Il racconto del campionato 1981/82, la stagione più infausta in centoventi anni di storia rossonera.
In centoventi anni di storia, tra tanti momenti di gloria e con un albo d’oro traboccante di titoli nazionali e internazionali, la stagione 1981/82 del Milan può essere definita, senza temere smentite, come l’annus horribilis rossonero per eccellenza, conclusosi con l’onta della seconda retrocessione in B, non decisa a tavolino dalla giustizia sportiva bensì scaturita dal verdetto del campo. Quattordicesimo posto in classifica dopo trenta giornate, alle spalle dei rossoneri soltanto Bologna e Como. Eppure, quell’annata era cominciata sotto buone prospettive.
La società aveva affidato la panchina a Gigi Radice, tecnico esperto e reduce da un’ottima annata con il Bologna. Il ritiro precampionato di Asiago venne fissato per venerdì 17 luglio 1981. Per alcuni giocatori si trattò di una data troppo ravvicinata rispetto all’ultimo impegno della stagione precedente che si era conclusa a fine giugno con il Mundialito. La campagna acquisti fu la fiera dei colpi mancati. L’inseguimento a Zico finì con un nulla di fatto, stesso discorso per Krankl e Bruno Conti, nomi che rimasero mere ipotesi. La ricerca dello straniero sfiorò la farsa: il belga Coulemans, convocato a Milano, stracciò l’accordo per volontà di sua madre.
La dirigenza milanista virò sullo stagionato scozzese Joe Jordan, detto “lo squalo”, primo straniero a vestire la maglia rossonera dopo la riapertura delle frontiere nel 1980, un attaccante che aveva già speso la parte migliore della sua carriera con le maglie di Leeds e Manchester United. In cabina di regia, il Milan scelse Adelio Moro, da tempo inseguito dalla società rossonera. I suoi lanci lunghi avrebbero dovuto favorire le punte e i cursori del gioco di Radice: Maldera, Novellino, Jordan, Antonelli e Buriani. Su Forza Milan, la rivista ufficiale del club di via Turati 3, si tessero le lodi del nuovo allenatore.
“Radice dove arriva, subito non sbaglia, come se ci andasse d’istinto. Un allenatore puntiglioso e studioso che è andato sempre di persona a verificare le evoluzioni del calcio. Il tecnico della Nouvelle Vague a 46 anni sembra un veterano della panchina. Dopo aver fatto bene a Monza, Cesena, Torino e Bologna è pronto al grande salto in una grande squadra come il Milan”.
Il “tecnico dagli occhi di ghiaccio” (definizione del giornalista David Messina) ebbe a disposizione una rosa di 16 giocatori, con Jordan e Moro veterani. Francesco Romano, completato l’anno di leva militare, tornò a tempo pieno a disposizione della società. Nutrito il gruppo di giovani: Icardi, Filippo Galli, Pedretti, Gambino, Gadda, Evani, Donà, Cambiaghi e Incocciati, a conferma dell’alto livello del settore giovanile milanista. Completavano i ranghi il secondo portiere Incontri e l’attaccante Mandressi.
I prodromi di un’annata negativa si videro in Coppa Italia. Nel derby d’estate, decisivo per il passaggio al secondo turno, un gol allo scadere di Beppe Bergomi fissò il risultato sul 2-2, eliminando il Milan e vanificando la prodezza di Jordan (strepitoso colpo di testa) che aveva riportato i rossoneri in vantaggio. L’inizio di campionato palesò una netta sterilità offensiva. Dopo lo 0-0 contro la quotata Fiorentina, il Ct Enzo Bearzot pronosticò il Milan nel ruolo di “outsider” per lo scudetto. A parte il successo esterno conquistato a Napoli (grazie ad un’autorete di Ferrario), la squadra di Radice innestò la marcia indietro.
