Caressa sale in cattedra, improvvisandosi professore di matematica, geometria e anche filosofia (già che ci siamo).
Oggi si tocca vette elevatissime. Si ragiona sui massimi sistemi, altro che cazzarissime questioni di pallone. E a introdurci lungo questo sentiero non poteva che essere Fabio Caressa, che quando ci si mette pare il fratello illegittimo di Alberto Angela. E ciò che è più, tutto quanto avviene nel bel mezzo di una partita di calcio. Cioè quando state lì a sfogare i vostri istinti più beceri, e urlate contro il televisore per l’episodio che vi ha fatto saltare i nervi. E lì lui v’infilza in contropiede piazzandovi un numero da lezione liceale di Scienze Naturali. Una sensazione scioccante. Di quelle che vi fanno sentire delle merde, come quando scoprite che a una festa tutti indossano giacca e cravatta e voi invece vi siete presentati calzando le vecchie Tepa Sport. Parte il pippone di Caressa, e voi smarriti vi girate verso i vostri compagni di divano per chiedere: “Ma chi minchia ha fatto zapping su Rai Educational?”. Per l’ennesima volta è successo domenica 21 gennaio, nel corso della telecronaca di Atalanta-Napoli su Sky Sport. Si era nei minuti di recupero e l’arbitro Orsato aveva appena annullato il gol dello 0-2 segnato da Hamsik. Caso al limite fra regolarità e irregolarità, così come era già stato in occasione del gol decisivo di Mertens. E dopo aver visto il replay Caressa ha prodotto una performance verbale che purtroppo non posso mostrarvi con l’ausilio delle immagini perché la mannaia di copyright scatta immediata, come è successo nelle scorse puntate. Posso soltanto trascrivere ciò che ha detto, e mettere il video in archivio a disposizione di chi volesse vederlo. Ecco qui la mirabilia:
“Eccolo… sai che mi sa che ce n’è uno alto?… secondo me eh…[s’inserisce Beppe Bergomi: “Mezza spalla?”]…testa e… testa e mezza spalla, però proprio… bah, insomma… poi, c’è un po’ di discrepanza, eh?,…[mugugno incomprensibile, ndr] VAR… questi sono problemi di calcolo delle macchine, in quello VAR c’è sempre qualche centimetro di vantaggio del fuorigioco, cioè la linea, diciamo del nostro sistema è sempre leggermente più spostata verso il gioco [sic!], la loro verso il fuorigioco, diciamo, è un… non è una cosa che si fa, è un calcolo di proiezioni orto… ortogonale della macchina [abbassa la voce, come per evitare che un’eventuale cazzata la sentano in troppi, ndr], credo che sia quello [abbassa ulteriormente la voce e smozzica le parole, consapevole che ormai la figura di merda è agli atti, ndr], ortogonale credo che sia…”.
Immenso! E il bello è che non finisce mica qui. Prima della telecronaca di Inter-Roma (con una serie di performance di Daniele Word Cloud Adani da Test di Rorschach: ne parleremo nella prossima puntata) lo stesso Caressa è andato in video per annunciare al volgo che nel post-partita sarebbe stata fatta un’approfondita analisi sulle immagini del gol di Mertens. Confesso che non ho avuto animo d’infliggermi quello spettacolo, ma in compenso l’ho registrato. Sbobinerò dopo che mi sarò scolato un’intera bottiglia di vodka al peperoncino. Però, viste le anticipazioni, direi che in confronto l’esperimento del Pendolo di Foucault sarà parso una partita a scopa.
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Si rimane su Atalanta-Napoli ma si cambia completamente registro. Perché dal Mondo di Quark si passa al Parnaso, guidati dalle parole del vate Antonio Giordano. Che sul Corriere dello Sport-Stadio di lunedì 22 gennaio l’ha raccontata così:
L’ultima dea è un'”invincibile” corazzata che da quindici mesi se ne va su e giù per l’Italia a mostrare il suo fascino, a scacciar via qualche fantasma, a lasciar evaporare eventuali ombre ed a liberarsi delle streghe e delle paure apparse qua e là (…).
Ma non sentite l’aria sublime della Grande Poesia? E allora respirate un altro po’ a pieni polmoni:
La Grande Bellezza, stavolta, rimane scolpita nella periferia di una partita cerebrale, un esempio di lucidità e (pure) d’organizzazione difensiva, la dimostrazione d’una varietà d’interpretazione che il Napoli, nella sua maturità, sa esprimere ora ch’è necessario deliziare e autorevolmente dominare (…)”.
So già come s’intitolerà la summa poetica del Vate: “Scolpita nella periferia d’una partita cerebrale“.
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Qualcuno su Twitter mi ha fatto giustamente notare che fin qui non ho parlato di Matteo Dalla Vite, della Gazzetta dello Sport. Giusta osservazione, perché Dalla Vite dovrebbe essere presenza fissa in questa rubrica. Colpa imperdonabile alla quale rimedio immediatamente dandovi un saggio del suo talento. Ecco cosa ha scritto, parlando dell’attaccante juventino Mario Mandzukic, nell’edizione di lunedì 22 gennaio:
Mario è l’uomo per tutte le stagioni: adesso che Dybala non c’è, poi, non ha nemmeno più il tarlo nel cappotto della titolarità.
Il tarlo nel cappotto della titolarità. Che non è come la periferia d’una partita cerebrale, ma certo è un buon inizio. Di sicuro meglio di ciò che scrive un altro gazzettaro, Andrea Elefante. Che nell’edizione del 22 gennaio ha iniziato così l’articolo su Sassuolo-Torino:
È tornato – lo speriamo tutti – Berardi: ricomparso quasi all’improvviso, ricordandosi nei pochi attimi usati per costruirsi il fantastico 1-1 di avere un grande futuro alle spalle e di essere capace di segnare gol così.
Andrea Elefante è l’unico al mondo capace di piazzare un’incidentale fra due trattini dopo due sole parole di un incipit. E poiché doveva proprio voler bene a Berardi, ecco cosa ha scritto nel giudizio che correda il 7 in pagella:
Media fra un pre-gol molle e dunque da 5, un gol da 9 e un post gol da rivitalizzato dopo 10 gare di digiuno.
In molti hanno ritenuto di identificare lo stile di Andrea Elefante con quello di Lillo Matangi, l’immaginario giornalista della Gazzetta inventato da Luigi Garlando per il romanzo Cielo manca. Francamente non sono d’accordo. Fra i due non mi pare ci siano grandi somiglianze. E poi Lillo Matangi scriveva molto meno peggio di Andrea Elefante.