Se ci pensate bene, gridare ‘GOL’ dopo aver visto la palla entrare in rete non ha poi molto senso [1]. In Inghilterra ad esempio quando è gol rimbomba all’unisono uno ‘YEAH’ che fa da contraltare al più classico (e assai più frequente) ‘NO’, eco rapsodica delle occasioni mancate. Evitiamo di stilare in questo luogo il calendario dei santi evocati dai tifosi italiani, invece, al verificarsi dello stesso evento.
L’esultanza dell’Emirates al gol di Nelson contro il Bournemouth (4.3.2023)
Da cosa dipende questa differenza linguistica? È una pura casualità o c’è qualcosa di più profondo in essa? In Germania, ad esempio, i tifosi gridano indistintamente e casualmente ‘TOR’ (‘GOL’) o ‘JA’ (‘Sì’, come lo ‘YEAH’ inglese) – restituendoci così quella mescolanza tra estetica italiana e musicalità balcanica tipica dei movimenti ultras tedeschi. Quando è gol, dunque, si mostra la tipicità e per così dire il nucleo di un ambiente-di-tifo. Ma non si è detto ancora nulla sull’evento in sé, né su ciò che esso rappresenta per il tifoso da stadio.
Video dal nostro Simone Meloni, reportage completo di questa partita qui
Per il tifoso da stadio, il momento del gol è l’evento fondamentale della propria esistenza. Eppure, paradossalmente, non solo i tifosi più accaniti (= ultras) negano questa lapalissiana verità (ad esempio cantando che a loro, della partita, non interessa affatto), ma nel loro viscerale e asimmetrico amore per i propri colori arrivano a rifiutarne l’unico vero obiettivo (i tifosi infatti sono sempre al di là del risultato). In questo senso, gli ultras sono come i mistici di Eupalla, a Lei talmente devoti da esserne nauseati [2] (come accade nelle notti oscure di San Giovanni della Croce, Madre Teresa di Calcutta e San Pio da Pietrelcina).
Quest’ultima caratteristica del gol, materia da teologia negativa, mette però in evidenza un altro aspetto fondamentale del calcio: la sua intrinseca staticità. Vale a dire: il calcio è essenzialmente uno sport noioso, dove l’unico evento davvero rilevante (il gol) è non solo rarissimo ma spesso casuale.
«Chiaramente odiavo il fatto che l’Arsenal fosse noioso» [3], scrive Nick Hornby. Quale squadra non lo è?
Ecco perché il gol è un miracolo, un evento nell’evento reso unico ed irripetibile dal cuore collettivo dei tifosi che lo vivono. Così torniamo al dubbio amletico col quale avevamo aperto questa brevissima fenomenologia del gol vissuto allo stadio: quando è gol, urlare ‘GOL’ – da noi regionalmente declinato [4], a seconda dell’importanza dello stesso – è comprensibilissimo. Il gol non è semplicemente una liberazione, è quasi uno shock. Al punto tale da doverlo rimarcare, gridarlo agli altri al cielo a se stessi per rendersene pienamente conto. Una volta detto, è fatto. [5]
Quando è gol l’ansia svanisce e subentra la gioia. Sotto la curva, questo fenomeno assume chiaramente una coloritura particolare: nella corsa del marcatore verso i propri tifosi, lì per lui – ma è lui ad essere lì per loro, propriamente parlando –, si dà il vero ed unico senso del calcio come religione di popolo. A rischio di risultare blasfemi: che cos’è la fusione – anche fisica, spesso – tra calciatore e curva se non l’eucarestia del pallone? Lo stadio è un’ecclesia, un’assemblea a tutti gli effetti. Con una propria gerarchia, i propri canti e riti, le proprie regole.
Persino col proprio folklore. L’esultanza dei tifosi napoletani in Curva A non è la stessa dei milanisti in Curva Sud; e all’interno dello stesso stadio, i romanisti esultano in un modo, i laziali in un altro ancora. In Inghilterra ci si sbraccia e agita un po’ goffamente – soprattutto da quando la Thatcher ha deciso certe regole di comportamento per i tifosi –, in Spagna il suono del ‘GOL’ collettivo è quasi sordo e cattedrale, di una tonalità bassissima rispetto allo ‘YEAH’ quasi femminile proprio del calcio anglosassone.
L’impressionante esultanza dei tifosi del Gremio quando è gol
E così anche la teatralità dell’atto quando è gol varia da paese a paese, di cultura in cultura. Esiste persino una squadra di calcio in Brasile, il Gremio, celebre per il modo di esultare dei propri tifosi: è la famosa e pericolosissima avalanche (cascata) oggi proibita dopo i 7 feriti del 2013 – gli unici ufficiali, perché a guardare le immagini possiamo tranquillamente immaginarne un numero maggiore. Ognuna di queste manifestazioni, dai paesi balcanici a quelli sudamericani, dagli asiatici agli arabi passando per quelli mediterranei, meriterebbe un articolo a parte. Per ora, basterà lasciar parlare il poeta che per restituire al meglio l’essenza della poesia decise di descriverne l’inafferrabilità. Proprio come quando è gol, esso si dà mentre sfugge.
[1] Fenomeno linguistico tipico delle culture latine: Italia, Spagna, Sudamerica.
[2] Che senso ha, altrimenti, il capo ultrà che preferisce stare girato alla presenza della propria gente, incitandola e guidandola per amore della propria squadra, anziché godere della stessa squadra che pure si tratta di incitare?
[4] A Roma, ad esempio, se il gol segnato dalla nostra squadra dà una flebile speranza di rimonta, non è raro il ‘Daje’ – più di stizza che di felicità. Così i tifosi dell’Hellas sembrano urlare ‘se’ al gol tanto atteso.
[5] Ecco qual è il vero delitto del VAR: aver sottratto al gol il suo carattere miracoloso e irripetibile. Ne parlavamo qui.
[6] E. Montale, Non chiederci la parola, 10 luglio 1923.