Lo sport “più violento del mondo” come metafora dell'esistenza.
C’è una novella che rappresenta un’espressione altissima, oltre che di narrativa, letteraria anche di narrazione degli scacchi. Si tratta della “novella degli scacchi” di Zweig, che racconta di una partita tra un giovane più che promettente e un personaggio oscuro. Senza menzionare il finale, sperando che eventualmente possiate recuperarla, vi basti sapere che ad un certo punto il giovane astro nascente, messo in difficoltà, sfrutta le ombre della psiche del suo avversario per metterlo alle strette tramite comportamenti attendisti e “fastidiosi”. L’aspetto psicologico è del resto cruciale in tutte le discipline, soprattutto individuali, e negli scacchi più che altrove. Sulla psiche agiscono le provocazioni, gli inganni veri o presunti, le ripicche e le arroganze di giocatori che, posti sotto i riflettori, sono spesso inclini a eccessi di egocentrismo.
Gli scacchi come metafora dell’esistenza, e quelli sulla scacchiera a 64 case come quesiti sull’uomo e la vita stessi. Primo fra tutti: “gli scacchi sono un’arte o una scienza?”, un interrogativo che chiaramente ne racchiude un altro, e cioè se ci si debba sperticare in un elogio della follia o piuttosto riportare tutto ai logicismi e ai tecnicismi. Per gli occasionali la risposta potrebbe sembrare semplice, traviati dalla natura matematica (se così si può dire) dello sport “più violento del mondo”: questi potrebbero sostenere che la natura degli scacchi sia più vicina al calcolo razionale, alla conoscenza empirica di aperture, mediogioco e finali.
Per i romantici della disciplina c’è invece un elemento d’arte, e cioè artificiale, creato dallo scacchista, derivante dallo sforzo maieutico dell’immaginare una strategia applicabile seguendo schemi tattici, non rientrante nella circonferenza del solo studio scientifico. Arte e artificio quindi, a segnalare quel momento di creatività anche irrazionale che giustifica la perseveranza nella pratica degli scacchi nonostante gli anni di studio e manualistica, nonostante i motori informatici che di fatto avrebbero potuto (per alcuni, dovuto) causare la fine di un gioco destinato.
Un tramonto, secondo i positivisti della scacchiera, a rappresentare un semplice esercizio mnemonico di combinazioni già tutte studiate e scritte, dove l’unica sfida sarebbe appunto stata quella di ricordare quale fosse la migliore combinazione per rispondere a una mossa altrettanto pre-detta dell’avversario.
Le cose non stanno così. Nel nostro mondo la dicotomia tra bianco e nero esiste solo sulla scacchiera. I due elementi vanno affiancati, eppure proprio nella sopravvivenza degli scacchi va ravvisata la natura progressiva e autorigenerante che rende ancora possibile assistere ad una partita e stupirsi per le trovate dei giocatori, o ancora inventare gioco e creare nuove combinazioni. Se così non fosse, questo gioco non avrebbe più nulla da raccontare se non l’epica dei vecchi grandi maestri.
I motori scacchistici non hanno terminato gli scacchi, ma li hanno anzi piuttosto arricchiti, consentendo a milioni di appassionati di studiare le partite dei grandi e imparando, capendo, in una maniera più semplice rispetto a quanto non fosse possibile in passato, aiutando a scavalcare il muro della teoria, soprattutto agli inizi. Ma l’avanzamento tecnologico, rappresentando un fenomeno rivoluzionario in tutti i settori del nostro vivere, ha rivoluzionato anche un’arte ben più antica del gioco degli scacchi: quella dell’imbroglio. Se nelle scuole o durante gli esami la vigilanza deve ormai riguardare non solo fogli e foglietti, ma soprattutto cellulari, orologi, e mille altri strumenti potenzialmente lesivi della correttezza delle verifiche, lo stesso avviene anche nel mondo degli scacchi.
Il caso che ha fatto riemergere antiche paure e sospetti è la famosa querelle che ha investito il campione del mondo Carlsen e il giovane prodigio Niemann. Imbrogli reali o presunti non sono nuovi al mondo degli scacchi, c’è già chi ha raccolto i casi più eclatanti rimasti nella Storia tanto quanto i protagonisti che li hanno o avrebbero adoperati.
La vicenda è nota: durante la Sinquefield Cup Magnus Carlsen, dopo aver perso una partita contro Hans Niemann, si ritira dalla partita e dalla competizione stessa. Le accuse sono di aver barato utilizzando proprio un motore scacchistico che avrebbe consigliato Niemann nel momento del bisogno, consentendogli di giocare una partita costruita sulla perfezione teorica e scientifica in grado di abbattere il miglior scacchista attualmente in circolazione.
Il tutto colorato dalle dichiarazioni dei due protagonisti: Carlsen, citando uno dei massimi filosofi dello sport contemporanei, cioè Mourinho, ha twittato “if I speak I am in big trouble”. Non da meno il giovane Niemann che al termine della partita ha chiosato “Deve essere imbarazzante per il campione del mondo perdere contro un idiota come me”. Clima disteso, insomma.
