La storia visionaria dell'uomo che concepiva lo sport come una terapia.
Non avrà avuto gli stessi quarti di nobiltà di Charles Pierre de Frédy, barone de Coubertin, ma ne possedeva lo stesso sguardo visionario, Antonio Maglio. La storia del paralimpismo non sarebbe stata la stessa senza questo medico italiano dall’espressione apparentemente severa, sotto gli occhiali dalla montatura massiccia e dalle lenti spesse, che partendo dall’hinterland romano seppe coinvolgere il mondo intero nella sua missione.
Ci sono storie rivoluzionarie che si dipanano dai paesi di provincia, fuori dai centri nevralgici, all’ombra di idee, sogni, speranze.
Tutto nasce in Inghilterra, sul finire della seconda guerra mondiale. Il neurologo tedesco Ludwig Guttmann scappa dalla Polonia per sfuggire alle persecuzioni antisemite e arriva oltremanica. Qui diventa direttore di un piccolo ospedale a Stoke Mandeville, a due passi da Londra, il Centro Nazionale di ricerca sulle lesioni del midollo spinale.
Ci sono soprattutto giovani soldati lì dentro, ridotti su un letto dalle ferite di guerra e destinati a non rialzarsi mai più. Sono quasi tutti piloti della Raf. È uno spettacolo impietoso, che stringe il cuore. La meglio gioventù recisa per sempre. Guttmann però è un altro di quegli uomini che sanno vedere oltre. Decide che lo sport è la chiave giusta – forse l’unica – per dare un futuro a questi ragazzi. È una terapia per tenere in forma il loro fisico pur in uno stato irreversibile, ma soprattutto una medicina per il loro spirito.
Comincia a lavorare con la palla medica. Poi passa alle freccette, al tiro con l’arco, al polo. E poi, e sembra solo la prima follia della serie, al basket in carrozzina. Nel 1948 Londra ospita i primi Giochi Olimpici del dopoguerra. Per Guttmann è una folgorazione. Lo sport non più soltanto come mezzo per far guardare loro oltre la realtà, ma per plasmarne una nuova tutta per loro. Per mettere proprio il loro corpo al centro del riscatto psicologico.
I primi Stoke Mandeville Games, organizzati per quello stesso 28 luglio in cui si inaugurano i Giochi ufficiali, ospitano 16 partecipanti, 14 uomini e due donne, alle prese col tiro con l’arco. Sembra solo una minuta iniziativa. È invece una scintilla che accenderà una fiamma ancora oggi in combustione. La piccola manifestazione cresce di anno in anno. Nel 1952 gli SMG cominciano ad avere respiro internazionale con la partecipazione di una squadra di veterani di guerra olandesi. Una notizia che piano piano soffia la sua eco in giro per l’Europa.
La storia intanto si sposta in Italia, a Palestrina, poche decine di chilometri da Roma. Antonio Maglio ha una quarantina d’anni, è nato al Cairo e si è laureato a Bari, parla cinque lingue, è un neurologo e dirigente dell’Inail e viene invitato un giorno da un collega a visitare un centro in cui sono ospitati i medullolesi.
«È una lesione del midollo, questi non cammineranno mai più. Che facciamo, li lasciamo a letto per sempre?».
Riflette così a voce alta e parte da qui, Maglio. Dopo aver visto quei ragazzi, reduci ognuno da una storia diversa, da un incontro inaspettato col destino. Ma in Italia non c’è nulla che li possa aiutare a superare la loro condizione attuale. L’unico indizio è di nuovo Stoke Mandeville. Maglio ci crede, si informa, studia, approfondisce. E si mette al lavoro, coinvolgendo l’ente per cui lavora. Il 1° giugno 1957 a Ostia nasce il Centro Paraplegici, chiamato “Villa Marina”, con 38 pazienti e 100 posti letto. Questo diventa uno dei centri di eccellenza in Italia per la capacità di recupero fisico e psichico dei pazienti. Il dottor Maglio, come gli ha insegnato Guttmann, usa lo sport come terapia.
Insegna ai suoi ragazzi a nuotare, ad affrontare in carrozzina sport prima impensabili per loro come pallacanestro, tennistavolo, lancio del peso e del giavellotto, tiro con l’arco, scherma. Adatta attrezzature, inventa tutori (che non brevetta), pensa nuove sfide. Tre volte a settimana gli atleti si allenano in mare aperto nelle acque di Fiumicino. Ma non è finita. Il sogno di Maglio è molto più grande. È il più grande che gli possa venire in mente. Da quel momento le tappe sono ravvicinate. Il 1960 è la data da non fallire, con le Olimpiadi attese a Roma per la prima volta nella storia.
Il medico italiano contatta Guttmann. La sua idea è quella di far coincidere i due eventi – quello per normodotati e quello per disabili (ma siamo in tempi in cui neppure esistono le parole per dirlo) – di assimilarli non solo idealmente ma anche concretamente. Le prime Paralimpiadi di sempre – anche se ancora non si chiamano così – si tengono a Roma dal 18 al 25 settembre 1960 negli impianti dell’Acqua Acetosa, due settimane dopo la chiusura delle Olimpiadi.
Nella capitale si sfidano 400 atleti provenienti da 21 nazioni. Si affrontano nel biliardo e nella scherma (fioretto e sciabola), nel basket maschile, nel nuoto maschile e femminile (stile libero, rana e dorso), nell’atletica (giavellotto e giavellotto di precisione, lancio del peso e lancio del bastone), nel tennistavolo maschile e femminile (singolo e doppio), nel tiro con l’arco (maschile e femminile), nel tiro al bersaglio con freccette (squadre miste), nel pentathlon (tiro con l’arco, nuoto, giavellotto, lancio del peso e lancio della clava). L’Italia partecipa con una squadra composta interamente da pazienti del Centro Paraplegici di Ostia. Gli azzurri conquistano 80 medaglie, più di qualsiasi altra nazione in gara.
«Avete mostrato quello che può realizzare un’anima energica, malgrado gli ostacoli in apparenza insormontabili che il corpo le oppone» dice Giovanni XXIII a tutti i partecipanti.
Siamo di un quarto di secolo in anticipo sulle Paralimpiadi come si intendono oggi, e così riorganizzate solo dal 1984 in poi. Maglio ha un suo fuso orario interiore avanti a tutti gli altri. Ha dedicato tutta la sua vita ai suoi ragazzi.
«Erano i suoi figli» ha raccontato sua moglie Maria Stella Calà.
Dal gruppo di Ostia escono fuori atleti straordinari come Roberto Marson, 13 ori in sei edizioni dei Giochi tra atletica leggera, scherma e nuoto, Aroldo Ruschioni, Irene Monaco, Vittorio Loi e tanti altri. I progenitori di Bebe Vio, Luca Pancalli, Alex Zanardi, Monica Contraffatto e di tutti gli azzurri impegnati in questi giorni a Tokyo. È una storia, quella di Maglio, di Guttmann, dei loro ragazzi e ragazze e dei sognatori come loro, che avrebbe tutte le tonalità di una favola. Solo una cosa non coincide. È stato ed è tutto straordinariamente reale.