Se proprio dobbiamo, parliamo di scommesse.
Nelle scorse settimane Valerio Staffelli, l’inviato di Striscia la notizia, ha provato a consegnare a Francesco Totti il decimo Tapiro d’oro della sua carriera, ma come la volta precedente l’ex capitano romanista non l’ha accettato. Allontanandosi scuro in volto.
Belli i tempi in cui rideva divertito quando gli portavano la statuetta dopo una sconfitta in un derby, quelli delle barzellette al bancone di un bar indefinito con Del Piero e dell’autoironia sulla sua romanità coatta, nel senso di “rozza” non “forzata”. Oggi Francesco Totti è un uomo di mezza età con tutti i dolori e le contraddizioni di quella crisi inutile e logorante che ti piove addosso tra i quaranta e i cinquanta, quando sei ancora convinto di avere le carte in regola per spaccare il mondo ma tutto intorno a te complotta per farti sentire qualcos’altro. Qualcosa che non ti piace. Ti senti ancora le energie di un leone, le abilità col tempo si sono raffinate, ma non servi più a nessuno.
«Un mio ex compagno mi ha chiesto scherzosamente ‘perché non vieni a darci una mano?‘. All’inizio gli ho risposto che non sono più un ragazzino, poi però mi è scattato qualcosa e gli ho detto che avrei iniziato ad allenarmi per poi vedere come mi sentivo».
Così rispondeva l’ex Pupone a chi gli chiedeva conto delle dichiarazioni di qualche mese fa, quando sembrava in procinto di accettare la corte di un’imprecisata “squadra di A”. A differenza di chi scrive, Totti dice di non sentire il peso del fisiologico declino fisico degli over quaranta: “Sembrava che avessi 30/33 anni”. Ma pure lui poi ci ripensa e la chiosa è quella classica di chi sta attraversando la crisi di mezza età: “Diventerei patetico”. È così che ci si sente quasi sempre in questa fase della vita, caro Francesco, e capisco che per un ex sportivo professionista è ancora più complicato accettarlo. Accetterebbe solo la Roma, dice.
Purtroppo per Totti, come tutti o quasi noi ultra quarantenni confusi e infelici, la Roma non chiama mai e così ci dobbiamo arrabattare e aggrapparci a ciò che capita. Intrappolati tra ricordi di un passato idealizzato e un presente anche solo normale. In questa condizione in tanti si gettano alla ricerca di adrenalina a buon mercato. Ma se a me, al massimo, propongono di andare a dipingere una parete nella scuola elementare di mia figlia, a Francesco Totti – che per quello che è stato potrebbe vivere di rendita, dal punto di vista emotivo, per tutta la vita e parecchie di quelle dopo – qualche bella occasione per risplendere capita ancora. Così, l’8 aprile, l’hanno invitato a fare da ambasciatore dello sport in Russia.
In Russia? Direte voi. Sì in Russia. Il nemico giurato dell’Occidente, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Proprio quel Paese che fino a tre anni fa una buona fetta della nostra politica portava a esempio per il buon governo di Putin. Lo stesso con cui commerciavamo praticamente ogni cosa. Il tempio antidemocratico che ci fa tanto orrore in un mondo dove il baluardo ultimo della civiltà è rappresentato da Trump, da Elon Musk che fa il saluto romano per indicare in cielo dove si posizionerà il suo prossimo satellite spia e da Ursula Von der Leyen e le sue politiche di riarmo da ottocentomiliardi.
È proprio in Russia che Totti, nel bel mezzo della crisi di mezza età cominciata con lo “Speravo de morì prima” di antica memoria, ha parlato su invito di uno sponsor.
Trattative di pace? Dazi doganali? Compravendita di armi o idrocarburi? Ovviamente no. Tutto nostalgia, memorie del passato, quanto mi era simpatico quello o quanto si è comportato male quell’altro. La Roma, gli allenatori, i compagni di squadra, gli avversari. Il solito ma con traduzione simultanea e sottotitoli in cirillico, in una scenografia tra gladiatori e Colosseo. Che lo faccia in Italia, in Giappone bevendo saké con Nakata o nella tanto vituperata Russia, che differenza può fare dal punto di vista politico, che è poi il piano su cui è stato criticato.