Talmente disteso che da ultimo Niemann ha esposto una denuncia contro Carlsen, la Chess.com e Nakamura (altro scacchista, celebre soprattutto per le partite veloci e per la sua presenza su piattaforme di streaming). Le accuse vanno dalla diffamazione all’associazione a delinquere di cui Niemann sarebbe vittima, e costruita sui danni anche economici oltre che d’immagine da lui subiti a causa delle esternazioni, neanche troppo circostanziate, va detto, dei citati.
Al momento non ci sono prove a carico delle pesanti accuse di Carlsen, tanto che la FIDE ha sia, da una parte, avviato una procedura di verifica, sia ripreso il campione norvegese.
I sospetti nascono soprattutto dal passato di Niemann, che per sua stessa ammissione ha imbrogliato utilizzando motori scacchistici in altre due occasioni sulla piattaforma Chess.com. La stessa Chess.com ha pubblicato un report sulle attività del giovane scacchista, rilevando tramite un calcolo statistico che Niemann avrebbe utilizzato i suddetti espedienti non in due occasioni, ma addirittura in un centinaio. Non potendo al momento stabilire la verità, è probabile che anche questa vicenda, come altre nel passato, resterà consegnata alla leggenda e alla partigianeria di chi sostiene lo “scacchinfluencer” Carlsen opposta a chi lo considera uno sbruffone arrogante incapace di accettare una sconfitta.
Il tema interessante credo sia in questa sede quello dell’impatto della tecnologia nel gioco degli scacchi e, ampliando la prospettiva, allo sport in genere. Su Contrasti è in atto da anni una discussione stimolante sull’utilizzo del VAR nel calcio. Strumenti tecnologici che, proprio come negli scacchi, rischiano di “limitarne l’epica”. Che fine fa lo sforzo mentale e psicologico nell’affrontare un avversario al tavolo se la sfida può svolgersi online o peggio se le mosse vengono disegnate da automi senz’anima?
In maniera controintuitiva, è la stessa arte dell’imbroglio ad essersi rinchiusa in una semplice utilizzo scientifico di strumenti creati ad hoc? In questo senso è decisamente creativa l’ipotesi di un “vibratore anale” proposta da un altro creativo, almeno sul curriculum, Elon Musk. Almeno nella menzogna, bisogna ancora essere creativi. Come nel calcio, Allo stesso modo negli scacchi uno strumento in origine positivo, che consente una migliore preparazione e in generale un più facile accesso al gioco, rischia di diventare un pericoloso attentato all’epica, alla narrazione, alla poesia.
Posto che, come sopra scritto, vi è un elemento di irrazionale in tutte le discipline, e che questo elemento difficilmente potrà essere estirpato (con il sospetto di imbrogli vari, o tramite strumenti che ammazzano l’elemento irrazionale del sotterfugio) è chiaro che il nostro presente, sempre più avvolto dal concetto di “metaverso” deve porsi la questione del rapporto con la tecnologia anche nel settore dello sport.
Il rischio che va evitato è chiaramente quello di irretire le varie discipline dietro schemi scientifici e matematici, il devastante predominio della tecnica sulla fantasia. La tecnologia rischia di fornire il reticolo tramite cui ingabbiare estro e creatività. Non volendo inseguire paradigmi luddisti, la soluzione può forse essere trovata in modo semplice e intuitivo.
La soluzione semplice a dirsi ma difficile a farsi, dovrebbe abbracciare gli strumenti tecnologici e accettarne la natura, appunto strumentale. In quanto strumenti, essi non hanno né una natura di per se positiva, né tantomeno negativa, ma strumentale. Non determinati, non decisivi, ma d’aiuto, di sostegno all’azione umana che è comunque ineliminabile.
Ausiliari quindi e mai sostitutivi. Così come questo ragionamento dovrebbe portare a una rivalutazione del VAR e non alla sua eliminazione, allo stesso modo negli scacchi l’uso di motori scacchistici non può essere considerata come la pietra tombale della disciplina, né si può ammettere che gli stessi vengano utilizzati nel corso di competizioni in cui è l’elemento umano, artistico, a dover essere centrale.
Non a caso la polemica nel mondo degli scacchi non riguarda tanto l’esistenza di questi motori, semmai l’assenza di controlli adeguati non tanto nelle competizioni globali, quanto nei vari percorsi che portano gli scacchisti a divenire GM, e qui sta un problema che la FIDE dovrà sicuramente impegnarsi a risolvere. Per venire a questioni più misere, ha fatto bene Carlsen ad abbandonare la competizione? A parere di chi scrive, no. Avrebbe potuto dimostrare sul campo la superiorità della sua arte. Occasione persa, sacrificata sull’altare dell’orgoglio. Che lo strumentale torni strumentale, e la creatività torni creatrice di valore, sostanza, epica. Nel calcio, negli scacchi, nel quotidiano.