi a suo tempo dal parlamento.
Ma questa non è la prima volta che i campi vengono invasi da gente che ci vuole insegnare a vivere: era già successo sempre con il climate change nel 2019 in Svizzera, quando un gruppo di attivisti di “Fridays for future” era entrato sul rettangolo verde di Berna – prima della finale di Coppa tra Basilea e Thun – sventolando cartelli con fuoco e fiamme, sdraiandosi a terra e invitando tutti a partecipare al successivo sciopero per il clima. E sempre per ragioni ambientali un ragazzo, durante Everton-Newcastle di tre mesi fa, si era anch’egli legato al palo con una fascetta per protestare contro l’estrazione di petrolio nel Mare del Nord.
Per non parlare del tizio che era entrato in campo prima del fischio d’inizio di Germania-Ungheria ad Euro 2020, rigorosamente immascherinato, allo scopo di sventolare una bandiera arcobaleno in faccia a quei cattivoni omofobi dell’Ungheria – e per giunta durante il loro inno nazionale!
Insomma pure l’invasore di campo, ultimo vero ribelle senza causa dei tempi moderni, eroe senza mantello e situazionista purosangue, ha finito per diventare un pesantone moralista. Una triste parabola la sua, che prima ha dovuto rinunciare alla possibilità di diventare immortale perché immortalato dalle telecamere – le quali hanno scelto di staccare e non inquadrarlo più, nemmeno la decenza di premiare il coraggio di questo sovversivo dell’esistenza – poi è mutato antropologicamente nel figlio adolescente che non vorremo mai avere, quello con la camera piena di poster di Greta Thunberg e che ci fulmina con lo sguardo se mangiamo una fettina.
Che noia, ragazz*. Sempre tutti così corretti, sempre messaggi edificanti, sempre cittadini impegnati, attivisti per qualsiasi cosa e per qualsiasi causa. Tutti così seriosi, drammatici e teatrali. Ma facciamoci una risata, che ci allunga la vita. Che poi siamo sempre in tempo per cambiare. Guardate Zelensky, che da comico è diventato premier di una nazione poi in guerra. Noi dobbiamo solo fare il percorso inverso.