Bisteccone e la sua genuinità, una storia da raccontare.
Giampiero Galeazzi non ha il Parkinson, dunque. Il celebre conduttore-giornalista soffre ormai da molti anni di diabete, una salute “che va su e giù”, complice l’età (72 anni) e uno stile di vita che lo aveva portato a superare il quintale e mezzo di peso. A rivederlo così, dopo tanto tempo, buttato su una sedia a rotelle, in quella “Domenica In” che a metà anni Novanta era stata la sua casa, in molti erano trasecolati: lo davano già per morto, o quantomeno agli sgoccioli, complice anche un riferimento agli “ultimi 500 metri” di una esistenza piena di avventure e aneddoti.
Un ritorno di popolarità involontario, come involontarie sono state gran parte delle circostanze che hanno determinato la fortuna professionale di Galeazzi. E’ infatti il 1970 quando l’ex campione d’Italia di canottaggio, cresciuto nelle file del C.C. Roma, deve partecipare a una partita di tennis – un doppio, da giocare assieme a Renato Venturini, giornalista radiofonico della Rai.
Quando l’aitante Giampiero si presenta in via del Babuino per prendere l’amico, Gilberto Evangelisti – fratello del potente Franco, braccio destro di Andreotti a Roma, e soprattutto numero uno della redazione sportiva dell’emittente di Stato – lo nota e chiede a Venturini: “Renà e chi è sto bisteccone?”. Un momento comico, ma anche una consacrazione: un battesimo che dura ancora oggi a distanza di cinquant’anni. È così, per una simile casualità, che Galeazzi viene pian piano inserito in Rai e poi assunto. Un apprendistato severo che si sostanzia in dodici ore al giorno sotto l’ala protettrice di un mito del racconto radiotelevisivo come Enrico Ameri, ma anche nel “portare il cappuccino a Ciotti” e leggere i risultati della serie C la domenica.
Galeazzi passa, insomma, quasi senza accorgersene, dalla dimensione di atleta a quella di giornalista: nonostante la mancata partecipazione alle Olimpiadi del 1968, a città del Messico, Galeazzi si ritirerà ufficialmente dalla attività agonistica soltanto a metà anni Settanta. Nel 1972, un ulteriore colpo di fortuna. Olimpiadi di Monaco: il radiocronista “titolare” per il canottaggio, Mirko Petternella, è in forte ritardo a causa di una gara di scherma e così, davanti al microfono per la prima volta ci finisce lui, “Bisteccone”. L’esordio è da dimenticare: «qui c’è molto vento, le bandiere sembrano di legno…» dice un impacciatissimo Galeazzi, in una sua prima incursione nel campo di quelle “gaffe” che contribuiranno a sancirnela popolarità; negli studi Rai di Roma quasi si mettono le mani nei capelli: «va bene così, Galeazzi, vai avanti…», gli dicono – e lui ci va davvero avanti, riuscendo a portare fino in fondo la radiocronaca in modo dignitoso.
Lo stile dei primi tempi non può per forza ancora essere quello strabordante che gli italiani impareranno a conoscere sedici anni dopo in occasione del duo Abbagnale vittorioso alle Olimpiadi di Seul 1988 con il telecronista romano che negli ultimi 500 metri si alza in piedi, fa a meno del monitor, e quasi partecipa allo sforzo fisico degli atleti: un Galeazzi che sale a bordo delle imbarcazioni con la voce e forse con un certo spirito di rivalsa per quella che l’ex canottiere definisce “l’ingiustizia del 1968” quando, con Giuliano Spingardi, viene escluso dalla selezione per le Olimpiadi messicane e da una probabile finale.