Battuto immeritatamente dalla Juventus (corsara grazie a Virdis), il diavolo pareggiò senza reti a Bologna, perse di misura il derby e fu asfaltato a Catanzaro dove la squadra di Bruno Pace prevalse 3-0, davanti ad uno stadio gremito, grazie alle reti di Bivi, Borghi e Massimo Mauro. “Milan travolto e deriso”, titolò la Gazzetta che evidenziò un dato inquietante: nelle prime 7 partite di campionato, la squadra aveva subito 3 sconfitte e l’unico gol all’attivo era un’autorete. Quel pomeriggio d’inizio novembre ’81 fu molto amaro per i tifosi milanisti. Il crollo difensivo, unito all’evanescenza dell’attacco, formarono una miscela molto pericolosa.
Mentre la dirigenza smentiva l’esonero dell’allenatore, il vicepresidente Gianni Rivera restava in silenzio, con i giocatori a scansare le domande scomode. L’assenza di Franco Baresi, alle prese con un lungo periodo fuori dal campo per problemi di salute, pesò notevolmente. In poche settimane, l’allenatore si era scontrato con Antonelli (“Se non gli servo sono pronto ad andar via”), Moro (quasi sempre sostituito), Novellino (che ebbe un alterco dialettico con il tecnico) e Cuoghi. Anche i rapporti con Jordan non furono idilliaci. L’unico a salvarsi nella partita di Catanzaro fu il portiere Piotti.
Persino contro il Como, fanalino di coda, il Milan palesò una sconcertante mediocrità. Non bastò il primo gol dell’attaccante scozzese, i lariani trovarono il pareggio su rigore con Adriano Lombardi, tra lo sconcerto dei tifosi presenti a San Siro. La sconfitta di Ascoli, il 22 novembre 1981, fece sprofondare il Milan all’ultimo posto, con la miseria di 6 punti in 9 giornate. Toccato il fondo non si poteva che risalire.
I segnali di riscossa arrivarono dalla trasferta di Roma, contro i giallorossi guidati da Nils Liedholm, conclusasi in parità (gran gol di Buriani). Le festività natalizie furono all’insegna della tristezza dopo l’ennesimo ko, rimediato ad Avellino, che lasciò i rossoneri al penultimo posto. Gigi Radice non era stato in grado di imprimere la svolta. Giuseppe Farina, intanto, si apprestava a diventare il nuovo presidente del Milan.
Alla ripresa del campionato, una rete di Battistini bastò per piegare il Cagliari. La ricerca di continuità di rendimento si arenò in un pomeriggio infausto al Comunale di Torino, contro i granata guidati dall’ex Giacomini. Dopo il botta e risposta Ferri-Battistini, il Milan sfiorò il raddoppio.
Un contropiede del Toro, scaturito dopo un calcio d’angolo battuto in modo grossolano dai rossoneri, si concluse con il gol di Dossena che punì immeritatamente la squadra di Radice. L’ultima di andata fu addolcita dalla vittoria contro il Cesena, partita risolta da un guizzo in area di Antonelli su cross di Novellino. Radice venne esonerato dopo il ko interno contro l’Udinese, maramalda grazie ad una rete nel finale di Franco Causio.
“Considerata l’impossibilità di andare avanti sul piano dei rapporti con la squadra, non potendo cambiare 18 giocatori, si è deciso di allontanare il tecnico”.
La considerazione di Gianni Rivera, dopo l’esonero di Radice, fu lapalissiana. Farina affidò la squadra all’allenatore in seconda, Italo Galbiati, aggiungendo: “Se dobbiamo andare in B, facciamolo con dignità”. Il nuovo allenatore conosceva ogni particolare dell’ambiente rossonero. Il suo fu un battesimo di fuoco: fuori casa contro la Fiorentina prima in classifica.
Il rientro in campo di Baresi diede sicurezza e solidità a tutta la squadra, sconfitta immeritatamente dai viola. Immeritata fu anche la sconfitta subita a Torino contro la Juventus che tirò fuori il coniglio dal cilindro: Nanu Galderisi, pescato dalla Primavera impegnata nel Torneo di Viareggio e autore di una tripletta che vanificò le reti di Collovati e Antonelli e la bella prestazione dei rossoneri. La classifica rimase impietosa: penultimo posto a quattro lunghezze di ritardo dalla zona salvezza.
