Un grosso ed indubbio merito che “Mancino Naturale”, terzo lungometraggio di Salvatore Allocca, possiede, è quello di concentrare il suo sguardo su un “piccolo mondo” che il cinema italiano, nelle molte occasioni in cui ha deciso di occuparsi del nostro sport nazionale, non aveva mai sinora concretamente esplorato: il calcio giovanile, con le sue (poco chiare) luci e le sue (tanto scure) ombre.
Il pretesto è la storia di una madre, Isabella (interpretata da una più che convincente Claudia Gerini), rimasta vedova dopo la prematura scomparsa del marito, che tenta in ogni modo di fuggire da una vita segnata dalle difficoltà economiche in un quartiere della periferia di Latina. Isabella ha un figlio di dodici anni, Paolo, che sembra essere molto bravo con il pallone dai piedi, soprattutto nell’uso del piede sinistro, uno di quei (tanti) giovani adolescenti a cui viene subito appiccicata l’etichetta di “predestinato”.
Venuta a sapere che a Vicenza verrà organizzato un torneo per ragazzi a cui assisteranno diversi talent scout di squadre importanti, la madre fa di tutto per far iscrivere il ragazzo, vedendola come un’ultima possibilità per migliorare moralmente ed economicamente la sua vita, anche se la decisione avrà un caro prezzo da pagare (letteralmente). “Mancino Naturale” si potrebbe definire, forse troppo frettolosamente, una sorta di simil-rifacimento di “Bellissima” di Luchino Visconti, con al centro però il mondo del calcio invece che quello del cinema.
Se nella pellicola di Visconti c’era il personaggio interpretato da Walter Chiari che fingeva di essere un pezzo grosso dell’industria cinematografica, anche in nel film di Allocca troviamo una figura simile, ben interpretata da Massimo Ranieri: un sedicente talent scout di lunga esperienza che promette alla madre del ragazzo una carriera brillante per suo figlio, dietro però il pagamento di un’ingente somma di denaro.
Detto altrimenti, nel film viene a galla quello che nel 2018 l’allenatore delle nazionali giovanili Massimo Piscedda ha definito “un malaffare ramificato e pericoloso”: dirigenti (o presunti tali) che pretendono (tanti) soldi anche per un semplice provino, senza ovviamente alcuna garanzia di successo per il ragazzo osservato.
Come se le scuole calcio non costassero già abbastanza, visto che in alcuni casi si arriva a sborsare sino a 9000 euro a ragazzo, trasformando quello che dovrebbe essere un centro di formazione in un’attività di business pensata solo per ingolfare le tasche della società di turno. Tuttavia il problema non è soltanto di natura economica, ma anche psicologico: Paolo si trova ad essere l’ennesimo ragazzino “sacrificato” sotto la nomea di “piccolo campione” dai propri genitori (in questo caso dalla sola figura materna).
In verità Paolo vorrebbe soltanto fare ciò che tutti i suoi coetanei fanno quando giocano a pallone: divertirsi.
E invece la madre, convinta di rivedere in Paolo il Pablito Rossi del “Mùndial” spagnolo (non a caso il padre scomparso lo ha chiamato così proprio in suo onore), finisce per indebitarsi fino al collo, pur di realizzare un sogno che semplicemente non potrà mai essere realizzato. Inutile stare qui a sottolineare le violenze verbali tra genitori sui campi da calcio, annoso problema che è semplicemente la diretta conseguenza delle problematiche enunciate in precedenza, che come risultato finale non possono altro che produrre rabbia e frustrazione.
Sullo sfondo della pellicola c’è anche il personaggio dello sceneggiatore di serie tv, interpretato da Francesco Colella, che de facto sarà per il ragazzino una sorta di secondo padre, visto che si prende cura di lui ogni volta che la madre è assente, riuscendo a fare quello che quest’ultima non è mai stata capace di fare, ovvero instillargli la voglia di leggere e studiare, il minimo indispensabile per uno della sua età. “Mancino Naturale” è in definitiva un’opera di discreto livello, che al di là di alcuni limiti tecnici (una messa in scena troppo da fiction televisiva) e in parte di scrittura riesce comunque (è il caso di dirlo) a portare a casa il risultato, riuscendo a trattare ottimamente un tema spinoso come quello del calcio giovanile, di cui (colpevolmente) il nostro cinema mai aveva parlato.