Se le richieste del francese vi sembrano folli, dove siete stati negli ultimi vent'anni?
Kylian Mbappé ha chiesto alla FFF – federazione del calcio francese – di giocare per la propria nazionale solo nei big match, che tradotto significa europei e mondiali, di certo non Nations League, amichevoli et similia. Nella stessa richiesta, è comparsa pure la motivazione del calciatore: le troppe partite aumentano il rischio di infortuni e Mbappé vuole vincere il Pallone d’Oro. Ergo, giocare partite che hanno un peso specifico limitato, nell’ottica di un utilitarismo insieme collettivo e individuale – perché Mbappé fa esplicita menzione del Pallone d’Oro –, non solo è uno spreco di energie, ma un rischio rispetto agli obiettivi della propria carriera.
Si potrebbe ricordare a Kylian Mbappé che la linea di demarcazione tra partite utili e meno utili, stando alla finalità delle sue prestazioni perlomeno, è parecchio complicato. Certi titoli – con i club, ma anche con la nazionale, e noi italiani lo sappiamo benissimo – si giocano proprio sul dettaglio delle partite più semplici, non sul marchio di quelle altisonanti. Si potrebbe ancora ricordare al fuoriclasse parigino che il calcio è uno sport di squadra e che, argomento ultimo ma non per importanza, ciò dovrebbe valere tanto più quando si gioca per la propria nazionale (non più Nazione, da un pezzo: e questo incide, naturalmente, su idee di tal fatta).
Tutto questo, per chi non si arrende all’incedere del nuovissimo Supercalcio, è giusto ricordarlo. Ed è anche un dovere del giornalismo sportivo mettere in risalto certi valori, non chiamiamoli morali ma del buonsenso, quando si leggono notizie come questa. Al contempo, però, il giornalismo sportivo dovrebbe fare mea culpa e guardare al proprio (recentissimo) passato, che ha creato le condizioni affinché un solo calciatore – neanche una squadra di calcio, o una lega – potesse dettare legge alla propria nazionale sorpassando di fatto parere, ruoli e gerarchie di allenatore, dirigenti, colleghi calciatori. Se la federazione francese accettasse una richiesta simile, dovremmo tacere per sempre.
Dovremmo farlo in virtù di quel buonsenso sopra richiamato la cui statura filosofica è, in tempi segnati dal controsenso, un porto sicuro.
Come scriveva il nostro direttore Andrea Antonioli in un pezzo d’antologia sulla genesi del gioiello francese, «Mbappé ha trasceso lo status di calciatore, di grande calciatore, anche di calciatore migliore d’Europa o del mondo, per acquisire un profilo pubblico, sociale, politico in senso lato». Ricorderete tutti l’incontro con Macron per il rinnovo di contratto con il PSG, o la richiesta – accolta a denti stretti dallo stesso Macron e da al-Khelaifi – di trasferimento al Real Madrid, l’unica squadra che è riuscita, con la marmorea maestosità della sua storia, ad essere una necessità (e quindi una mancanza) di Mbappé e non viceversa. Ricorderete pure quando Mbappé puntò i piedi sempre contro la FFF per via di uno sponsor a lui poco gradito, o quando, per la gioia smisurata del nostrissimo Federico Brasile, affermò senza troppi giri di parole di essere troppo forte per rimanere al PSG, squadra costruita male e senza mentalità.
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Potremmo continuare a lungo, ma andiamo al punto della questione. Mbappé non è un ragazzino viziato inebriato dal successo e dai soldi. Non è neanche uno sprovveduto o uno sbruffone, uno che va rimesso al suo posto perché non sa cosa dice. Mbappé è il prodotto più puro del Supercalcio del XXII sec., e come ha scritto Jean-Baptiste Guegan su The Athletic, «sa benissimo di esserlo».
Il problema, semmai, sta a monte: a chi ha permesso che Mbappé potesse comandare tutti dall’alto, a suo piacimento. A chi ha pensato, prima ancora, che sul modello NBA americano – e dello sport e stelle e strisce in generale – si potesse e dovesse costruire il futuro del calcio di europee origini, tutto concentrato sulla star come prodotto da mandare sul grande schermo per far fruttare più soldi possibili a leghe e club, nazionali e internazionali.
Ancora, la responsabilità è del giornalismo sportivo come detto in apertura, da troppi anni supino e a malapena cronachistico – magari… –, sempre lesto ad avvelenarsi sui temi più inutili, come la tattica e il bel gioco, e sempre più in ritardo sugli effettivi cambiamenti, si direbbe geopolitici, del calcio mondiale, quindi del calcio nella sua essenza più profonda. Infine, permetteteci di dirlo, la colpa di tutto questo è anche di noi appassionati, che abbiamo assecondato un modello rintronati dalle luci che lo accompagnavano. Abbagliati e drogati, abbiamo preteso senza combattere, abbiamo mangiato senza mai digiunare. Non prendetevela con Kylian Mbappé, prendetevela con voi stessi. Oppure, se non ci state, agite per davvero. Abbandonate un calcio che vi ha traditi (e mazziati). Solo così recupereremo quella dignità che costruisce, sia pure dal basso e con lentezza, le cose grandi.