E noi con lui.
Chi da bambino non ha mai sognato di sedersi davanti alla televisione e guardare calcio all’infinito? Partite tutti i giorni, a tutte le ore, in un loop continuo. Ma il sogno infantile si è presto trasformato in incubo distopico, e il nostro torpore è risvegliato solo di tanto in tanto dalla pausa nazionali. Detto altrimenti: il calcio è diventato bulimico, i tifosi lo sanno ma non sono in grado di opporvi la giusta resistenza, mentre tra gli addetti ai lavori le voci del dissenso aumentano giorno dopo giorno.
Maurizio Sarri, uno dei soldati più fedeli alla linea, ha ribadito a Repubblica qualche giorno fa: “Ormai si ci allena solo al video. Quante partite un calciatore dovrebbe fare in un anno? Al massimo 50. Ne parlo da cinque anni, eppure mi accusano di cercare alibi e basta. In questi giorni in Spagna sta venendo giù il mondo per l’infortunio di Gavi, lo chiamano UEFA Virus“.
Sarri ha messo a nudo le contraddizioni del sistema calcistico. Dai calendari troppo fitti alle competizioni superflue, che poi non sono che la causa dei calendari. Sfidiamo chiunque ad andare fuori da un qualunque stadio europeo a chiedere il vincitore dell’ultima Nations League o – domanda per cuori forti – a farsi spiegare il funzionamento della stessa competizione. Solo l’ultima novità dell’UEFA (insieme alla Conference League, nata due anni fa) che ha deciso così di mungere ulteriormente una mucca ormai senza latte.
C’è addirittura chi ha proposto di giocare il Mondiale (dal 2026 a 48 squadre) ogni due anni. Senza capire che il fascino di queste competizioni sta proprio nella loro sporadicità.
Un gioco al massacro in cui l’unico a perdere è lo spettacolo, fra giocatori stanchi e campioni infortunati. In un calcio sempre più equino, dove la prestanza fisica la fa da padrone, il riposo e l’allenamento dovrebbero essere fondamentali. Invece ci ritroviamo nel clou della stagione calciatori esausti fisicamente e mentalmente, sfiniti dalle partite e dalla trasferte bibliche. È forse un caso se le ultime finali di Champions sono risultate piuttosto fiacche?
Quale sarà la deriva del calcio con questi ritmi? Quanto potranno reggere i muscoli degli over-30 del futuro?
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Oppure sarà un calcio sempre più a velocità turbo? Una perpetua lavatrice, con un continuo ricambio di protagonisti: spunta un campione, lo si spreme per qualche anno e poi avanti il prossimo. La responsabilità, ovvio, è in primis di UEFA e FIFA, ma come disse Ceferin tempo fa: “Nessuno rinuncia a niente”. Sono complici i calciatori, i dirigenti, gli allenatori, che con i diritti tv ci mangiano. Siamo complici noi, bulimici di calcio, noi che abbiamo esaltato Pedri come un eroe dopo le 73 partite senza accorgerci dell’altro lato della medaglia.
Ma nel mare di accettazione si leva qualche coro di dissenso. A chi in uno slancio populista accusa i giocatori di essere strapagati per giocare Van Dijk risponde: “Sono disposto a guadagnare meno per la mia salute“. Mentre dalle panchine oltre Sarri si sono più volte espressi sul tema Mourinho, Ancelotti, Guardiola e soprattutto Klopp, che forse fra i primi ha sollevato la questione oltre 4 anni fa: “Ci troviamo nella situazione per cui nessuno può immaginare di vivere senza calcio, eppure non è mai accaduto. Si gioca in continuazione, ma per garantire prestazioni adeguate bisogna concedere pause reali e ridurre i ritmi attuali”.
Un problema che peraltro non riguarda solo il calcio, già nel 2018 il tennista Alexander Zverev aveva dichiarato: “Giochiamo undici mesi l’anno ed è ridicolo”. Mentre il tema è attualissimo anche nel mondo del motorsport, dove il team principal della Red Bull Christian Horner ha recentemente dichiarato: “Allo stato attuale il calendario della Formula 1 è brutale e insostenibile“.
Il modello ovviamente è l’NBA delle 90 e più partite a stagione, in una visione del mondo che interpreta lo sport come una macchina in incessante movimento (= the show MUST go on).
Ma è così che si perde l’interesse, e nel mare magno di stimoli e cose da fare lo sport rischia di occupare un posto subalterno. Si è perso ed esempio il valore della Nazionale. Prima vedere gli azzurri era un evento, ora capita anche troppe volte. Il risultato? Dell’Italia non frega più niente a nessuno, tifosi e giocatori. E se anche i giornalisti, presunti guardiani dello sport e dello spettacolo, si girano dall’altra parte tirando ognuno acqua al proprio mulino vuol dire che forse il problema è strutturale.
Il Guardian qualche giorno fa ha indagato su questa nuova “era dell’eccesso” nello sport, con tornei sempre più grandi e partite sempre più lunghe. L’editorialista Sean Ingle ha interrogato esperti, commentatori ed economisti chiedendogli: “Is big always better?”. Ne sono uscite fuori delle prospettive allarmanti:
“Lo sport dovrebbe essere imprevedibilità e pericolo. Ma le recenti qualificazioni per Euro 2024 in Germania hanno avuto ben poco di tutto ciò. E anche se la Coppa del mondo di cricket maschile ha regalato alcune sorprese straordinarie, la sua fase a gironi prolungata ha drasticamente abbassato il valore di tali vittorie”.
L’esperto di marketing Beall poi afferma: “Tutti gli sport devono essere consapevoli della sovrasaturazione: la Ryder Cup, le Olimpiadi e il Lions Rugby devono il loro status proprio all’eccezionalità dell’evento che attira un notevole interesse da parte dei fan nei momenti chiave”. E l’articolo chiude poi con un profetico: “Allevate la gallina dalle uova d’oro, ma così rischiate di ucciderla!”.
Intanto il caso Gavi sembra aver smosso qualcosa. La FIFPro, il sindacato mondiale dei calciatori, ha detto: “Nella scorsa stagione Vinicius ha giocato nove competizioni e Pedri, a 20 anni, ha giocato più di 12.000 minuti, il 25 per cento in più di Xavi alla stessa età. I giocatori devono avere un riposo obbligatorio minimo fuori stagione di 28 giorni e all’interno della stagione di 14 giorni. D’altra parte, i calciatori devono avere almeno un giorno libero alla settimana. E, in terzo luogo, nel calcio devono essere introdotte linee guida per limitare il numero di partite consecutive”.
Ora intanto ci aspetta un altro turno di coppe europee, poi avanti tutta fino a marzo, compresi i weekend prima di Natale e Capodanno, dopo “pausa” Nazionali e via fino a maggio, infine chi in Germania per l’Europeo, chi negli USA per la Copa America. Nel mezzo la Coppa d’Africa, la Coppa d’Asia e le varie coppe nazionali ed internazionali. Ma alla fine di tutto questo cosa rimarrà? Tante, tantissime partite, ma quante da ricordare? Prima degli sportivi, si stancheranno gli appassionati. Sta già accadendo.