Tranne gli africani, che però contano meno di zero.
“Il vero problema è che le dichiarazioni di Jürgen Klopp rispecchiano alla perfezione il pensiero di tantissimi allenatori europei. La Coppa d’Africa, a dispetto delle loro idee, però, rimane una festa per tutto il Continente, dentro e fuori dal rettangolo di gioco”. Aliou Cissé, tecnico della nazionale senegalese, ha alzato ulteriormente il livello dello scontro nell’accesa diatriba politico-sportivo delle ultime settimane, rispondendo, in maniera veemente, alle polemiche connesse all’ormai prossima CAN (Coupe d’Afrique des Nations).
Così, a meno di un mese da quella che dovrebbe essere l’edizione numero 33 della massima competizione continentale africana, sono ancora le questioni di carattere extracalcistico a dominare le prime pagine dei media sportivi internazionali. La Coppa d’Africa rimane, per la maggior parte dei principali club europei, solo uno spiacevole inconveniente con il quale bisogna, malvolentieri, fare i conti ogni due anni. Le evidenti carenze organizzative dei vertici della CAF (Confédération Africaine de Football) e gli eclatanti ritardi manifestati dal governo di Yaoundé complicano ulteriormente, se possibile, l’avvicinamento alla competizione.
Nelle ultime ore, all’ennesimo rinvio nell’inaugurazione di quello che ormai viene soprannominato “lo stadio della discordia” – Olembé Stadium, alle porte della capitale -, si aggiunge, per rendere la situazione ancora più caotica, l’allarme di ordine pubblico connesso alle rivendicazioni dei separatisti anglofoni nel Camerun occidentale. Nel generale silenzio dei media internazionali, infatti, la nazione africana è stata travolta da un conflitto di carattere secessionista, che vede la minoranza anglofona del Paese, che già occupa due delle dieci regioni camerunensi, rivendicare l’indipendenza dal Governo centrale.
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La discussa elezione di Samuel Eto’o come nuovo presidente della Federazione calcistica del Camerun (Fecafoot) ha scatenato l’indignazione della separatista Ambazonia, che ha accusato l’attaccante ex Inter di aver sfruttato la propria visibilità mediatica per promuovere in maniera discutibile la prossima Coppa d’Africa.
“Ogni voto ricevuto rappresenta l’energia e l’ambizione della nostra famiglia calcistica di portare il nostro amato sport a un livello mai visto prima“, ha dichiarato un emozionato Samuel Eto’o poche ore dopo l’elezione.
Lampante, infatti, come alle ambiziose promesse degli ultimi anni dei suoi predecessori non sia mai stato dato realmente seguito. L’agognato, almeno dalla CAF, allargamento del torneo dalle 16 alle 24 squadre ha avuto come unico risultato quello di abbassare il tasso tecnico medio della competizione. Il numero di allenatori africani alla guida delle selezioni impegnate nella Coppa d’Africa continua ad essere relativamente basso (solamente 13 su 24), senza aver conosciuto la crescita generalmente pronosticata.
Nonostante ciò, le polemiche delle ultime settimane sembrano guidate esclusivamente da un’ottica egoistica, data dal voler curare il proprio orticello, anche se, probabilmente, l’illuminista Voltaire avrebbe avuto molto da ridire rispetto a questa interpretazione meschinamente egoista della sua nota massima. Qual è la logica che si cela dietro la critica aspra e quasi violenta nei confronti della periodizzazione della Coppa delle nazioni africane quando il Mondiale, il prossimo anno, vedrà giocare la propria gara inaugurale proprio a dicembre?
“Mi dispiace lasciare i miei compagni, ma per me èun onoredisputare questa competizione” ha recentemente dichiarato Frank Anguissa ai media napoletani. Non c’è da aggiungere altro.
Che il calcio africano non abbia conosciuto lo sviluppo che tutti auspicavano è evidente: i campionati nazionali si giocano in strutture inadeguate, le Federazioni sono costrette a confrontarsi quotidianamente con problematiche di carattere finanziario ed i giocatori spesso sono costretti a confrontarsi in leghe dove corruzione e combine sono all’ordine del giorno. La Coppa d’Africa, perfetto specchio delle problematiche sportive e non del continente, rimane però una competizione unica che merita di essere celebrata e rispettata. Con buona pace di Klopp e del suo little tournament.
I più grandi allenatori del calcio europeo sono tutti in un momento di svolta della propria carriera. Chi è in crisi, chi è profondamente cambiato e chi forse si è solo arreso.