Altri Sport
04 Maggio 2021

Bob Morse aveva l'Italia dentro

Il biologo (e professore) più vincente della pallacanestro italiana.

Ci sono figure di sport difficili da dimenticare. Robert “Bob” Morse da Philadelphia è uno di quelli. Esponente di un basket diverso da quello di oggi, a partire dai regolamenti, è uno degli stranieri che hanno fatto la differenza nella pallacanestro italiana del dopoguerra. Ma lui non rappresenta soltanto una cifra tecnica e agonistica, ritrae anche un modo di vivere la vita, lo sport. Una maniera differente di dire sì alle opportunità che capitano. La storia di un biologo che si trasforma in campione e, anni dopo, in professore di Letteratura italiana.

Aprile 1975, finale di Coppa dei Campioni. La Ignis Varese affronta quelli del Real Madrid, galacticos anche con la palla a spicchi. Il parquet è quello dello Sporthal Arena di Anversa, Belgio.

I bookmakers neppure vorrebbero accettare scommesse, tanto l’esito dell’incontro appare scontato. Anzi, a qualcuno sembra già un miracolo il fatto che il quintetto lombardo sia lì. Eppure sono parecchi anni che la Ignis stacca il biglietto per la finale, dunque è decisamente tardi per sottovalutare una squadra senz’altro provinciale, ma che ormai può affrontare alla pari qualunque altra potenza europea. Alla vigilia, a far pendere ulteriormente l’ago della bilancia a favore dei madrileni è l’infortunio di Dino Meneghin. Uno dei pochi, almeno in teoria, in grado di assottigliare un divario tecnico comunque da dimostrare. Allora tocca proprio al Nostro salire in cattedra, tenere unita la squadra e fare la differenza.

La scudettata IGNIS Varese 1974/75: il biondo Morse di fianco a Meneghin, numero 11.(wikipedia)

Per capire un po’ meglio la personalità camaleontica di Bob Morse, bisogna tornare indietro di tre anni. È il 1972 quando uno studente americano atterra a Milano Malpensa, fresco di specializzazione universitaria, pronto a passare due anni in Italia per giocare a basket e perfezionare gli studi. Una sorta di Erasmus ante-litteram. Bob Morse è avanti, senza saperlo. Scende dalla scaletta dell’aereo un ragazzo di 21 anni, alto e biondo. Sembra quasi un attore e infatti non passa inosservato.

«Varese – racconterà un giorno – mi piacque fin da subito. Io arrivavo da una zona di campagna della Pennsylvania, ero abituato a vedere e a vivere la natura. Quando ho messo piede a Varese ho visto subito che potevo ritrovare un ambiente simile. Poi mi hanno portato sul lago, mi hanno mostrato le montagne e lì ho capito che quello era il posto per me».

Ha l’aria sveglia e sembra trovarsi al posto giusto nel momento giusto. A volte è questione di istinto e spesso è proprio questo a dargli le risposte essenziali, sebbene sia persona molto più razionale di quanto non appaia. Lui l’Italia, che altri studenti yankee tendono a snobbare, la sente familiare. Il gigante americano, 203 centimetri, è un biologo, ma oltre ad avere a che fare con formule e provette, è un’ottima ala.


Una pesante eredità


Il messicano Manuel Raga Navarro è l’idolo dei tifosi varesini ma sta per lasciare la Ignis. Il coach Aleksandar “Aza” Nikolic ha una mezza idea. Anzi, si tratta di un’autentica illuminazione: gli è giunta voce che c’è un americano, sbarcato per studiare in Italia, che con il pallone fa quello che vuole. Dicono che sia anche un ragazzo d’oro, di una disponibilità umana che molti cestisti italiani, meno capaci di lui, si sognano. La famiglia Borghi, proprietaria della squadra, lo vede giocare pochi minuti e tanto basta perché Bob ottenga la fiducia di chi conta. Ma almeno all’inizio il rapporto con i tifosi è burrascoso, e non per colpa dell’ultimo arrivato.

I sostenitori ritengono Manuel Raga insostituibile, e chiunque volesse prenderne il posto sarebbe considerato un vile usurpatore. Però il coach bosniaco, uno tosto e determinato, non cede alle pressioni della piazza e mette “il biologo” in campo per un’amichevole, proprio nello stesso ruolo di Raga. Alla fine del primo tempo i tifosi continuano a contestare, Morse non è entrato in partita e i fischi dagli spalti suonano come una bocciatura. Bob Morse – e sono quelli i momenti in cui si vede la tempra di un atleta – comincia il secondo tempo trasformandosi in un cecchino inesorabile.

Fa sempre canestro, tanto che al decimo cesto consecutivo, da una distanza siderale che il regolamento di allora non fa ancora valere tre punti, anche i più ostili si devono arrendere. In un attimo Robert si trasforma in Bob.

