Ritratti
21 Maggio 2024

Niki Lauda, l'uomo dei metodi estremi

Da pilota computer a uomo che vola alto.

Chi è davvero Niki Lauda? La definizione di pilota computer, che gli viene appiccicata come un’etichetta a partire dalla metà degli anni Settanta, è ormai sorpassata. Se volessimo aggiornare il giudizio su Lauda potremmo prendere a prestito proprio le parole utilizzate dall’ex ferrarista per definire se stesso: “uno che vola alto”. Lauda non guarda il prossimo dall’alto in basso, ma ha l’atteggiamento di uno che si è cimentato in campi diversi, apparentemente incompatibili, portando a termine ogni sfida. 

Lauda è insomma molto più di un ex pilota di successo: è soprattutto un vincente, un precursore, un abile scovatore di opportunità, una mente sopraffina capace di capire prima degli altri dove può esserci una occasione.

Per vivere, per fare soldi, certo. Per il gusto del gioco, della sfida, soprattutto. Non una storia di vile pecunia, dunque, ma di passione e abnegazione: anzi, di feroce determinazione. L’incidente del 1976, durante il Gran Premio di Germania nel quale rischia di morire tra le fiamme, nel rottame della sua Ferrari 312 T2, ne muta fisicità e volto: quasi un paradigma delle capacità camaleontiche di quest’uomo. 

«La cosa più importante per capire come va una macchina è il culo»; meglio avere quello che una bella faccia, sembra dirci Lauda, perché le auto si guidano col “fondoschiena”, in modo da apprezzarne qualsiasi piccolo difetto. Un concetto che potrebbe essere ampliato al cervello: l’importante è che il contenuto della scatola cranica funzioni, e funzioni sempre bene, per il resto chi se ne frega. È questo il nocciolo del Lauda pensieroSe per non morire bisogna evolversi, Lauda può essere considerato un esempio.

 

Incidente lauda
Un incidente ancora negli occhi dei vecchi appassionati

Dopo un breve apprendistato nelle formule propedeutiche, nel 1971 è già nel Circus che conta nonostante gli scetticismi e una macchina, la March, che gli dà più grattacapi che soddisfazioni. Fedele alla politica dei piccoli passi, Lauda a 22 anni può già dire di essersi preso una prima rivincita sui propri familiari che non credevano in lui. Nel 1973 passa alla scuderia inglese Brm, certamente più competitiva della March: l’austriaco stipula un contratto nel quale si impegna a pagare per correre.

Ancora una scommessa su se stesso che però ha successo, perché Lauda riesce a ottenere piazzamenti e punti mondiali: gli inglesi, impressionati, lo ingaggiano per i successivi due anni questa volta pagandogli l’ingaggio. Nel 1974, però, si presenta l’occasione della vita: la chiamata dalla Ferrari. È un treno che non passa due volte: Lauda impiega il proprio stipendio Brm per pagare le penali e liberarsi dagli inglesi.

Si potrebbe dire che abbia corso per tre anni in F1 praticamente gratis, nonostante la pericolosità di vetture e circuiti nei primi anni Settanta.

Il primo compagno di scuderia in Ferrari è lo svizzero Clay Regazzoni: un baffuto, generoso pilota, lontano anni-luce dall’austriaco. Un “viveur”, avrebbe poi detto il Drake Ferrari, veloce in pista: è appunto Regazzoni a segnalare al “Grande Vecchio” quello strano austriaco dall’aspetto vagamente vampiresco. La leggenda narra che Lauda, durante i test per la stagione 1974, frustrato dalle prestazioni della 312 B-3, si sia rivolto a Ferrari in persona rinfacciandogli che la macchina era “una merda”: cosa improbabile, dato che lo stesso campione sul punto ha più volte glissato.

Enzo Ferrari, conscio delle difficoltà riscontrate nello sviluppo della macchina, si sarebbe limitato a dare una sorta di avviso di sfratto al giovane Lauda, preannunciandogli il licenziamento se non fosse stato capace di limare i difetti prestazionali della vettura. I test di prova, nei quali Lauda si impegna al massimo delle proprie forze, finiscono per dare i risultati sperati: la 312 B3-74, inizialmente difficile da guidare, viene addomesticata: l’austriaco conquista subito un brillante secondo posto al Gran Premio d’Argentina, quello d’esordio.



