Calcio
09 Ottobre 2019

La lunga crisi del talento argentino

Le ragioni di un tracollo socio-culturale.

A Recoleta, quartiere ricco e residenziale di Buenos Aires, svetta “La Flor”; monumento floreale che simboleggia la rinascita moderna della capitale. Eppure, da quando la struttura è stata inaugurata nel 2002, l’Argentina ha aperto il proprio tracollo politico e sportivo, mancando sempre più la tanto attesa fioritura. L’opinione pubblica ha iniziato a capacitarsi dello sprofondo albiceleste durante l’era Sampaoli, domandandosi il perché e il per come di grandi esclusioni e immeritate conferme. La ragione che si nasconde dietro la crisi di talento della nazionale Argentina va ben oltre una semplice lista convocati, ma alberga intrisa nel sistema sociale del paese.

 

L’opera artistica citata in apertura sottolinea la presa di posizione degli ultimi governi, vale a dire sovvenzionare esclusivamente le zone chic delle metropoli, lasciando nel dimenticatoio l’anima dell’Argentina, la “villa”. Dalla Fuerte Apache di Tevez passando per la Villa Fiorito che ha visto crescere Maradona, le periferie sono sopravvissute grazie ai sussidi provenienti dalle società sportive, nelle quali lo Stato in primis investiva sul piano infrastrutturale. Soltanto così possono spiegarsi gli oltre 50 impianti sportivi presenti a Buenos Aires, nei quali hanno potuto scorrazzare i campioni che oggi calcano i grandi stadi europei. Invece, il passaggio di potere tra Nestor Kirchner e la moglie Cristina ha stravolto le poche certezze di cui le classi meno abbienti vivevano.

 

Il calcio ad El Apache Club, dove è cresciuto Carlitos Tevez (foto di EITAN ABRAMOVICH / AFP)

 

Il primo duro colpo la Kirchner l’ha inflitto al San Lorenzo, concedendo a Carrefour la costruzione di un centro commerciale presso Boedo e pignorando di fatto la concessione per il terreno di gioco al Ciclòn. Rompere il sacro legame fra club e barrio, in Argentina, significa normalizzare la magia, e consumare a poco a poco i sogni delle giovani promesse. Quei talenti che avrebbero voluto unicamente farsi le ossa nel proprio quartiere, sono stati vittime dell’europeizzazione perpetrata dalla CONMEBOL e dalla Casa Rosada a partire dal mondiale brasiliano, convinti che quello fosse il punto di partenza di una vittoriosa Argentina.

 

Al contrario, i ragazzi vengono spinti dagli “equipos chicos” verso i 5 grandi: Boca Juniors, River Plate, Racing, Independiente e San Lorenzo, con una precocità inaudita. Piccole realtà che hanno però scritto la storia del gioco quali l’Argentinos Juniors o il Gimnasia La Plata continuano a dover cedere le stelle di casa senza poter sperare in una plusvalenza futura. Ecco quanto accaduto tra le due società sopracitate e gli Xeneizes negli affari Hurtado-Mac Allister. Due profili di rilievo su cui aveva messo gli occhi anche il Genoa, la cui proposta di lasciarli in patria per un anno è stata sovrastata da una manciata di milioni boquensi. Il risultato è la continua fuga dalla retrocessione di ambo le compagini. L’europeizzazione è solo una delle tante cause della crisi del talento in Argentina.

 

Riprendersi la propria terra

 

La situazione si riflette soprattutto sui trasferimenti all’estero. Casi lampanti sono quelli di Barco e Balerdi, punte di diamante delle selezioni under ma gettate in pasto rispettivamente ad Atlanta United e Borussia Dortmund. Di loro si son perse le tracce. Desaparecidos per colpa di un dio denaro che però guarda più ai dirigenti che ai diretti interessati. Mauricio Macri, attuale presidente della Nazione, ha vissuto da vicino gli affari sportivi, essendo stato patron del Boca. Per questa ragione, molti argentini gli imputano di governare come se gestisse un’impresa, puntando esclusivamente all’uscita dall’inflazione ancora impossibile. Non a caso, le primarie di agosto hanno rivelato un consenso inferiore al 25%, provandogli addirittura paragoni con Silvio Berlusconi. In fin dei conti, le analogie tra le figure sono numerose. Così come i rossoneri col cavaliere al comando, anche il Boca Juniors visse i suoi momenti di gloria, con le dovute differenze.

 

Macri pretendeva una squadra chic, dal marketing scintillante, l’opposto rispetto all’anima della Bombonera. “Un paìs no es una empresa”, lo slogan principe della campagna antimacrista. Mauricio Macri ha voluto accelerare la modernizzazione di un Paese disomogeneo, provocando l’effetto inverso. Il candidato kirchnerista Alberto Fernandez sembra essere in testa, palesando la volontà degli argentini di tornare al passato, regredendo forse, ma con la stessa attitudine con cui si relazionano al calcio. L’Argentina non ha mai realmente conosciuto la giusta strada da intraprendere; quando l’ha saputo, a decidere sono stati i grilletti e non le schede elettorali. Il calcio ha salvato tante vite da un’esistenza grigia e sanguinolenta.

 

La crisi del talento in Argentina si oppone alla passione della gente, sempre presente
Un piccolo tifoso del Boca; la pioggia non può frenare la sua passione (foto di Marcelo Endelli/Getty Images)

 

La Superliga mette in mostra la propria magia senza VAR e tecnologie varie. Lo schema del cinco in mezzo al campo, i terzini prettamente difensivi e un diez con carta bianca su cui disegnare è invariato da oltre un secolo. Il pallone attuale è severo con chi rema nella direzione opposta, e i calciatori argentini lo stanno subendo. La preparazione dei talenti argentini prevede la sola sfera tra i piedi, mancando così di quella intensità che caratterizza il calcio odierno. I giovani si formano sulla base di tecnica e garra, connubio non applicabile dall’altro lato del Mondo.

 

Prendiamo in analisi gli argentini “europei” più illustri. Lautaro Martinez si affermò al Racing da goleador, in Italia ha conosciuto il sacrificio difensivo, lasciando qualche rete in favore di un grande lavoro tattico. È il destino di chi apprende la mentalità europea, che purtroppo non fa sconti a quelle straordinarie gemme oscurate dal grigiore del nostro calcio. Speranza, però, ce n’è: si vede la cattiveria di Paredes, la spavalderia di Foyth, una porta che ha degli eredi validi e la panchina saldamente affidata a un altrettanto giovane Scaloni.

 

L’Argentina può vivere la sua primavera, imparando dal buono del passato ma guardando al futuro, sia politico sia calcistico. Il prossimo presidente riporterà presumibilmente il kirchnerismo, alla meno peggio, magari con qualche manovra sulla disoccupazione e sul valore del peso. Come risolvere la crisi del talento in Argentina? In campo c’è da ispirarsi al Lanùs, una piccola squadra che ha saputo trattenere l’astro nascente De La Vega, dicendo no alla depredazione straniera, almeno per ora. Sono rincasati Crespo, Veròn, Milito e Diego Armando Maradona: Argentina no se rinde!

 

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Alberto Maresca

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