L’imperatore sta andando alla Terza Roma, è comparso scritto in cirillico su cartelloni e poster che lo ritraevano affissi in giro per Mosca, e in tanti hanno trovato la scelta della bandiera romanista quantomeno controversa. Di sicuro Totti ha sbagliato ad associare la sua immagine a uno slogan tanto banale quanto connotato politicamente, ma glielo avranno letto prima di appenderlo in giro? Al Bano, che in Russia è un idolo, si è detto dalla sua parte, il coordinatore romano di +Europa, Andrea Massaroni lo ha pregato invano di rinunciare:
«Rappresenti per Roma, per l’Italia e per milioni di persone molto più di un grande campione sportivo: sei simbolo di generosità, cuore e valori positivi. Per questo ti rivolgiamo un appello sincero e affettuoso: Francesco, Roma ti ama per il tuo cuore e la tua generosità: non permettere che siano associati a chi calpesta diritti umani e democrazia».
A lui e a tutti gli altri ha replicato invece Francesco, prima di volare a Mosca: «Da anni vado in tutti i Paesi in cui mi invitano a parlare di sport e non avrei problemi ad andare a Kiev, per le stesse finalità». La campagna mediatica per spingere Totti alla rinuncia ci ha ricordato in misura ridotta quanto accaduto in passato con la nazionale italiana di coppa Davis, spinta senza fortuna a rinunciare alla finale del torneo 1976 nel Cile di Augusto Pinochet, ma in modo forzato, quasi un atto dovuto. Uno schierarsi dalla parte del bene perché così si fa. Ecco.
Leggi, approfondisci, rifletti. Non perderti in un click, abbonati a ULTRA per ricevere il
meglio di Contrasti.
Abbonati
Davanti alla prospettiva di “un inchino al regime di Putin” come ha scritto qualcuno, che altro non è che la partecipazione come ospite d’onore all’International RB Award, un evento che credo interesserà poco o nulla allo zar degli oligarchi, in tanti o quasi tutti hanno ignorato che l’invito gli è stato rivolto dalla principale agenzia di scommesse russa. Sui cartelloni, infatti, c’è scritto 18+, vietato ai minori. E tutta questa storia ha portato non poca pubblicità a Bookmaker Ratings, come dichiarato dal suo direttore generale Asker Tkhalidzhokov:
«Si tratta indubbiamente di un successo. Per le cerimonie precedenti non abbiamo avuto una tale copertura nei media stranieri. Decine di testate italiane hanno già pubblicato articoli in cui appaiono il nostro logo e quello del premio, e quindi è una campagna pubblicitaria di successo»
Mi è impossibile immaginare Totti a capo di una fronda europea anti-putiniana – nemmeno a carattere rionale romanesco – ma mi piacerebbe che quelli come lui, o Del Piero, Luis Figo, Emmanuel Adebayor e Cafu, altri che in passato hanno partecipato all’evento, si rifiutassero di promuovere il gioco d’azzardo. Crisi di mezza età o meno, cifre a sei zeri o meno. Su quel tema sì potrebbero far valere davvero la loro storia e la loro passata professione. Che alla geopolitica pensino le diplomazie.
In radio e in tv Lino Banfi ci ricorda che il gioco “deve essere uno sfizio non un vizio”, ecchecchezzo. Ma al contrario (davvero?) del nonno d’Italia, sfilze di ex giocatori in difficoltà a scendere a patti con il trascorrere degli anni e di un posto nel mondo non così centrale come si aspettavano, ci invitano subdolamente a lasciarci andare. Con il consenso della stessa opinione pubblica che, poco più di un anno fa, si addolorava per i poveri Tonali e Fagioli, messi in ginocchio dalla ludopatia come tanti giovani e meno giovani che, a differenza loro, non hanno firmato un contratto da dieci milioni l’anno o giù di lì, né dispongono di talento pedatorio a sufficienza per ripagare gli eventuali buffi – per dirla romanesca, alla Totti.
Nella stagione 2004-05 Ruud Gullit condusse il Feyenoord a un deludente quarto posto, di fatto concludendo la sua carriera da allenatore di alto livello. Così nel 2011 si gioca l’ultima carta buona nel suo mazzo e accetta la corte del Terek Groznyj, squadra di proprietà del dittatore ceceno Ramzán Kadýrov, aka “il macellaio”. I giornali lo descrivono ormai in fin di vita per una necrosi pancreatica acuta, ma di fatto Kadýrov e i suoi accoliti governano la Cecenia dal 2007 con metodi autoritari e violenti e nel 2022 si dice abbia addirittura partecipato in prima persona all’assedio di Kiev.