La prima vittoria arriva in Spagna: con il bis in Olanda e il secondo posto in Francia, Lauda è già in testa al mondiale 1974, ma le successive gare in Gran Bretagna e Germania sono una delusione soprattutto per un fatto di inesperienza. Al Gp d’Italia Lauda balza in testa, ma viene tradito dal motore: a quel punto, il Drake Ferrari decide di puntare su Regazzoni, di fatto declassando l’austriaco al ruolo di seconda guida. I ritiri del viennese impediscono a Regazzoni di vincere il duello con Fittipaldi, ma Lauda ha già dato ampia dimostrazione del suo valore ottenendo, al suo primo anno a Maranello, nove pole position.

 Il 1975 è l’anno della consacrazione: tre vittorie di fila (Monaco, Belgio, Svezia), un secondo posto in Olanda, un’altra vittoria in Francia, podio in Germania e Italia, una ulteriore affermazione nell’ultimo gran premio, quello degli Stati Uniti. Il titolo mondiale è una logica conseguenza.

L’anno seguente, il 1976, è quello che molti appassionati di F1 ricordano: il duello con James Hunt vivificato in Rush, il film del 2013 del regista americano Ron Howard. La storia è nota: Lauda, prima dell’incidente al Nurburgring, vince cinque gare su nove, ottenendo anche due secondi posti (Usa e Spagna). Probabilmente, senza il gran premio di Germania, e il ritiro all’ultima gara sotto l’acquazzone del Fuji, in Giappone, avrebbe vinto facilmente il mondiale su Hunt.



L’incidente nel quale il campione, dopo l’impatto presso la curva Bergwerk, resta per un minuto dentro l’abitacolo in fiamme della propria Ferrari 312 T2, è potenzialmente letale. A preoccupare i medici, in particolare il prof. Horst Lutz, direttore dell’equipe sanitaria dell’ospedale di Manneihm, non sono tanto le bruciature, sulle quali sembrano concentrarsi le morbose curiosità dei media, ma l’inalazione di gas “ardenti” derivanti dalla combustione del veicolo: una miscela capace di avvelenare il sangue e portare a infezioni potenzialmente letali. Il danno, insomma, appare più interno che esterno, e a stupire è la capacità dei medici di prevedere gli eventi. Dirà Lutz:

«Il caso è molto grave e pericoloso, e potremo sbilanciarci soltanto dopo il superamento della fase critica che certamente arriverà. Se Lauda supererà questo periodo senza problemi, potrà essere recuperato come uomo e come pilota: avrà una vita normalissima e non vedo perché non possa, se lo vorrà, riprendere a guidare una F1».

Il momento cruciale della stagione successiva, il 1977, che lo vede pienamente recuperato, è certamente il Gran premio del Sudafrica. Quando Lauda inizia il week end di prove, sente già la vittoria. Lo sa perché sta bene, ha una macchina competitiva, e in prova è stato “sottovalutato”: si è piazzato soltanto in seconda fila, ma la Ferrari 312 T2 ha un potenziale ben maggiore. Poco dopo il via è infatti già in seconda posizione: a precederlo il solito Hunt, subito dietro Scheckter. Nel circuito sudafricano c’è una “S”: Lauda ha solo il problema di stare il più vicino possibile a Hunt, in modo da approfittare di qualsiasi errore dell’inglese. Il resto del circuito non preoccupa il ferrarista. Al settimo giro, Hunt commette l’errore tanto atteso: compie la “S”, tocca leggermente il cordolo, alza il piede dall’acceleratore per riassestare la macchina ed è qui che Lauda ha quel piccolo vantaggio necessario ad affiancarlo e sorpassarlo.

Rimane il temibile Scheckter: dove può sorpassare? Soltanto in entrata di curva, si risponde Lauda, perché il resto della pista non consente sorpassi. La Ferrari è sottosterzante, per via di un frammento che ha danneggiato l’avantreno, ma in rettilineo non denuncia problemi. Lauda, quindi, deve cercare di affrontare le curve alla giusta velocità: non troppo lento, perché ritarderebbe l’uscita verso il rettilineo, né troppo veloce perché, col danno subito, la macchina diverrebbe incontrollabile. Questo metodo funziona così bene che Scheckter finisce per perdere un decimo a giro. Non è finita: a metà gara si accende una spia rossa. L’olio nel motore ha poca pressione.



