Non sarà un trionfo clamoroso come quello del Leicester, ma poco ci manca. La notizia è sorprendente, impronosticabile all’inizio della stagione: il Lille è campione di Francia. Ai Qatarioti di Parigi non resta che accettare il responso di una stagione quantomeno deludente, condizionata forse in maniera eccessiva da un supplizio di Tantalo europeo che ha portato via troppe energie. E così, in questo calcio endemicamente sempre più drogato, dove plutocrazie sparse per l’Europa si sfidano a colpi di nequizie, rossi in bilancio e ingaggi faraonici, i ragazzi di Galtier hanno compiuto un’impresa. La lezione dei dogues, infatti, non può passare inosservata.
Innanzitutto per l’oculatezza dimostrata. L’ultimo campionato vinto dal Lille risale alla stagione 2010/2011. Allora in panchina c’era Rudi Garcia e in campo talenti del calibro di Hazard, Cabaye e Gervinho. Ora le cose sono nettamente cambiate. C’è soprattutto la corazzata PSG, società inarrivabile che si può permettere di rinnovare Neymar a 36 milioni netti a stagione. Eppure il Lille si è ritagliato uno spazio con la forza della programmazione e del buon senso. A giocare il ruolo di protagonista è stato certamente Luis Campos, il mago delle plusvalenze.
Arrivato nel 2017, Campos (attualmente svincolato) ha dimostrato ancora una volta di essere un ottimo scopritore di giovani promesse. Del resto, la sua abilità nel visionare giocatori dal vivo gli aveva permesso di esser scelto come osservatore dal Real Madrid di Mourinho. Era stato poi il direttore tecnico di quel Monaco che, nella stagione 2016-2017, aveva strappato il titolo ai parigini ed era arrivato alle semifinali di Champions League. Allora aveva scoperto, valorizzato e ceduto talenti come Mbappé, Martial, Bernardo Silva, Lemar e Fabinho, rimpinguando con entrate esorbitanti le casse della società del Principato.
La carriera da ds di Luis Campos, l’artefice “nascosto” del successo del Lille
Al Lille ha agito in maniera simile, riuscendo a completare cessioni notevoli, come quelle di Pepe e Gabriel all’Arsenal (rispettivamente per 80 e 30 milioni) e quella di Osimhen al Napoli (per circa 70). Non solo. Campos è stato abile a creare un perfetto connubio tra esperienza e gioventù. Tra incoscienza e maturità. Il colpo forse più pregevole, in entrata, è stato l’acquisto a parametro zero di Burak Yilmaz, divo in patria che mai aveva solcato un campo al di fuori dei confini nazionali.
La stagione del turco è incredibile. Non che i suoi gol ci abbiano stupito, a dir la verità. Parliamo infatti del secondo miglior marcatore della storia della nazionale turca (secondo soltanto ad Hakan Sukur) e di un attaccante capace di vincere due volte il titolo di capocannoniere nazionale. Ciò che ha sorpreso è stata la sua capacità di adattarsi con estrema rapidità a un campionato diametralmente opposto a quello a cui era stato abituato per tutta la sua carriera.
Burak Yilmaz, bomber senza tempo
Burak Yilmaz ha segnato in qualunque modo: di destro, di sinistro, di classe e di potenza. È stato l’over 35 più prolifico del panorama europeo (Ronaldo chiaramente a parte). Si è soprattutto dimostrato diverso, più umano. È andato contro l’immagine di mercenario solipsista che di lui hanno spesso tratteggiato in patria. Se in Turchia è per alcuni quello che senza scrupoli ha vestito le maglie di Besiktas, Fenerbahce e Galatasaray, in Francia si è rivelato un leader. Ha trascinato i suoi compagni più giovani ad una stagione incredibile, assurgendo a un ruolo di guida anzitutto carismatica. D’altronde la sua presenza è stata cruciale all’interno dello spogliatoio, come emerge dalle parole dello stesso tecnico Galtier:
“Burak è fondamentale per noi. Ha carisma, voglia. È uno di quei giocatori che mostrano felicità quando vincono e rabbia quando giocano al di sotto delle sue possibilità”.
Christophe Galtier
Proprio Galtier merita una riflessione. Il tecnico, associato al Napoli negli ultimi giorni, ha impostato la stagione assecondando un ideale forse desueto, ma efficace: la semplicità. Il suo Lille ha un’identità chiara, precisa. L’arma più evidente è una grandissima solidità difensiva, che ha consentito ai dogues di essere la migliore difesa nei principali campionati europei.
In fase offensiva il Lille ha diverse soluzioni, ma predilige le partite in cui i ritmi sono alti e può sfruttare al meglio le caratteristiche di giocatori veloci e tecnici come Yazici, Bamba e Ikonè (talento puro ancora da affinare). Galtier ha avuto inoltre il merito di rilanciare un giocatore come Renato Sanches che, malgrado qualche infortunio di troppo, ha saputo trovare un’insperata continuità di rendimento. Ha confermato soprattutto come nel calcio sia impossibile ancorarsi a dogmi di ogni sorta. Come le idee possano essere riprese e migliorate. Come anche il semplice e bistrattato 4-4-2 possa risultare una soluzione perfetta:
“Parlare di moduli ha poco senso. Dipende tutto da che tipo di calcio si fa. Io ho iniziato quando si giocava a tre dietro, poi ci siamo evoluti portandoci a quattro in difesa. Sentirsi dire che il 4-4-2 è scolastico… Ma dove? […] L’Atletico Madrid è primo col 4-4-2, il Lille pure. Con il Leicester ho vinto la Premier League con lo stesso modulo”.
Claudio Ranieri
La verità è che il Lille ci ha dimostrato come la vittoria possa essere raggiunta in una maniera diversa, più sostenibile. La speranza è che questo messaggio arrivi a più persone possibili ma, anche se così non fosse, il successo del Lille resterà quantomeno un dolce ricordo per tutti gli appassionati di pallone. Una parentesi felice, un locus amoenus in cui rifugiarsi per placare gli affanni e le inquietudini che ci procura il calcio moderno. A distanza di anni, se a una cena con amici qualcuno dirà che “tanto a vincere sono sempre gli stessi”, potremmo ricordarci di quel 23 Maggio 2021. Giorno in cui, parafrasando Jorge Valdano, il Lille rubò qualcosa ai ricchi.