Ad aver fatto la figura peggiore, forse, non è il portoghese.
Cristiano Ronaldo ha sbagliato, su questo non ci piove. Per i pochi che ancora non lo sapessero, ecco cosa è successo: i Red Devils hanno appena perso 1-0 contro l’Everton, quartultimo in classifica, e con grande probabilità hanno abbandonato il sogno di andare in Champions League. Di fatto la massima competizione europea, dopo 19 anni dall’ultima volta, rischia di vedersi privata del fuoriclasse portoghese. Uscendo dal campo il portoghese, sanguinante da una gamba e infastidito per la sconfitta, scaraventa a terra il cellulare di un ragazzino che lo sta riprendendo al rientro negli spogliatoi.
Nonostante siamo certi del fatto che se Ronaldo non avesse questi comportamenti da “rosicone”, passateci il termine, non sarebbe mai diventato il più grande marcatore della storia e uno dei più vincenti giocatori di sempre, lo ripetiamo ancora una volta a scanso di equivoci: ha sbagliato. Innanzitutto perché se percepisci 31 milioni di euro all’anno (esclusi sponsor) devi portare rispetto a chi viene a tifarti, a maggior ragione se chi ti riprende ha 14 anni e ti vede come un idolo. Ma banalmente anche perché, se sei un personaggio come Cristiano Ronaldo, non puoi regalare a chi sogna di vederti cadere da un momento all’altro certe occasioni.
Ad ogni modo le scuse da parte di CR7 sono poi arrivate immediatamente tramite il suo account Instagram: un po’ fa effetto vedere una foto sgranata su un account curatissimo come il suo per un post così importante. Allo stesso tempo però, scorrendo, si può notare come lo siano anche alcune con Georgina, la sua compagna, come a voler far sembrare che chi ha scritto il post e pubblicato la foto, in questo caso, sia stato davvero lui. E vista la sua attenzione ai bambini, non ci sorprenderebbe.
L’ammissione per cui non è sempre facile gestire le emozioni in momenti difficili – che tuttavia non giustifica il gesto, poiché bisogna essere d’esempio soprattutto per i più giovani –, poi le scuse e infine l’invito per una partita ad Old Trafford rivolto al giovane tifoso. Tutto risolto quindi? Assolutamente no, il problema viene dopo. Intanto con l’indagine aperta dalla polizia sull’accaduto, già di per sé una cosa ai limiti del grottesco, per cui da Merseyside fanno sapere che «le autorità stanno conducendo indagini e rivedendo i filmati delle telecamere di sicurezza». Ma poi, ancor più grave, non capiamo proprio la necessità (della madre in primis e della stampa poi) di sottolineare che Jake Harding, il quattordicenne in questione, sia autistico.
In Italia, stando ai dati del Ministero della Salute, 1 bambino su 77 è autistico. Sono decenni che le associazioni si battono per normalizzare l’autismo, e chiedono ai governi di sensibilizzare l’opinione pubblica e intraprendere attività in grado di far comprendere al meglio questo fenomeno: non è una malattia, bensì un disturbo del neuro-sviluppo. Eppure in nome della visibilità, delle views e delle reactions, si utilizza questo termine per alimentare il sensazionalismo social, rilanciando le interviste rilasciate dalla madre ai giornali di mezzo mondo con aperture del tipo “Ronaldo, reazione choc contro un ragazzo autistico” o ancora “Cristiano contro il bambino autistico”.
Il ragazzo è autistico. E allora?, rispondiamo noi. Per quale motivo deve essere sbattuta in prima pagina questa sua peculiarità? E non lo diciamo perché va nascosta, al contrario, ma perché un conto è parlarne per spiegare cosa sia, un altro è farlo per attirare click facili e generare polemica. A maggior ragione è di cattivo gusto (e ipocrita) se il 2 aprile è stata la giornata mondiale di consapevolezza dell’autismo istituita dall’Onu, e proprio sui social di chi fa apparire quel ragazzo come un “diverso” sono state pubblicate grafiche di ogni tipo per “sensibilizzare”.
Ciliegina sulla torta, è stata poi fatta passare per attuale da tutti i principali quotidiani, sportivi e non, la revoca di ambasciatore da parte di Save The Childrennei confronti di CR7. Falso! Immediata è stata infatti la smentita dell’organizzazione, la quale attraverso una nota stampa ha precisato: «La relazione con Cristiano Ronaldo si è interrotta nel 2018. Il calciatore, per qualche anno ha sostenuto il lavoro di Save the Children a supporto delle famiglie povere nel mondo, ma da quella data non è più un ambasciatore dell’Organizzazione». Tutto per il pettegolezzo.
Che importa se Ronaldo vende la scarpa d’oro vinta nel 2011 per 1.2 milioni di sterline e con quei soldi costruisce decine di scuole a Gaza, in Palestina – non è altro che una ghiotta occasione, come accaduto, per definirlo “antisionista”.
Importa ancora meno se nel 2013 ha venduto il suo Pallone d’Oro e i soldi guadagnati li ha devoluti alla fondazione Make-A-Wish, da sempre impegnata per garantire sollievo ai bambini con malattie terminali. O se nel 2014 ha dedicato un appello durante il discorso di premiazione per il Pallone d’Oro ai bambini malati di leucemia. Se nel 2016 ha mostrato la sua vicinanza ai bambini siriani coinvolti nella guerra che affliggeva il loro Paese, chiedendo proprio a Save The Children di non rivelare la cifra donata in loro favore. Non si contano i bambini che ha incontrato in questi anni e quelli a cui ha finanziato le cure mediche, anche se in condizioni ormai compromesse, come nel caso di Nuhuzet Guillen. Come non si calcolano le donazioni di sangue e di midollo osseo che fa da anni.
In conclusione, ogni volta che l’eroe sbaglia tutti sono pronti a puntare il dito per guadagnare quel famoso quarto d’ora di visibilità, magari senza ricordarsi di chi sia davvero Cristiano Ronaldo. Un fenomeno, certamente, e le prestazioni in campo lo dimostrano; un uomo che sbaglia, e ne abbiamo avuto la certezza dopo il brutto gesto compiuto ai danni del quattordicenne; ma prima di tutto un ragazzo che a 12 anni è dovuto andare via da casa per diventare un calciatore, e che a soli 21 anni ha perso il padre per alcolismo. Esperienze che hanno contribuito a formare la sua sensibilità, sicuramente su certi temi più sviluppata di quanto possa essere quella dei moralisti (da tastiera) e di una buona parte dei media.