Gli azzurri di Antonio Conte rispecchiano l'animo di Napoli e dei napoletani.
Secondo una recente indagine dell’Istat il 33% dei napoletani è insoddisfatto della propria vita. Altro che sole, pizza e mandolino: Napoli è la capitale dell’infelicità. Demolito il luogo comune del popolo felice e spensierato, in una città che tende ad aggrapparsi a una meravigliosa nostalgia per colmare il vuoto di una realtà scadente. Una fotografia scattata anche da “Parthenope”, l’ultima opera di un figlio del Vesuvio come Paolo Sorrentino. È il monologo della splendida Greta Cool, la diva decadente interpretata da Luisa Ranieri, a raccontare Napoli e i napoletani di oggi:
«Siete sempre pronti a buttare la croce addosso a qualcun altro, all’invasore di turno, al politico corrotto, al palazzinaro senza scrupoli. Ma la disgrazia siete voi, siete un popolo di disgraziati. E vi vantate di esserlo, non ce la farete mai».
In un’altra scena della pellicola si definisce Napoli «il posto più bello del mondo in cui è impossibile essere felici». La chiosa migliore, ampliando l’orizzonte della felicità al calcio come fenomeno sociale e culturale, per raccontare il Napoli di Conte capolista della Serie A. Sull’argomento è intervenuto anche il capitano Di Lorenzo: «Se il Napoli vince, tutta la città è felice», ha detto a margine del successo sulla Roma.
E il Napoli di quest’anno declina forse più di ogni altro l’animo di Napoli e dei napoletani: una squadra che non regala sprazzi di felicità ma che vince. Un gruppo di calciatori che soffre e lotta, valorizzando le proprie qualità più che lanciarsi nella ricerca di ciò che non gli appartiene, di ideologie aliene: una sublimazione dell’arte di arrangiarsi e di adattarsi tipica dell’indole partenopea. Il Napoli viaggia su un equilibrio sottile, sempre pronto a risollevarsi quando è sul punto di precipitare. La traslazione di una città in bilico tra enfasi e declino, amore e rancore, poesia e droga.
Gli azzurri vincono, spesso di corto muso, e sono in testa alla classifica: il posto più bello del mondo in cui non sempre è facile essere felici. Specie se l’artefice del primato si chiama Antonio Conte: contro rivoluzionario, pragmatico, talmente lavoratore da non potersi permettere il lusso delle ideologie. Anche contro la Roma, il Napoli l’ha spuntata per 1-0. L’ha decisa Lukaku, che fa a sportellate con i difensori avversari, che sembra vagabondare nel deserto, che riceve palloni col contagocce. Eppure è uno dei più criticati nonostante cinque gol e quattro assist all’attivo.
Per l’ennesima volta il Napoli ha tenuto per larghi tratti il pallone mancando tuttavia del guizzo finale: il gioco è macchinoso, fisico, generoso e dispendioso. Ma tremendamente efficace. Gli unici sprazzi di fantasia sono affidati all’estro di Kvaratskhelia e alle geometrie di Lobotka, ogni tanto alle giocate di Politano.
L’undici partenopeo ha saputo affinare l’antica attitudine prima sarrista e poi spallettiana della ricerca della bellezza con la pratica tutta contiana della resistenza.
È un festival di varietà: da bello, ha saputo diventare anche brutto e cattivo. Una creatura che Conte sta forgiando a sua immagine e somiglianza, basti vedere la dedizione nei ripiegamenti di Politano e l’energia in mediana di Anguissa. Una abnegazione generale che fa dei partenopei la seconda difesa meno battuta del campionato, con appena 9 reti subìte in 13 giornate.
Il Napoli è dunque il contro manifesto della (sub)cultura ‘giochista’, dell’ideologia che si autoproclama verità e tutto livella. È il trionfo della tradizione italiana. E allora diciamolo, scriviamolo, urliamolo a gran voce: il Napoli di Conte è bello, bellissimo. Una squadra che è un unicum nel panorama odierno del football-show business di squadre e calciatori confinati in un piattume desolante, prigionieri di schemi, ideologie e di allenatori che pretendono di sostituirsi al talento.
E invece questo Napoli rispolvera alcune delle antiche virtù che si legano all’animo umano: la sofferenza, il sacrificio, il talento, l’astuzia. Altro che pressing alto e possesso palla: il Napoli è l’elogio di un calcio che saprà sopravvivere all’ondata woke nel pallone. Un calcio più umano e identitario, che va contro la narrazione di media e pay tv e l’imposizione di un nuovo pensiero dominante: il bel gioco sempre e comunque. Il Napoli e Conte se ne infischiano. E, per ora, vincono. Belli e ‘infelici’.
Immagine di copertina, sfondo: Vesuvius in Eruption di Clarkson Stanfield