Papelitos
04 Gennaio 2025

Antonio Conte, ma chi te l'ha fatto fa'

A Napoli l'immaginazione ha superato la realtà.

Napoli, abbiamo un problema. E il tutto farebbe anche sorridere se non fosse una questione seria, concreta, fino al punto che addirittura ne viene chiesto conto all’allenatore della squadra Antonio Conte. Ieri, nella conferenza pre-partita in vista della difficile sfida degli azzurri a Firenze, è stato domandato al tecnico del Napoli:

“Lei si aspetta che questa squadra possa fare ancora di più?”

Una domanda che solo apparentemente può sembrare neutra, ma che in realtà nasconde un umore che si sta diffondendo tra i vicoli della città, oltre nel “dibattito” social-mediatico (sic!) intorno al calcio. Conte, visibilmente sconsolato, un po’ imbarazzato, un po’ rassegnato, si è trovato costretto a rispondere – ma forse già sapendo che un simile messaggio, tanto autoevidente e tautologico, non sarebbe neanche passato – così:

ma guarda, fare di più significa essere da soli in testa alla classifica. Alla fine sono 41 punti, cioè io non so cosa vi aspettavate, cosa speravat… cioè io non … a volte mi faccio delle domande… noi stiam tirando la macchina al massimo, questo significa, che la macchina nostra è al massimo, noi stiamo andando al massimo dei giri, questo è il discorso però ripeto, io cioè… mi sarò perso qualcosa perché se qualcuno si aspettava di più… boh… con tutto il rispetto eh, mi sembra che questi ragazzi stiano andando oltre le proprie possibilità, oltre le più ottimistiche previsioni”.

Perché dicevamo che in teoria ci sarebbe da sorridere, perché di base non si può prendere sul serio qualcuno che chiede al Napoli di Antonio Conte di fare più di quello che sta attualmente facendo. È talmente assurda come richiesta che andrebbe liquidata come una vera e propria provocazione, quasi come un paradosso, ben che vada come un inutile masochismo; eppure la questione diventa seria perché, purtroppo, è reale, sul tavolo. C’è davvero, soprattutto in certe anime del tifo napoletano e in alcuni ‘commentatori’ ideologicizzati, una malcelata e strisciante insoddisfazione per ciò che sta facendo la squadra.

Onestamente, crediamo sia una delle cose più folli mai sentite nella discussione calcistica. Già trovavamo esagerate le contestazioni dei tifosi del Real Madrid a squadre magari vincenti, ma non sufficientemente spettacolari e dominanti, e però lì parliamo del Real Madrid e del Bernabeu, il più grande club al mondo abituato a vincere ma non solo: un club speciale con dei tifosi speciali, abituati al meglio del meglio, una superpotenza sportiva globale che si alimenta di elezione e particolarismo – qui sotto un ottimo articolo che lo spiega.



Ma il Napoli e i tifosi del Napoli signori, con tutto il rispetto: i media più o meno locali, gli influencer, le televisioni, le radio, i siti, hanno creato un problema laddove non c’era, anzi, laddove c’era una soluzione. Come se si prendesse un’azienda che funziona e produce utili, oltre le aspettative, in cui ognuno fa il suo dando l’anima e portando straordinari risultati, e smontarla perché l’immagine potrebbe essere migliore. O, proseguendo nella metafora contiana, come se avendo un’ottima macchina che sta andando al massimo dei giri del motore, guidata meravigliosamente (aggiungiamo noi), ci si lamentasse perché non è una Ferrari, perchè non arriva da 1 a 100 in meno di due secondi.

Torniamo al punto iniziale: ci sarebbe da ridere se non ci fosse da preoccuparsi, se questo non fosse emblematico di una narrazione assolutamente folle, sballata, surreale, che capisce di calcio quanto noi di fisica dell’atomo, per citare Mourinho. Parliamo di una squadra, il Napoli, che dopo il picco dello scudetto si era classificata l’anno scorso decima in Serie A, perdendo 14 partite su 38, e si trovava in uno stato di disarmo e caos; che oggi è in vetta alla classifica insieme all’Atalanta e che al momento tiene dietro una delle 4-6 squadre più forti del mondo, l’Inter.

Ci mettiamo allora nei panni di Antonio Conte e, davvero, ci cadono le braccia.

Sembra di avere a che fare con quelli che rimproveravano a Cristiano Ronaldo, quando aveva la media di un gol a partita, di non fare pressing con la squadra. Gente che, delle due l’una, o è in malafede oppure dovrebbe cambiare mestiere; o è imbevuta di ideologia fino al midollo, oppure di calcio come fenomeno umano e quindi sportivo non conosce neanche le più basilari dinamiche.

Il problema è che la questione sta in piedi non solo per il fanatismo di alcuni presunti commentatori, per cui ormai questo sport o è calcio spettacolo o non è, o è calcio dominante o non è (fanatici e un po’ psicotici a cui purtroppo in tanti, troppi, senza mezzi e competenze sono andati dietro sul web) ma anche per il particolarismo di una realtà, quella napoletana, che è stata troppo fertile all’ideologia del populismo estetico calcistico, declinata quando nel sarrismo quando nella ‘grande bellezza’ del Napoli di Spalletti.

