Papelitos
09 Marzo 2022

No, l'Inter non se l'è giocata alla pari

Il Liverpool è passato con il minimo sforzo.

L’esaltazione patriottica e un po’ goffa di stampa e addetti ai lavori all’indomani di Liverpool vs Inter (aggregate 2-1) non ci stupisce. Leggiamo che Lautaro Martinez con quel gol (bellissimo) si è guadagnato un posto tra i grandissimi – ci si dimentica evidentemente del suo lungo digiuno e, cosa non trascurabile, dei gravi errori commessi nella partita di andata. Leggiamo sulla Rosea di un “mezzo miracolo Inter”, su La Stampa addirittura di “impresa avvicinata per pochi secondi”. A regnare oggi è la soddisfazione e l’orgoglio di aver messo in difficoltà un top club come il Liverpool, nell’applauso e nei complimenti post-partita a chi ha portato a casa il miglior risultato possibile.

Eppure Inzaghi agli ottavi di finale ha portato l’Inter, non la Lazio: la squadra campione d’Italia e quella che, dopo il Milan, ha vinto di più in Europa tra le italiane. Un’Inter che ieri sera ha senz’altro giocato un’ottima partita, per giunta senza Nicolò Barella (come era accaduto all’andata). Il Biscione ha costruito (meno e peggio rispetto a tre settimane fa), ha persino segnato – come non gli era capitato nel girone nelle due sfide col Real Madrid e all’andata coi Reds. Ha corso ha lottato ha sputato sangue fino al 94’, ai limiti del commovente.

Ma non veniteci a dire che il Liverpool ha risposto al fuoco col fuoco.

Il punto è proprio questo. Se la squadra campione d’Italia – e, insieme con la Juventus, miglior rosa della Serie A – si dice orgogliosa di uscire dagli ottavi di Champions in questo modo, c’è da essere preoccupati. «Ieri non abbiamo sofferto praticamente nulla se non su palla inattiva»: così dice Inzaghi il quale, anche volendo escludere la traversa di Matip arrivata da una punizione, dimentica evidentemente i due pali di Momo Salah e il salvataggio ai limiti del surreale di Arturo Vidal a tempo quasi scaduto su Luis Diaz.

E ancora «ce la siamo giocata alla pari con la squadra più forte d’Europa». Non dimentichiamoci che «questa squadra era undici anni che non faceva un ottavo di Champions». Tutto giusto, ma lo ripetiamo: il Liverpool ieri sera ha giocato con le marce basse, con i giri del motore al minimo, se non proprio con il freno a mano tirato. Non che all’andata – sia chiaro – la squadra di Klopp si sia dannata l’anima per vincere (immeritatamente peraltro) a San Siro. Ed è proprio questa la cosa preoccupante: i Reds hanno passato il turno senza neanche dover dimostrare la propria forza reale (motivo per cui restano un’incognita in questa Champions).

Non a caso l’allenatore tedesco si è detto «non troppo contento» della partita dei suoi. E riferendosi agli avversari: «Sembrava di vedere il Leeds di Bielsa ma con molta più qualità». Ecco, giusto per giocare sulla metafora, è questo al momento il livello dell’Inter per Jurgen Klopp: un Leeds con più qualità. Nella sua mente potrà pure essere stato un complimento, ma ai nostri occhi sono parole che sanno di sentenza. E la sentenza è questa: il calcio italiano, ancora una volta, esce dall’Europa ridimensionato, periferia d’Europa. Non per quello che è successo in campo – l’Inter, lo ripetiamo, ha offerto un’ottima prova contro una delle squadre più forti al mondo – ma per il complesso di inferiorità con cui abbiamo archiviato questa sfida, orgogliosi che i nerazzurri se la siano giocata.

Un verdetto inaccettabile per chi spera di costruire una mentalità vincente, senza voler tirare in ballo l’ossessione per la vittoria di un certo ex tecnico salentino.

Ieri negli ultimi 20’, dopo l’espulsione della tigre Alexis Sanchez, il Liverpool ha giocato al gatto col topo. Ha fatto girare l’Inter come una trottola, e la sensazione è che si sia risparmiato dall’affondare il colpo tanto era sicuro di portare a casa la partita. Inzaghi ha detto che «il Liverpool dopo il gol aveva subito il colpo». È una frase ardita. Senz’altro non suffragata dai fatti, quelli che stabiliscono in campo i veri valori tra le due squadre.

Il Liverpool, tra andata e ritorno, ha avuto un atteggiamento spocchioso, altezzoso, ma la sua spocchia non è quella della squadra che deve crescere per diventare grande. È quella di chi, col dovuto rispetto per gli avversari, è talmente sicuro di vincere e abituato a certe partite che va con il pilota automatico. Certo, alla fine «l’importante è vincere» come ha detto Klopp. Servirà un altro Liverpool, però, per insediare le grandi d’Europa fino alla fine.

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