Calcio
04 Giugno 2021

Un Italiano a La Spezia

Il Golfo dei poeti ha stregato la Serie A.

In quelle pareti di roccia che sorgono dal mare Dante riconobbe la rupe del Purgatorio:

«Tra Lerice e Turbìa la più diserta,

la più rotta ruina è una scala,

verso di quella, agevole e aperta».

Purgatorio, Canto III (49-51)

Eugenio Montale, che a Monterosso trovò la sua «parte di ricchezza» tra «l’odore dei limoni», nella poesia ‘Riviere’ raccontò invece di «pochi stocchi d’erbaspada penduli da un ciglione sul delirio del mare». Il Purgatorio dantesco tanto caro a Montale, e citato anche da Petrarca e Boccaccio, si affaccia sul Golfo dei Poeti e veglia su La Spezia, città racchiusa nello spazio tra il mare e i monti.

Sul Golfo della Spezia soffia vento di poesia, uno scirocco di bellezza: il primo a chiamarlo ‘Golfo dei Poeti’ fu il commediografo Sem Benelli nel 1910, nel suo elogio funebre allo scienziato e scrittore Paolo Mantegazza: «Beato te, o Poeta della scienza, che riposi in pace nel Golfo dei Poeti. Beati voi, abitatori di questo Golfo, che avete trovato un uomo che accoglierà degnamente le ombre dei grandi visitatori»

La Spezia golfo Manarola
La bellezza abbacinante delle Cinque Terre (Foto di Viktor Hanacek)

Il golfo custodisce storie di filosofi e letterati ma anche epopee calcistiche. A La Spezia il pallone ha segnato i momenti più bui: nel 1943, in un’Italia nella morsa del secondo conflitto mondiale, quando gli spezzini, riuniti in una rappresentativa dei Vigili del Fuoco, si cucirono sul petto lo scudetto della guerra (titolo rivendicato dal club ma mai riconosciuto dalla FIGC nell’albo d’oro). Ancora lo scorso anno, con le incertezze della pandemia ad albeggiare sulle nostre coscienze. Nel desolante scenario del Covid, lo Spezia strappava la prima storica qualificazione in Serie A, suggellata dalla salvezza ottenuta con il 4-1 rifilato al Torino. 

Tra Dante e Montale, nel cuore del golfo c’è posto anche per Vincenzo Italiano, il cantore dello Spezia dei miracoli.

Italiano, di nome e di fatto ma nativo di Karlsruhe, in Germania, ha completato l’opera: dopo la promozione, è arrivata la salvezza con una rosa giovane e inesperta. Per scavare a fondo nel miracolo Spezia è utile snocciolare alcuni dati relativi alla rosa bianconera. A inizio stagione, il portale Transfermarkt attribuiva alla rosa spezzina un valore economico di 21 milioni di euro (ultima in Serie A). Valutazione triplicata a fine stagione (60 milioni, +185%): nessuno in A ha fatto meglio. Ma riporre l’impresa spezzina nella trincea dei numeri sarebbe ingiusto quanto delegittimante. 


Vincenzo Italiano ha vinto con il proprio calcio e le proprie idee. «La salvezza è il nostro scudetto», ha continuato a ripetere con il petto riempito d’orgoglio. Il tecnico, che è stato accostato anche a panchine prestigiose, è però vittima di un equivoco: per la critica, Italiano è uno dei volti nuovi del giochismo all’italiana, neologismo che strizza l’occhio alla raffinata platea dei buongustai calcistici dello stivale.

Dopo una carriera da calciatore ricca di provincia, Italiano ha iniziato l’avventura da allenatore all’Arzignano Valchiampo, conquistando la vittoria ai playoff di Serie D; poi è stata la volta del Trapani, trascinato dalla C alla B con un calcio diretto e aggressivo. Un curriculum che ha convinto l’ex patron Volpi ad affidargli la panchina dello Spezia, sulla quale nell’arco di due anni Italiano ha centrato la promozione in A e la salvezza al primo colpo. Risultati, prima del gioco. 

«Giocare bene vuol dire avere massima attenzione in entrambe le fasi, perché giocare bene non vuol dire far vedere che uno sa cosa fare so con la palla. Non è solo l’estetica della giocata o di una partita, ma avere delle idee per essere sempre dentro la partita». 