Un punto di vista riassunto da Paolo Sorrentino, tifosissimo del Napoli, che la scorsa settimana ha dichiarato in un’intervista: «Come spettatore, cerco lo spettacolo e non solo il risultato», spiegando che per questo motivo non era ancora riuscito ad appassionarsi profondamente al Napoli Contiano. Sorrentino però è uomo di spettacolo, vive nella dimensione dell’estetica (in senso lato) per il suo lavoro, si muove secondo altri canoni. Il problema qui è che in molti la pensano come lui.



Un sentimento calcistico che riprende, volgarizza e assolutizza uno dei tanti tratti napoletani, quello della dell’ostentazione, dell’unicità, dell’essere inimitabili e speciali, come a dover dimostrare al mondo di essere altro: più belli, più nobili, più umani, meno schiavi della logica produttivista e disumana per cui ‘vincere è l’unica cosa che conta’. Benissimo, se solo poi se ne fregassero del risultato. Invece molti a Napoli, neanche fossero dalle parti del Bernabeu, pretendono di giocare bene e vincere pure, come se poi il club avesse questa tradizione di calcio-spettacolo nella sua storia. Sarebbe molto meglio se dicessero, un po’ come quella frangia interista che non ha mai accettato Conte:

è uno juventino nell’anima, estraneo al nostro mondo, non lo sopportiamo e in fondo non lo sosterremo mai.

Magari fosse così. Invece dobbiamo sorbirci questa retorica moralista, adolescenziale e insostenibile del bel gioco ad opera dei nuovi sommelier calcistici napoletani (sic!), di quando c’erano loro (Sarri e Spalletti). È da allora, da Sarri in poi, peggio dal ‘sarrismo’ in poi, che la realtà calcistica napoletana è stata permeata da quella velenosa retorica, un po’ sudamericanista/bielsista, un po’ pezzente, un po’ social-friendly, del calcio spettacolo e dominante. Una retorica alimentata dai muezzin del bel giuoco’, da personaggi improbabili alla Trevisani e Adani, da nerd del calcio improvvisati analisti e commentatori in un mondo in cui ciascuno può dire la sua, e più la spara grossa più diventa virale.

L’intelligenza, il buon senso e da ultimo il dibattito sono quindi ostaggio di questa narrazione ultra-politicizzata e ideologica, di questo progressismo estremo e dogmatico prestato al pallone, una pazzia generalizzata che detta spesso l’agenda della discussione fino al punto in cui un allenatore del calibro di Conte si trova a dover rispondere a una domanda – e ad un sentimento diffuso – secondo il quale il Napoli, reduce da un decimo posto, primo in classifica, potrebbe fare di più. Come se fosse tutto un gioco.

Tanto si sa, Conte prende le squadre in difficoltà e le porta in vetta alla classifica, questo è pacifico e scontato no?, sostanzialmente implicito. E allora, già che tanto partiamo da questa base, quella in cui Conte arriva e il Napoli è automaticamente primo – come se dietro all’attuale posizione in classifica non ci fosse un lavoro mostruoso, un sacrificio enorme, una tenuta mentale e fisica impressionante – perché non provare anche a giocare meglio? Perché non soddisfare i palati fini dei tifosi napoletani e non solo loro?



Torniamo, ancora una volta, al punto iniziale: tutto ciò farebbe ridere se non fosse drammaticamente vero – e agghiacciante. Alcune persone hanno trasformato il calcio in un reality show che si alimenta di logiche politico-mediatiche, e la cosa grottesca è che noi siamo pure costretti a dover rimarcare certi concetti; a sguainare le spade per sostenere che le foglie in estate sono verdi e che 2+2 fa 4, per citare Chesterton. Stessa cosa Conte, che giustamente ‘si fa delle domande’, e che magari si sta accorgendo che pure lui che in questo mondo di svegli (woke) e di pazzi è un ferro vecchio, superato dal calcio nuovo e dai suoi nuovi valori.

Magari, rileggendola oggi, anche la cavalcata incredibile della sua Italia agli europei (una delle più emozionanti di sempre) poteva essere fatta meglio, difendendosi meno, attaccando di più! E pure quegli scudetti con Quagliarella, Matri, Pepe, De Ceglie, diciamo la verità, avrebbe potuto vincerli prima, in modo più spettacolare. Col Chelsea poi, reduce da un decimo posto, ha vinto sì una Premier ma vuoi mettere con il calcio-spettacolo offerto ora da Maresca, profeta del gioco, quarto in classifica dietro al Nottingham?

Antonio, ti diamo un consiglio spassionato: ritirati.

Non fai più al caso del calcio nuovo, ossessionato dalla vittoria con sangue, sudore e sacrificio quando questa si potrebbe tranquillamente raggiungere (così dicono) facendo il #belgioco e seguendo il vangelo secondo Lele Adani e comapgnia. O almeno, se non vuoi proprio ritirarti, scegli una realtà produttivista del Nord la prossima volta, tanto siamo certi che a Napoli arriverà un De Zerbi pronto a vincere scudetto, Coppa Italia e Champions League. Anche se purtroppo, pure andando altrove, non sappiamo quanto cambierebbe: ormai la narrazione woke applicata al pallone, così come la stupidità umana, arrivano ovunque e non hanno confini.

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