La sfida interna contro il Bologna fu quasi un’ultima spiaggia. Beppe Viola definì quella partita “western” a causa dei numerosi scontri di gioco. Il gol di Moro fu un ottimo corroborante per i tifosi, ripiombati nel più cupo pessimismo dopo il pareggio di Chiorri in avvio di ripresa. Un calcio di rigore di Buriani, concesso dall’arbitro Lo Bello di Siracusa, diede al Milan la vittoria. Le cinque partite successive si tradussero in una mazzata, quasi definitiva, sulle speranze salvezza del diavolo. Perso ancora di misura il derby, contro il Catanzaro fu Edy Bivi a decidere la partita, rendendo triste la centesima presenza rossonera di Baresi.
“Milan nel dramma”,
scrisse la Rosea il giorno dopo, con la B che si avvicinava a grandi falcate dopo undici sconfitte in 22 partite. Galbiati si sentì tradito dalla sua squadra, Collovati parlò di sensazioni già chiare di retrocessione, i tifosi chiesero a Farina di cacciare Rivera. “A questo punto può servire anche il custode del campo”, aggiunse il presidente. Al termine della partita di Como (con i lariani vittoriosi 2-0) successe il finimondo, in campo Collovati venne colpito da un sasso lanciato dal settore milanista.
Il caos si era impossessato della squadra, dirigenza compresa. Dopo il ko contro la Roma, sul neutro di Verona, solo un miracolo avrebbe salvato il diavolo. Sul campo del Genoa arrivarono i primi segnali positivi. A tenere a galla il Milan ci pensò Aldo Maldera che, appena entrato, realizzò un gol bellissimo. Cinque minuti più tardi, un penalty trasformato da Baresi ribaltò il risultato. Il buon momento proseguì in casa contro l’Avellino. Stessa musica di Marassi, con rimonta dopo lo svantaggio iniziale. La rete del successo arrivò da una rovesciata strepitosa di Maldera che Beppe Viola definì “opera sopraffina”.
Occorreva un’altra vittoria che il Milan sfiorò sia a Cagliari (1-1, dopo il vantaggio iniziale di Battistini) sia in casa contro il Torino (il solito encomiabile Maldera colpì la traversa nel finale), con il portiere granata Copparoni in versione saracinesca. A novanta minuti dal termine, il diavolo sentiva nitido il puzzo nauseabondo della retrocessione. Fu ancora Beppe Viola a sintetizzare magistralmente la situazione.
“Se il Bologna non vince, Cagliari e Genoa perdono e il Milan, naturalmente, vince a Cesena, è salvezza. E’ tale l’assuefazione alla sventura che si perde il senso del ridicolo”.
Prima della trasferta campale di Cesena, il diavolo mise in bacheca la Mitropa Cup, battendo a San Siro i cecoslovacchi del Vitkovice (3-0). Dalla Curva Sud si alzò il grido: “Resteremo in serie A”. Anche questa è storia del Milan. Il miracolo salvezza venne solo sfiorato. Il 16 maggio 1982 non bastò il successo in rimonta a Cesena (da 0-2 a 3-2), ottenuto grazie al bellissimo assolo di Antonelli. A Napoli, in zona Cesarini, un “pasticciaccio brutto” di Castellini regalò il calcio d’angolo da cui arrivò il pareggio di Faccenda che sancì la salvezza del Genoa e la condanna dei rossoneri.
“Dopo quella a pagamento, ecco la retrocessione gratis del Milan”,
disse con sferzante ironia e sarcasmo l’avvocato interista Peppino Prisco. Fu l’epilogo della peggior stagione della storia milanista.
(Ampi stralci sono estrapolati dal libro di Sergio Taccone “Quando il Milan era un piccolo diavolo”, Limina, 2009)