Interviste
14 Dicembre 2017

Chi vi paga la schedina

Intervista a Fabio Schiavolin, l'amministratore delegato di Snai, la società di scommesse storicamente più importante in Italia.

Il modo di fruire lo sport è in rapido cambiamento, e in veloce mutazione sono anche i servizi che lo permettono. Tra i più ingombranti c’è la scommessa sportiva, per la grande diffusione di spazi pubblicitari delle società di scommesse sui media. Per capire come sta cambiando il sistema, abbiamo intervistato Fabio Schiavolin, amministratore delegato di Snaitech S.p.A, la società nata due anni fa dalla fusione di SNAI e Cogetech. Nell’immaginario collettivo la schedina rappresenta ancora oggi un legame con il mondo “analogico” cui spesso si guarda anche con un po’ di nostalgia. Oggi però le cose sono cambiate, e il modo di seguire le partite scommettendoci non è più quello del tredici al Totocalcio: si gioca live, da dispositivi mobili, scegliendo di volta in volta su quali eventi puntare e quali no, mischiando anche competizioni e sport diversi. Tanti i siti in Rete, come ad esempio xbetting.online. Un funzionamento così personalizzato può condurre a un individualismo ancora maggiore, tuttavia non tutti gli operatori del settore si muovono in questo senso.

Chi è SNAI oggi?

SNAITECH oggi è una società quotata in borsa che ha alle spalle più di un secolo di storia, dato che muove i suoi primi passi nel 1906 a Milano attorno alle corse di cavalli, per poi crescere e diventare un nome storico, quasi simbolico. Essendo nati nei presidi fisici degli ippodromi, poi divenuti punti scommesse, siamo una società che ha nel retail tradizionale la componente maggiore di ricavi ed è leader del mercato nelle scommesse ippiche e sportive in agenzia. Per quanto riguarda l’online, negli ultimi anni stiamo lavorando intensamente in termini di ricerca e sviluppo e devo dire che stiamo raccogliendo ottimi risultati in termini di redditività. Siamo arrivati forse più tardi ma stiamo compensando con una strategia profondamente differente.

Dove costruite la vostra differenza?

Noi cerchiamo di raccontare un modo diverso di fare scommesse e marketing delle scommesse. Si vede molto da come comunichiamo con i nostri clienti: non pubblicizziamo il prodotto in sé, piuttosto l’esperienza, il vissuto, il fatto di riportare la scommessa nella dimensione dell’intrattenimento. Rispetto ai fenomeni che osserviamo sia nel gioco che nello sport, da un lato siamo molto vigili nel controllo delle devianze o dei comportamenti irregolari che dallo sport si riflettono sul gioco, in collaborazione con le Forze dell’Ordine. Nel 2013 siamo stati i primi in Italia a lanciare un progetto formativo con una squadra di serie A, il Genoa, sui danni collaterali e i rischi creati dal match fixing, un progetto pilota che ha ispirato i programmi formativi oggi normalmente previsti da leghe e federazioni sportive. Di questo siamo orgogliosi perché vogliamo che il calcio (e gli altri sport, ma il calcio fa il 65% del nostro volume) rimanga integro rispetto ai tentativi di manipolazione. Questo perché oltre all’illegalità intrinseca, i comportamenti sbagliati vanno anche a minare la credibilità della scommessa che noi vogliamo invece tutelare. Altro profilo di particolarità è l’interpretazione che diamo alla sponsorizzazione delle squadre di calcio: più creativo e meno “tabellare”. Il conflitto d’interesse non c’è perché i ruoli sono separati, ma per noi è fondamentale far leva su ciò che unisce i nostri clienti ai tifosi di una squadra: la passione.

Non vi sembra che da questo punto di vista vi sia una forte sovraesposizione delle agenzie di scommesse? 

Personalmente la sovraesposizione la notiamo e la riteniamo poco positiva, ma sono le regole del mercato a disciplinare la pubblicità. Infatti noi abbiamo cercato di rinsaldare pochi rapporti con poche squadre sia con la promozione del nostro prodotto che con i programmi di educazione di cui accennavo prima. Per noi l’integrità dello sport, la cultura della passione più pura sono il fondamento del nostro prodotto, perché la trasparenza è alla base della credibilità su cui noi costruiamo il nostro business.

“Carrarese – Pro Patria?” “Ics.”

Dal punto di vista culturale, l’Italia porta anche con sé un modo diverso di scommettere, totalmente diverso da quello anglosassone. La nostra cultura popolare è intrisa di esempi dove ad essere importante non è tanto la vincita quanto il contorno: penso per esempio a “Eccezzziunale… veramente” con Diego Abatantuono, dove tutto il film si gioca attorno a uno scherzo riguardo la schedina, o anche al brano “Grazie Mille” degli 883 in cui gli amici del protagonista prendono “un’accoppiata secca alla SNAI”…

E che non era product placement! Proprio per questo motivo noi ci dobbiamo comportare in modo diverso dagli altri operatori. In Italia fino agli inizi degli anni 2000 i giochi erano quasi tutti a totalizzatore: tante persone giocano e concorrono a formare un montepremi che poi viene suddiviso tra i vincitori. Questa modalità è stata soppiantata in maniera violenta dalla giocata a quota fissa, in cui il giocatore già quanto potrà vincere, ed è in grado di combinare la giocata. In questo modo la platea di giocatori è cambiata. Noi come Snai puntiamo più alla leisure betting, la scommessa di puro intrattenimento, in cui conta più il percorso di sfida e di gioco che non la vincita in sé: noi vogliamo più scommettitori per passione che per professione. Il trader di scommesse non è un cliente che ci interessa, perché non è legato a noi se non per il profitto. Allo stesso modo non ci interessa il giocatore patologico: non abbiamo nessun interesse a creare una dipendenza distruttiva.