Protetto dal dittatore, Gullit doveva risollevare la squadra dalle secche della zona retrocessione della serie A russa, ma dopo appena sei mesi viene sollevato dall’incarico perché, parole del suo sanguinario magnate: “Invece di rimboccarsi le maniche pensa solo a bar e discoteche”. Come hanno reagito in quel caso la società civile e il mondo del calcio tutto? Nello stesso 2011, prima a marzo e poi a maggio, Kadýrov organizza due delle partite nostalgiche tra ex stelle dalla location più politicamente scorretta di sempre, lo stadio di Grozny. La prima contro un’All-Star del Brasile, con l’ex San Paolo e PSG Raì che si dichiara “pentito” per avervi partecipato:
«È stato un evento di carattere politico e populista. Ci hanno pregato di non giocare al massimo visto che la partita doveva aveva un carattere scherzoso».
Con lui ci sono pure Dunga, Romario, Bebeto, Cafu (di nuovo), Zé Maria, Denilson e molti altri. Nel suo “feudo personale”, come racconta il Guardian, a maggio si presentano invece ex campioni da ogni pare del mondo, per un 5-2 finale con Kadýrov assist man di quattro gol sui cinque della squadra vincente. Il pubblico grida “Ramzan! Ramzan!” e Maradona, Franco Baresi, Costacurta, Ayala, Platt, Fowler, Francescoli, Zamorano, Papin, Barthez e Figo accettano con il sorriso di fare da sparring partner.
“Che colpa ne ho se sono giovane, bello e la gente mi ama?” si chiedeva in quegli anni il dittatore.
Da Ozil con Erdogan a un giovane Maradona con Videla e poi da uomo fatto addirittura Ahmadinejad; da Pelé con Emílio Garrastazu Médici e Mobutu Sese Seko all’intero panorama calcistico italiano con Gheddafi e suo figlio Al-Saadi (qualcuno ricorda la Supercoppa Italiana a Tripoli e le sortite in A del pargolo del colonnello?); per non aprire il cassetto dei rapporti tra FIFA e dittature di mezzo mondo, dall’Italia fascista nel 1934 all’Arabia Saudita di oggi; campioni e istituzioni calcistiche si sono compromesse con il potere, pure se violento e antidemocratico, senza nessuna vergogna e da sempre.
Così perché prendersela con Totti se, una volta in più, uno sportivo decide di fregarsene della politica per lanciarsi a capofitto su un buon bottino, tra l’altro a detta degli organizzatori il più ricco di sempre per il premio?. Il brutto, semmai, dovrebbe essere che quel bottino è frutto delle scommesse sportive e andrà ad alimentare quel mercato. Un male necessario secondo qualcuno, e tra i pochi modi per far fronte alle crescenti sfide economiche delle società calcistiche del terzo millennio, ma comunque l’ennesimo subdolo attacco ai portafogli di una classe media impoverita e spinta verso il vizio patologico da quegli stessi campioni che idolatra.
Una massa da spolpare e poi gettare nel bidone dell’indifferenziata con la complicità di tanti sportivi – da Totti in giù, l’elenco è lunghissimo e denso di Campioni del Mondo – che in un settore dove sì, potrebbero incidere in positivo, rinunciano a fare la cosa giusta per qualche buon ingaggio. Totti non inciderebbe per nulla, con la sua scelta di campo a favore dell’Ucraina o della Russia, sulle sorti di una guerra che diplomazie internazionali da anni si stanno impegnando a non chiudere, ma una sua scelta di campo netta sul tema delle scommesse potrebbe davvero segnare il destino di qualche ragazzo.
Il marketing dei testimonial, dopotutto, serve a incrementare le vendite e un’agenzia di scommesse vende sogni e speranze in cambio di denaro, ma è tarata per vincere sempre.
Più che chiedere a Totti di prendere una posizione su tematiche di geopolitica che non gli competono, e che il mondo del calcio non si è mai premurato di considerare discriminanti, andrebbe proposto a tanti ex campioni di rinunciare a farsi veicolo di propaganda del gioco d’azzardo. Ma nessuno sembra interessato a prendere in considerazione l’argomento, meglio sfruttare l’occasione per altre invettive anti russe. Sino a che non sarà firmata una pace e allora tutti amici come prima.
Negli ultimi giorni il presidente della nazionale italiana di calcio a 7 ha proposto a Totti di partecipare ai mondiali in Brasile da capitano, un ruolo che vista la sua crisi di mezza età gli si addice molto di più di quello di ambasciatore in Russia del gioco d’azzardo. Ci sentiamo di consigliargli di accettare, una coppa del Mondo è pur sempre una coppa del Mondo, anche nella sua versione a campo ridotto. Molto meglio che far pubblicità al gioco d’azzardo. In Russia o da qualsiasi altra parte.