Celebrazione di Roberto Firmino, l'attaccante invisibile della squadra più forte al mondo.
Tra panettoni di Natale e botti di Capodanno, dovessimo tracciare la costante calcistica dell’anno solare appena trascorso, il filo sarebbe immancabilmente rosso. Non rouge, come vorrebbe la tradizione popolare, mutata dall’usanza marinaresca, poi resa famosa da Freud e Goethe. Ci perdoni la storia del pensiero, quest’anno il filo è REDS.
Una Champions League vinta da protagonistI, concedendo anche spazio al pathos nella storica rimonta di Anfield contro il Barça di inizio maggio. Un campionato dominato e forse già ammazzato al giro di boa: un +14 che, a differenza dell’anno passato, i rivali di Manchester, il lato sky blues alla faccia della storia, avranno vita complicatissima a invertire.
Infine il Mondiale per Club, qualche giorno fa, giusto a impreziosire la torta della stagione con una ciliegina, rigorosamente rossa.
La crescita costante del Liverpool in questi anni paga certamente il giusto tributo al “Normal One” di Stoccarda. Jurgen Klopp, arrivato ad Anfield da manager di grandi ambizioni ma pochi trofei, ha trovato sulle rive della Merseyside il terreno giusto per coltivare la sua idea di calcio. Il Gegenpressing applicato per la prima volta, nella sua carriera, a Magonza, migliorato a Dortmund e perfezionato a Liverpool, ha saputo contrapporre un nuovo dogma al tiki-taka catalano del “Maestro” Guardiola, generando una dicotomia di stili che ha impreziosito di genialità il campionato più bello del mondo.
Il calcio verticale di Klopp ostenta in copertina la siderale velocità del duo africano Salah-Manè, macchine da gol senza sosta, frecce imprendibili nella faretra dei Reds. La difesa è scortata dai muscoli ipertrofici di Van Djik, la porta sigillata dal talento straripante di Alisson.
Eppure, la terza di copertina, l’ala nascosta del best seller del Nord-Ovest di Inghilterra, ha il sorriso accecante di Roberto Firmino. Il brasiliano, nato sulle coste verdeoro, cresciuto calcisticamente in Germania e infine adottato da Albione con il nome di Bobby, è il flusso canalizzatore della DeLorean di Liverpool. L’ingranaggio fondamentale per far girare un sistema calibrato al millimetro sulla sua percezione naturale degli spazi. Perché per Bobby le definizioni negative sono estremamente più semplici rispetto a quelle positive. Non è un cannoniere, non ha fisicità dei classici 9, non ha l’esuberanza atletica dei suoi compagni di reparto, né tantomeno l’attitudine a splendere sotto i riflettori del teatro di Anfield Road.
Ciononostante, è un centravanti essenziale per il gioco dell’allenatore tedesco. La sua naturale capacità di captare gli spazi, comprimerli e dilatarli a piacimento con il suo lavoro di movimento costante è la luce verde per le sgasate di Salah e Mané.
Un attaccante, un giocatore peculiare, tremendamente istintivo e naturale nella sua abilità di gestione del pallone, sia a campo aperto che spalle alla porta, con una padronanza immensa dei fondamentali tecnici – controllo, passaggio e tiro – decisamente fuori dal comune per un numero 9. Un centravanti per cui perfino l’abusato aggettivo di ‘moderno’ risulta inappropriato. La verità è che nessun giocatore al mondo interpreta il ruolo allo stesso modo e nessuno prima di lui l’ha fatto.
L’esempio più vicino è quello del famigerato ‘falso nueve’ sdoganato proprio dal rivale Pep, che a Barcellona aveva ritagliato una simile posizione in campo al pupillo Leo Messi. La differenza principale risiede nella spiegazione che lo stesso tecnico catalano forniva in uno dei suoi momenti profetici da vate: ‘il mio centravanti è lo spazio’. Effettivamente, la Pulga agiva lontano dal cuore delle difese avversarie proprio per scaricare la densità delle zone che poi avrebbe attaccato palla al piede. Nel caso di Bobby Firmino, al contrario, è lui stesso a gestire quella porzione di campo, addensandola e svuotandola, dettando così gli attacchi delle due ali offensive.
Sono proprio queste doti che rendono il 9 del Liverpool un calciatore semplicemente unico. Non per niente il tecnico tedesco, ha più volte rimarcato l’essenzialità del brasiliano nell’economia del suo gioco, impossibile da sostituire, perché impossibili da replicare le sue caratteristiche. Ecco che allora le alternative al giocatore dell’Alagoas sono principalmente armi tattiche che mutano la fisionomia dei Reds: Divock Origi su tutti, capace di cambiare la storia recente del Liverpool con un paio di gol essenziali nella cavalcata verso la Champions.
Roberto Firmino rappresenta l’esaltazione di un giocatore sistemico, diventato mediante il contesto la scintilla incendiaria per far detonare il calcio pirotecnico del Liverpool. Un destino diviso tra lavoro sporco in fase difensiva, giocate intelligenti e mai appariscenti in zona offensiva, per lasciare la scena in zona gol a compagni di reparto letali, e abbracciarli qualche secondo dopo.
Perché il biglietto della storia si strappa anche così, con il sacrifico qualitativo dei comprimari che assurgono a livello di essenzialità in un gruppo che tramite questi giocatori si trasforma in squadra. Una fatica mediata dalla gioia di essere sempre presente, non a caso lui, Roberto Firmino, è l’uomo che ha portato il Liverpool sul tetto del mondo nel recente derby personale contro il Flamengo. Un anno di celebrazioni anche a livello internazionale, avendo giocato e guidato da titolare l’attacco della nazionale brasiliana campione d’America.
L’utilità di una giocata, l’essenzialità di un movimento, la definizione di un ‘attaccante che non c’è’ e che non poteva che essere scovato dagli avanguardisti osservatori dell’Hoffenheim tramite Football Manager – il famoso simulatore manageriale. Perché in fondo Roberto Firmino è così: non lo noti, non lo vedi, ma le statistiche parlano per lui.