Anche perché il mondo si sta spostando sempre più sulle nuove tecnologie e sul digitale.

Infatti l’80% del nostro traffico avviene da mobile. Questo perché il mobile è il second screen: si vede la partita dal vivo o in tv ma lo smartphone è il secondo schermo su cui seguire gli eventi. Fino a 5 anni fa il pre-match pesava per il 95% lasciando al live il 5%, nel nostro caso oggi sul live siamo oltre al 50%. Questo perché l’utente non solo si confronta con la sua propria capacità preventiva ma anche con la sua emozione. Cambia non solo il canale, quindi, ma il tipo di giocata.

Ma così facendo resta – se non aumenta – il rischio di aumentare il gioco compulsivo

 Sì e infatti è parallelo lo sforzo di comunicazione e di controllo dei giocatori, soprattutto ponendo una serie di limiti nell’accettazione delle giocate e facendo informazione sul rischio ma anche sull’approccio sano al gioco. Come nel caso del vino, chi ha a che fare con un bene che può essere usato in maniera deviata deve stare molto attento a quello che fa, ed è bene adottare un approccio etico e responsabile.

Franco Franchi e Ciccio Ingrassia seguono alla radio i risultati della schedina che li renderebbe milionari

Resta però la difficoltà di collimare la pervasività nei media – che avviene anche con interi blocchi e pagine dedicati – con la necessità di far profitto che ha anche Snai, in quanto società quotata che deve fare profitto.

Il nostro prodotto è concepito come accessorio alla socialità dei clienti: c’è sempre meno intermediazione del personale con gli utenti perché loro sanno già cosa vogliono. Tendenzialmente, infatti, le nuove generazioni usano le sale scommesse non solo come spazio dove confrontarsi, ma anche come luogo in cui assistere alle partite: puntiamo infatti molto sullo streaming anche nel punto vendita. Si gioca ma si offre anche tanto sport. Chiaramente il mix è sempre perfettibile, e il profitto noi lo perseguiamo proponendo un’esperienza che deve costare la perdita minima possibile. Un investimento di qualche euro può essere paragonabile a quello investito per andare qualche ora al cinema; lo stesso tempo che si può trascorrere con gli amici in una sala gioco moderna, più accogliente di quelle di un tempo.

Tuttavia potrebbe sembrare ipocrita sostenere da un lato il guadagno col gioco d’azzardo e dall’altro dire che il centro è la socialità dell’evento: poiché, se comunque Snai può essere la mosca bianca, la presenza delle agenzie di scommesse è talmente pervasiva che quel che resta sono solo gli inviti a spendere e non certo alla socialità 

 Io sono sempre molto cauto nel criminalizzare i prodotti a prescindere: non è l’acquisto di una scarpa di lusso a fare di una donna una compratrice compulsiva, è casomai il fatto che quell’acquisto superi le capacità economiche di chi lo compie. È una scelta personale e il lavoro va fatto sul singolo, non sul tipo di prodotto.

Certamente, ma le persone non dovrebbero essere abbandonate a loro stesse. Una persona che gioca al gratta e vinci 20€ quando con quei soldi potrebbe comprarsi un libro, fa una scelta di preferenza chiara di cui forse anche lo Stato dovrebbe interessarsi

 Per formazione e personale visione del mondo non credo nello Stato Etico e sto molto attento a cercare nello Stato una forza educatrice; penso che i cittadini debbano essere lasciati il più liberi possibile di fare le proprie scelte. Non credo che lo Stato debba avere il potere di decidere se una sala gioco debba stare a un tot metri da un centro trasfusionale, per esempio. Già con le scuole è diverso, ma il nostro prodotto è riservato ai maggiorenni, quindi il problema non si porrebbe.

Allo stesso tempo, però, non si vuole lo Stato educatore ma si ammette che tutti i canali trasmettano h24 la pubblicità di servizi di gioco e scommessa. Anche se voi non siete gli alfieri di questo modus agendi, ne rientrate per appartenenza al settore.

È così, ma le campagne pseudo-moraliste tipiche in Italia mi spaventano perché non vorrei arrivare al punto in cui qualcuno ci dice quello che dobbiamo fare: vorrei non arrivare a quello cercando, col piccolo seme della nostra azienda, di proporre un modello meno invasivo e più umano. Ecco perché insistiamo nel cercare nuovi modi di avvicinarci ai potenziali clienti, perché abbiamo nei loro confronti un approccio chiaro e responsabile, anche in virtù del nostro nome, che non è solo puro brand.

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