Vincenzo Italiano, intervistato da Fanpage

La squadra di Italiano è stata la più grande rivelazione del campionato. Mai invischiati nelle zone pericolose, i bianconeri hanno conquistato una salvezza meno sofferta di quanto abbia detto la classifica e l’aritmetica, arrivata soltanto alla penultima giornata. Un risultato che sorprende analizzando alcune delle peculiarità della rosa come l’età media (26,1 anni, la terza più giovane del torneo) e il monte ingaggi di 22 milioni (il più basso in Serie A, fonte Gazzetta). 


Lo Spezia ha proposto un gioco vivace e aggressivo senza cadere nella retorica giochista: la difesa alta di Italiano è diventata materia di studio tra i banchi di Coverciano, il possesso palla, pulito ma non esasperato, ha consolidato il principio del ‘tutti registi’, uno dei punti cardini del sistema Italiano: «Nel calcio moderno – ha spiegato – si cerca di avere calciatori che siano partecipi e che possano essere protagonisti in tutte le situazioni». Il tecnico ha rispolverato quindi un mantra caro a ogni allenatore: l’equilibrio. Lo ha fatto nel momento più delicato dello Spezia, quando le energie erano al lumicino e la volata salvezza non tollerava più passi falsi:

«Non ho dogmi. È utile tenere il baricentro alto, per diversi mesi siamo stati la squadra che ha fatto più fuorigioco con tanto possesso palla. Poi ho cercato l’equilibrio».

Vincenzo Italiano a La Gazzetta dello Sport

Al contrario dell’etichetta incollatagli addosso, Italiano ha dimostrato di non essere un integralista. Il suo calcio, armonico ed elegante ma al contempo ricco e variegato, trascende dalla vecchia e stanca dicotomia giochisti-risultatisti: il gioco di Italiano è bello perché porta risultati. 

L’equivoco Italiano si ripercuote infatti anche nell’analisi sul gioco dello Spezia: le Aquile si sono mostrate più versatili di quanto abbia espresso la critica, con una squadra che ha saputo interpretare più fasi di gara senza mai rinunciare allo spirito ambizioso e coraggioso trasmesso dall’allenatore. Riduttivo quindi etichettare lo Spezia sotto l’egida del solo “gioco propositivo”. Al contrario, la salvezza maturata sul campo è frutto della cultura del lavoro e del coraggio inculcato a una rosa sì profonda, ma piuttosto modesta sotto il profilo della qualità.

Le radici del successo affondano in una società ambiziosa e in una città vogliosa di calcio. I seggiolini deserti della Curva Ferrovia non hanno intralciato il cammino dello Spezia, costretto per quasi tutto il girone di andata al trasloco al Manuzzi di Cesena: in un campionato privo di tifosi, Italiano ha saputo trasmettere motivazioni extra. 


È stata una stagione chiave anche sul fronte societario: l’ex presidente Gabriele Volpi (più interessato alla pallanuoto e alle sorti della sua invincibile Pro Recco) ha un ceduto il sodalizio all’americano Robert Platek, fondatore del fondo MSD Capital e partner finanziario del tycoon dell’informatica Micheal Dell. Il neo patron ha annunciato progetti ambiziosi: stadio, rinforzi sul mercato e il nodo allenatore sono i primi punti nell’agenda della nuova proprietà. Il lavoro di Italiano ha infatti stregato Platek, che ha dunque deciso di blindare il tecnico almeno per altre due stagioni. 

Scelte che caratterizzeranno le settimane a venire, quando il sole estivo tornerà a baciare il golfo e le correnti caleranno dolcemente sul mar di Liguria. Nel frattempo La Spezia si gode la festa: lo slogan più in voga in città (apparso anche sulle magliette celebrative) è ‘A ne ghe credo!’ (‘Non ci credo!’). E invece è tutto vero: la terra dei poeti abbraccerà ancora la Serie A. Così il golfo è pronto a recitare nuovi versi, ispirandosi a quelli che Montale compose ripensando alle estati trascorse all’ombra della «pagoda giallognola», «la casa delle mie estati lontane»:

«Qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza». 

E. Montale, I Limoni

Gruppo MAGOG

Luca Pulsoni

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