Il rosso e il verde. I colori del Marocco, i colori di Casablanca.
“Se cercate l’avventura, venite a incontrarla qui”. L’estrapolato più celebre di una pietra miliare cinematografica; Casablanca, storico film del 1941 con protagonista Humphrey Bogart. Logicamente, la fama della città crebbe mano a mano col successo della pellicola, malgrado non sia stata girata nemmeno lì. Eppure, a oltre mezzo secolo di distanza, una motivazione dapprima impensabile sta legittimando quella nota frase riguardo la città di Casablanca. Certo è che di cose ne sono cambiate dalla guerra: chi la governa, soprattutto. Il Marocco è stato privato del proprio passato, vittima illustre del colonialismo francese. Con l’indipendenza, il Regno ha ritrovato un’identità concreta, in un tajine composto da sefarditi e musulmani, berberi e arabi, mare e montagna, Africa ed Europa. Le teste coronate marocchine, nel tempo, hanno saputo rispolverare la propria cultura facendone una risorsa, fonte immensa di turismo globale.
Con una ricchezza maggiore rispetto al resto del Maghreb, nel corso del novecento il Marocco si è potuto permettere un’invasione militare, annettendo difatti, senza mezzi termini, il Sahara Occidentale. I fattori citati hanno creato un reame facoltoso, sostentato dai turisti e da un’espansione territoriale e sociale. Il reame si è però sviluppato a spese di chi è restato ancorato alla tradizione. A non troppi chilometri dalla Sicilia del letterato, le città marocchine hanno assunto volti differenti in relazioni al processo subito. E se nelle zone montuose del Rif o della costa atlantica, agricoltura e pesca restano i costumi principali, Casablanca, la più popolata della Nazione, ha reagito in maniera ambivalente al nuovo corso. Una metropoli da oltre 4 milioni di abitanti affacciata sull’oceano, centro nevralgico del Paese e del continente intero.
Unica nell’ospitare chiese, sinagoghe, e un’imponente moschea, erta dal sovrano Hassan II nel 1993, e fra le più grandi al mondo. Una città colma di hotel e resorts lussuosi, locati prevalentemente lungo la splendida Corniche, dove tutto riporta a un periodo estivo di assoluto exploit. Basta poi girare l’angolo, per comprendere la portata del divario cittadino. Il Rosso e il Verde, i colori delle due squadre, fusi nello smog di una città caotica e brulicante di tensioni politiche e sociali. Di rosso vestito è il Wydad, compagine fondata nel 1937 come polisportiva particolarmente interessata al nuoto, la cui denominazione corrisponderebbe all’arabo “amore”. L’intento era di permettere sia a musulmani che ebrei l’accesso alle piscine locali, controllate, come il resto, dal protettorato francese. Volente o nolente, l’Wydad si elevò così a simbolo della lotta anti colonialista.
Hadj Mohamed Benjalloun, uomo chiave nella completa indipendenza marocchina, inaugurando la sezione calcistica wydadi, la prima ufficiale in Marocco, inglobò il sentimento indipendentista. In un lasso di tempo brevissimo, la formazione s’impose nella Botola, il campionato marocchino, conquistando 19 scudetti, 9 coppe e 2 Champions League africane. Facile dedurre l’influenza del Wydad nelle alte sfere politiche. Discorso differente per quel che riguarda il Raja. Un’allegra compagnia teatrale, evolutasi d’un tratto, nel 1949, e divenuta squadra di calcio. Le Aquile Verdi si limitarono semplicemente ad un’esistenza riservata, come piccola squadra di quartiere, voce pallonara della zona a maggioranza popolare di Derb Sultan.
Il Raja soffre la potente concorrenza, attendendo un trionfo giunto soltanto nel 1988. La rilevante svolta del Raja si riscontra con l’avvento del Terzo Millennio: 11 scudetti nel periodo recente con due vittorie continentali all’attivo, raccolti sotto l’egemonia di Driss Bakori, facoltoso imprenditore candidatosi a membro del Parlamento. Fondamentalmente, il ventunesimo secolo ha plasmalo il Derby di Casablanca, rendendolo un duello tra due volti agli antipodi di Casablanca, riavvicinati dal calcio. La stracittadina è unica nel suo genere, essendo la sola occasione in cui le parti citate hanno un contatto: basti pensare che i rispettivi centri sportivi sono comunicanti.
Lo stadio è uno, il Mohammed V, ma gli ultimi disordini hanno costretto la Federazione a optare per l’impianto della lontana Marrakech. Contrariamente ai derby a noi noti, l’inizio delle rigide ostilità possiede una data precisa; 29 settembre 2001. Durante il centesimo Wydad-Raja, Youssef Belkhouja, tesserato biancorosso, muore appena dopo il match in circostanze sospette. L’avvenimento suscita ipotesi e polemiche, e a Casablanca questo non accade mai pacificamente. Viene così alla luce una pesante faida tra gruppi ultras, apertamente ispirati alla subcultura del tifo europeo. I Winners prendono come logo un fedayn bandito, in richiamo allo schieramento pro palestinese, e scelgono di occupare la curva nord del Mohammed V. Il legame tra i supporters del Wydad e le proprie radici è indissolubile. I tifosi rossi ignorano apertamente il francese, utilizzando striscioni in arabo o prestiti dalle tifoserie nostrane, facendo del celebre “Ultras Liberi” uno slogan ripetuto anche sui muri della città, insieme a vari 1312 e ACAB.
Cuore pulsante della falange opposta è la curva sud, la cui organizzazione è assai complessa. Vi sono due gruppi; Ultras Eagles e Green Boys, in lotta perenne. Le diatribe sono finanziare, talvolta violente, come nel marzo 2016 quando persero la vita, negli scontri, due ragazzi di entrambe le fazioni. Eppure, il Derby primeggia su ogni causa, e quando a dirigere il settore c’è lo Skwadra, una guida super partes, il risultato è fantastico. Come risposta, pezze in francese e Stelle di David pullulano la regione verde, fornendo un romantico varietà che s’inserisce senza dubbio nella lista dei desideri di ogni pallonaro.
D’altro canto, la rapidità con cui il movimento Ultras di Casablanca ha preso forma è stata utile a placare le scorribande quotidiane, concentrandole invece nei due appuntamenti annuali. Gruppi giovani ma talmente determinati da offrire uno spettacolo oramai raro in Europa. Purtroppo, l’esagerazione ha obbligato le autorità a regolamentare gli incontri. Il Marocco è stata l’unica nazione nordafricana esclusa dalla Primavera Araba, in quanto già avanzata nel settore dei trasporti e delle telecomunicazioni, con una monarchia costituzionale largamente democratica. Forse è per questo che una miccia pronta sempre a esplodere come Casablanca ha compensato la mancata rivoluzione con continue primavere, colorate di rosso e di verde, trascinate dalla passione per Wydad e Raja.