Lauda pensa di aver finito qui la gara: “se ti devi fermare, fermati ora, ti prego”, pensa tra sé e sé, anche perché fermarsi agli ultimi giri sarebbe una delusione troppo grande. Ma la macchina continua inaspettatamente ad andare, con il ferrarista che si impone categoricamente di non guardare il quadro ormai ridotto a una sorta di albero di Natale. Ecco il traguardo: è la prima vittoria dopo l’incidente. Poco dopo la gara i tecnici danno il loro referto: di quattrodici litri d’acqua ne sono rimasti tre, di otto litri di olio ne è rimasto uno e mezzo. In simili condizioni, una F1 si blocca: per qualche strano miracolo, non quella di Lauda.

Il 1977 è quindi un anno trionfale per l’austriaco, che vince il suo secondo mondiale. Dopo il Sudafrica, c’è la vittoria in Germania e in Olanda: tanti i piazzamenti che permettono l’aggiudicazione del titolo con congruo anticipo. Il rapporto con la Ferrari però si interrompe bruscamente: Lauda è già d’accordo con la Brabham, per la stagione successiva. È lui a scaricare la Ferrari, cosa mai accaduta prima: viene licenziato e sostituito con Gilles Villeneuve. La Brabham-Alfa Romeo è un’auto dalle soluzioni tecniche innovative: una delle scommesse di Niki.

La stagione 1978 si conclude con numerosi podi e due vittorie (Svezia e Italia) ed è caratterizzata dalla celebre Brabham BT46B dotata di uno speciale sistema a “turbina” posto sul retrotreno, capace di conferire alla vettura un carico aerodinamico fuori dal comune e prestazioni eccezionali.

La stagione 1979 è invece fallimentare; è il momento del primo ritiro per Lauda, dopo il quale si dedicherà alla sua nuova impresa: una compagnia aerea, la Lauda air, poi venduta alla Austrian Airlines Group. Lauda torna comunque alle corse nel 1982, distinguendosi da subito come guida del sindacato piloti. Il rientro agonistico avviene con la McLaren MP4/1B, prima F1 con il telaio in fibra di carbonio. È subito un quarto posto. «Aspettate quattro gare per giudicarmi», aveva detto, ma la vittoria arriva già alla terza: è il Gp degli Stati Uniti-Ovest dove supera De Cesaris, al quindicesimo giro, per non lasciare più la testa della gara.

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Il ritorno di Lauda

L’anno seguente, il 1984, è quello del terzo titolo mondiale ottenuto su Prost. Più giovane dell’austriaco di sei anni, Prost ha quell’anno una marcia in più nelle prove perché per fare un giro veloce, secondo Lauda, è necessario «decollare spiritualmente e fisicamente, avere un extra in temerarietà ed entusiasmo». Prost possiede questo slancio: è dodici centesimi più veloce di Lauda nelle qualifiche, cioè quattro o cinque posizioni nella griglia di partenza. Qui entra in scena ancora una volta la forza psicologica del viennese: non ammettere, prima di tutto a se stesso, questa palese inferiorità per non allargare ulteriormente il gap di quei “due o tre decimi” ulteriori che avrebbero reso incolmabile il distacco.

Perché in gara Lauda si sente forte quanto Prost ed è lì che recupera lo svantaggio in qualifica, adottando uno stile di guida particolarmente aggressivo. Il mondiale 1984 vinto su Prost per solo mezzo punto rappresenta forse il capolavoro più grande della carriera agonistica di Lauda.

Nel 1985, ultimo anni di Niki in F1, c’è spazio ancora per una vittoria in quel di Zandvoort, Olanda, dove Lauda ha la meglio sui due giovani leoni Prost e Senna: la vettura è una McLaren MP4/2, sovralimentata, un mostro da 800 cv in assetto da qualifica tutti da domare senza grandi aiuti elettronici. È il canto del cigno del pilota simbolo dei Settanta. Negli anni successivi Lauda alterna l’impegno da manager sportivo in Ferrari e Jaguar alla sua attività nel settore aereo (fonda la Niki, la sua nuova compagnia), senza dimenticare un ruolo da commentatore tv che lo diverte molto.

Dà il meglio di sé nelle interviste, provocando più volte la Ferrariha fatto una macchina di merda» – luglio 2014, «fa solo spaghetti» – luglio 2015) e trovando il tempo, da presidente non esecutivo Mercedes, di dare il colpo di grazia alla carriera sportiva di Schumacher preferendogli il giovane Lewis Hamilton. La colpa di Schumi? Quella di aver manifestato “incertezze sul suo futuro”. Perché Lauda – l’uomo dei “metodi estremi”, come lui stesso si era definito – è la persona più giusta per farti capire, brutalmente, quando è giunto il momento di appendere il casco al chiodo.

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