«L’idea era quella di fermarmi un paio d’anni per poi tornare negli States e completare gli studi. E invece sono rimasto a Varese fino al 1981. I tifosi mi dicevano “Hey Bob, tu qui in Italia hai trovato l’America”. Avevano ragione».

Negli anni ’70, anche grazie a lui, una media città produttiva della provincia lombarda, che oggi non supera gli ottantamila residenti, si trasforma nella piazza più importante della pallacanestro europea. La fama del biologo che va a canestro supera i confini italiani e le voci sul talento di Morse fanno il giro dell’Atlantico al contrario. Il ragazzo infatti viene selezionato con la trentaduesima scelta al Draft 1972 (lotteria per lo smistamento delle migliori stelle universitarie nella NBA) dai Buffalo Braves, nello stesso anno in cui la NBA preleva altri due futuri volti noti del basket italiano: Bob Mc Adoo e Chuck Jura.

Morse rimanda la decisione all’anno successivo, poi ancora a quello dopo, finché non passeranno dieci anni. In quel decennio la piccola Varese, realtà non ancora deindustrializzata né tantomeno roccaforte del Carroccio, fa suoi quattro Campionati italiani, una Coppa Italia e tre Coppe dei Campioni. Bob vince per sei volte il premio come miglior marcatore del campionato.

«Li chiamavano anni di piombo, per me erano anni d’oro, davvero memorabili. Anni durante i quali ho rafforzato il carattere, ho ampliato le mie vedute e sono diventato grande insieme con la Ignis».

A dire la verità la Ignis non ha atteso l’arrivo di Bob Morse per diventare grande. È dalla fine del decennio precedente che tutti devono fare i conti con la squadra della famiglia Borghi. Il signor Giovanni, “el cumenda”, è un imprenditore di successo nel campo degli elettrodomestici e crede molto nello sport come veicolo di propaganda del marchio, che nelle case degli Italiani è sinonimo di ottimi frigoriferi. Con adeguati innesti la squadra cresce anche a livello internazionale, così come il Varese Calcio raggiunge in quegli anni la massima serie. Dalla stagione 1968-69, la Ignis Pallacanestro riesce a vincere cinque volte la Coppa dei Campioni in appena una decade. Era già una grande squadra, ma con Morse è diventata leggendaria.

«All’epoca il vostro regolamento federale prevedeva che un giocatore straniero non potesse essere ceduto se non a una squadra neopromossa. Fu così che me ne andai a giocare in Francia».

Finito il periodo d’oro a Varese, Morse si parcheggia in Costa Azzurra all’Olympique Antibes. Potrebbe tirare i remi in barca e tornarsene in America, ma la voglia di novità ed agonismo ha ancora una volta la meglio. L’esperienza nella Nationale 1 dura dal 1981 al 1984, poi il richiamo dell’Italia è irresistibile: le Cantine Riunite Reggio Emilia riescono a tesserarlo per due stagioni. In Emilia Bob Morse disputa gli ultimi anni della sua straordinaria carriera, ma Reggio non è il cimitero degli elefanti, perché l’ormai ex studente universitario gioca ancora a grandi livelli, sebbene la trentina sia passata da un po’. Nel 1986 appende le scarpette al chiodo un biologo che era venuto in Italia per studiare e che, quasi per caso, è divenuto protagonista delle fortune della palla a spicchi varesina ed italiana.

Spalle a canestro, con la canotta 9 nel 1978/79.

Per finire, torniamo dove inizia il nostro racconto, ad Anversa, per ricordare la partita preferita di Bob Morse. Nel quintetto base di quella sera c’è l’altro statunitense Charlie Yelverton, ma la sensazione è che il peso della squadra ricada quasi per intero su Morse. Il campo sintetico è in realtà una palestra con le basi dei canestri piazzate a un metro dalla linea di fondo; tra il pubblico e le panchine è questione di centimetri. Ad affiancare Morse nell’occasione è il giovane Sergio Rizzi, appena diciannovenne.

La scelta obbligata del coach Sandro Gamba fa subito pensare che per il Real Madrid sarà una formalità. Quei 40 minuti si rivelano il capolavoro di Bob Morse, trascinatore della squadra e titolare di 29 punti, ma il vero eroe è proprio il giovane Rizzi, portato in trionfo a fine gara. Rizzi realizza 13 punti, segnati nei momenti di maggior pressione. Finisce 79-66 per la Ignis.

Oggi Bob Morse è un settantenne che ha perso la chioma bionda, ha sconfitto una brutta malattia e vive a Portland dove, coerentemente al motto dell’Oregon, alis volat propriis (“vola con le sue ali”). Prima di trasferirsi qui, il Professor Robert Morseha insegnato per anni Lingua e Letteratura Italiana al Saint Mary’s College di Notre Dame, nell’Indiana. Anche nell’Oregon continua a insegnare l’italiano, rimanendo perfettamente se stesso. Novità e buone abitudini, perché due vite sono troppe, ma una di certo è poca. Personality goes a long way.

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Diego Mariottini

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