Chi ha conosciuto bene “Bisteccone” ne ha ravvisato, sotto il profilo personale, tre anime: quella popolare del calcio, quella aristocratica del tennis e quella romantica del canottaggio. Quando il Napoli vince il suo secondo scudetto, Galeazzi si fa rinchiudere dentro lo spogliatoio partenopeo: duecento giornalisti rimangono fuori, lui è dentro assieme ai giocatori. Da lì il colpo di genio del “Maradona speaker” che fa le interviste ai compagni. Un rapporto particolare, quello con il fuoriclasse argentino, che si concretizza in notti di follie: «eravamo come lupi mannari», ricorda ancora oggi Bisteccone, «ma le donne più brutte di Napoli erano le sue: gli piacevano quelle alla Botero, mentre a me piacciono quelle alla Nicole Kidman. Quel bianco lì. La mora, la creola, non mi richiamano l’istinto».
La squadra del cuore di Galeazzi è però la Lazio. Quando sono finalmente i biancocelesti a bissare il successo del 1974, Bisteccone si trova al Foro Italico per raccontare la finale degli Internazionali di tennis; la Lazio rifila tre gol alla Reggina, la Juve crolla al Curi di Perugia, e lui non ci pensa due volte a mollare il microfono, con l’ultimo game che scorre via in silenzio: è già all’Olimpico, con un microfono in mano, a documentare l’evento e a esultare.
E’ proprio in campo tennistico che si registrano i suoi più divertenti strafalcioni – «Borg ha fatto un rovescio che sembra una bomba al Nepal», «il tiebreak è come una roulotte» – ma al di là di questo Galeazzi resta un profondo conoscitore dello sport con la racchetta. Negli anni Sessanta vede giocare Nicola Pietrangeli, ma il rapporto si consolida soprattutto con Adriano Panatta: «se Nicola mi ha insegnato il tennis, Adriano mi ha laureato. Mi ha fatto capire lo spirito di questo sport».
Sono però gli anni Novanta quelli di una popolarità inaspettata. «Qui c’è ‘na bionda che te vole a tutti i costi», gli dicono dalla direzione di rete: è Mara Venier che appunto lo vuole con sé alla conduzione di Domenica In. È un pressing che si rinnova ormai da mesi, dalle afose giornate americane del mondiale di calcio 1994 che Galeazzi piacevolmente ricorda per le numerose “abboffate” a base di carne. I parenti prossimi di Bisteccone non la prendono bene: «papà, sei un grande giornalista sportivo», gli dice lo spaventatissimo figlio Gianluca, «chi te lo fa fare? A scuola mi prendono in giro!». La moglie Laura gli dà del matto e pure sul lavoro qualcuno non gradisce:
«Marino Bartoletti mi ha bombardato – ricorda Giampiero Galeazzi – e voleva togliermi 90° Minuto. Alla fine non avevo più nemmeno il mio posto in redazione».
Un rapporto quello col “mite” Bartoletti non proprio idilliaco: «mi dichiarò guerra e mi disse, col ditino alzato, che non sarebbe finita lì. Risultato? Cacciarono via lui. È dal 1970 che sto sur bidone della benzina, arrivi tu nel ’96 e me rompi li cojoni? E ‘namo…».
Il contendere è insomma sul diverso modo di vedere il ruolo di giornalista televisivo: per Giampiero Galeazzi “deve essere a 360 gradi” e davanti a un 40 per cento di share ci può anche stare che qualche collega invidioso ti tolga il saluto. I famosi siparietti con la Venier erano più o meno così: «Partiva la sigla de Novantesimo e già stavo da Mara che m’aspettava sul letto. ‘Che m’hai portato oggi?’, faceva, e io: ‘ecco qua, bella bisteccona mia’, e dalla valigia uscivano fuori salami e reggipetti.
Acchiappavo tutti, ero una bomba a mano. All’italiano je tocchi er letto…».
«Quanta emozione, passione, italianità nelle sue telecronache… Adesso abbiamo il nulla», scrive un anonimo utente della rete, vedendo Galeazzi sulla sedia a rotelle. «Ho sbagliato, è stato un errore presentarmi così», si giustifica il grande Giampiero, ma come spesso accaduto durante la sua esistenza da una strana carambola vien fuori il numero fortunato. Un Galeazzi malconcio, mai patetico, inaspettatamente riscopertosi nel cuore di tanti italiani.