C’è un momento prima della volata di Peter Sagan che dice molto su di lui. Si tratta di un gesto banale che fanno tutti i velocisti quando si stringono le scarpe in vista dell’arrivo: guardare in basso, sui pignoni della ruota posteriore. Una flessione naturale del collo, un’espirazione acida e gli occhi che sfiorando il movimento centrale vanno più indietro, cercano ansiosi di capire quanti rapporti ci siano ancora, quanti proiettili nel tamburo, quanta gamba regge.
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A partire dal minuto 1’27 iniziano gli sguardi al cambio di Peter Sagan
Se ti chiami Peter Sagan puoi vincere la Milano – Sanremo in molti modi: in volata con gruppo compatto, o attaccando sulle ultime due salite, Cipressa e Poggio, dipende da chi hai vicino. Ti guardi attorno e i tuoi avversari di sempre ci sono tutti: Doumulin, Viviani, Alaphilippe, Gaviria ma soprattutto il Team Sky con la bestia nera Kwiatkowski. La tua squadra ti ha portato fin lì, ma ora sei da solo a fare quello che ti riesce meglio: le volate col treno degli altri.
E invece attacchi sul Poggio. Lo strappo è repentino e furibondo, nessuno tiene il passo, ma questa mossa è scontata, della scontatezza tipica dei tre accordi del Blues: tutti sanno che l’armonia tornerà al primo accordo, prima o poi, ma la tensione della quinta dominante non cede mai, ti strugge e ti angoscia, anche se poi, confortante come sempre, tornerà alla tonica. La scelta di attaccare è immediata, propria solo del Genio: è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. Non manca di nulla: anche se lo sanno tutti che si può attaccare lì, proprio lì, tu lo fai e prendi quei venti metri che segnano l’ipoteca sulla vittoria. E allunghi. Due del gruppo si riportano sotto, sono il polacco Kwiatkowski (già Campione del Mondo a Ponferrada nel 2014) e il francese Alaphilippe: entrambi sono in forma, e il primo ha già vinto la “classica del Sud”, la Strade Bianche. Mancano pochi chilometri e tu tiri più degli altri perché sono furbi e vogliono sfinirti, ma ormai sei in ballo e hai la febbre del sabato sera addosso. Kwiato non dà quasi nessun cambio, e Ala si mette davanti per finta; tu lo metti fuori il gomito a chiedere il cambio, ma sei Sagan e ti arrangi.
Te la guardi bene quella catena, la guardi due, tre, quattro volte. L’hai guardato bene il rapporto come a cercare consolazione in un alleato che ti dica che hai margine. Quello sguardo con quella cadenza è il segno della tua diversità. Pedali frequente, cerchi il cambio a tirare che non arriva mai e adesso è triangolo rosso. Sono sette ore che aspetti quell’istante per alzarti sui pedali e piegare il manubrio dalla voglia di mangiarti il traguardo, ma parti lungo. Devi farlo: provi l’anticipo, mancano 250 metri e ne hai due di vantaggio, pensi di farcela. Il polacco della Sky vede la tua partenza e ti insegue, costante nell’incrementare frequenza e potenza. Gli fai da treno, e ai 100 metri dal traguardo esce dalla scia, perentorio. Dietro di lui Alaphilippe prova a imitarlo, ma non ne ha abbastanza, pur riuscendo a lanciarsi negli ultimi metri. Michał Kwiatkowski ti sta rimontando e tu, in spinta, hai nello stesso istante due sensazioni che diventano certezze tremende: la macchia nera del tuo avversario ingrandirsi sulla sinistra e i nervi che paiono strapparsi dalle gambe. La bocca è impastata dall’acido lattico, e il glicogeno nei tuoi muscoli è finito: quei cambi non ricevuti e quelle spinte che sono la tua firma ti sono ricadute addosso, un boomerang lungo pochi chilometri.Mancano 50 metri, forse 30, e la gamba inesorabilmente cede: la pedalata continua, ma le cosce salgono nervose, e scendono pesanti, mentre Kwiatkowski mette la sua ruota davanti alla tua, a toccare la banda nera dell’arrivo prima di te, di quanto basta per farti arrivare secondo. Alaphilippe è terzo. Il corpo che ti ha appena sconfitto è quello che ti evita la caduta: il colpo di reni è stato uno strappo elastico e appena dopo il traguardo il telaio in protesta si ribella e vuole disarcionarti ma restate, incredibilmente, in piedi. Non c’è rimpianto né delusione, e nelle tue parole la summa del tuo ciclismo: “Il risultato è importante, però anche lo spettacolo per le persone attorno è importante”
I primi 10 secondi sono la summa dell’epopea saganiana
C’è la sconfitta ma è come se non fosse così: è aver perso dando un significato ad una gara che di significati non ne ha avuti molti. Sabato c’era Sagan, fuori dai calcoli e dalla noia da radioline.
Di fronte a un'ingiustizia che sa di sconfitta, Nibali ci insegna a perseverare nella pazienza. Invece della burrasca, il mare calmo, prima che il sole sorga.