Calcio
26 Maggio 2023

L'ultimo canto del Cigno di Utrecht

30 anni fa, l'epilogo della carriera di Marco van Basten.

Sono passati trent’anni dall’ultima apparizione in campo di Marco van Basten. Era il 26 maggio 1993 quando il Cigno di Utrecht scese in campo, a Monaco di Baviera, nella finale di Champions League tra il Milan di Capello e l’Olympique Marsiglia di Goethals; schierato nell’undici titolare a fianco di Massaro e con l’ex di turno, Papin, che si accomodò in panchina. Dopo un’assenza di quattro mesi e mezzo, van Bastern era tornato in campo solo il mese precedente nella trasferta di campionato di Udine, inserito in avvio di ripresa al posto di Savicevic.

E unicamente il 9 maggio, sul campo dell’Ancona, aveva riassaporato il dolce gusto del gol, firmando di testa il raddoppio contro la squadra guidata da Guerini. La sua ultima rete in carriera.

Dopo la trasferta di Roma, Capello si convinse di poterlo inserire tra i titolari della finale europea. Nei mesi precedenti infatti il dottor Monti aveva criticato le strategie mediche della sua riabilitazione, ribadendo grandi perplessità verso le decisioni del suo collega Marti che invece, dal canto suo, continuava a predicare “pazienza e riposo”. La caviglia però era diventata ipersensibile, si gonfiava dopo ogni urto. Un dolore avvertito in modo costante dal dicembre ’92 in poi. Una situazione che obbligò l’olandese a non potersi allenare in gruppo, finendo relegato in un altro campetto o in sala pesi, con la sensazione di essere tornato un outsider come al suo primo anno in maglia rossonera.


Monaco di Baviera


Per scendere in campo nella finale di Champions, van Basten si sottopose ad un’infiltrazione antidolorifica che tolse totalmente sensibilità alla sua caviglia. Nella sfida in terra bavarese contro i transalpini toccò pochi palloni, e nell’unica vera occasione avuta in area avversaria, su assist di Massaro, si girò con l’istinto del goleador trovando però la pronta risposta del portiere Barthez, che negò il vantaggio rossonero. Per il resto, nessuna traccia dell’eleganza e della potenza che avevano fondato il mito del campione di Utrecht.



A pochi minuti dal termine Capello lo richiamò in panchina, sostituendolo con Eranio. Fu il “canto del cigno”, mentre il trofeo continentale prendeva la rotta di Marsiglia in una finale decisa da un colpo di testa di Basile Boli, 26 anni, ivoriano naturalizzato francese. “Non aver vinto una finale europea era qualcosa di totalmente nuovo per noi”, ricorderà lo stesso Marco van Basten. Dopo la delusione di Monaco di Baviera seguirono mesi di attese, speranze e illusioni, depressioni e delusioni, dolori persistenti e pessimismo crescente.

L’olandese saltò l’intera stagione ‘93/94, che vide il Milan confermarsi campione d’Italia per il terzo anno consecutivo.

Da quando avevo subito l’operazione, a fine dicembre ‘92, la caviglia e quel dolore sconosciuto avevano catalizzato tutta la mia attenzione”, ricorderà parecchi anni dopo l’ex centravanti dell’Ajax. Un dolore pungente e subdolo. L’unica sua immagine in maglia rossonera di quell’annata fa riferimento alla foto ufficiale, scattata nell’estate ’93, sistemato in piedi nella fila centrale accanto a Stefano Nava.

Con Capello eravamo un grande gruppo. – dirà Marco van Basten. Con Sacchi sono stati anni importanti a livello tattico, mentre con Capello eravamo un po’ più liberi e lui ha lavorato di più sulla mentalità dei giocatori anche perché tatticamente eravamo già a posto. Quello era il Milan più forte. Avevamo una difesa piena di stelle, a centrocampo c’erano altre stelle e così anche in attacco. Avevamo i giocatori più forti al mondo in tutti i reparti”.


Marco come Nureev


In casa van Basten, in Olanda, all’ingresso c’è un grande dipinto ispirato a Rudol’f Nureev, il ballerino russo di ineguagliabile bravura. Un quadro dove predominano due colori: il rosso e il nero. Rudi van Dantzig, coreografo e guru della danza, in una trasmissione andata in onda su un’emittente olandese con Johan Cruijff parlò delle affinità tra il balletto e il calcio praticati ai massimi livelli. Anche in quella circostanza, van Basten venne accostato a Nureev. E una sera, nello stadio di Amsterdam, in onore dell’ex centravanti del Milan, venne fatto danzare, con sottofondo di musica classica, un famoso étoile del Balletto nazionale olandese: Clint Farha.



La postura eretta in campo, sottolineata dai suoi tantissimi estimatori, a van Basten non è mai piaciuta perché “chi fa sport deve essere più vicino a terra, con il baricentro basso, come Messi, Cruijff, Maradona e Pelé. Loro sembrano molto più eleganti perché hanno una maniera di muoversi magistrale. Io non riuscivo proprio a stare così vicino a terra”. Già dopo l’intervento del 1987, il Cigno di Utrecht si ritrovò a non poter più piegare tanto bene la caviglia. Una condizione che lo costrinse, negli anni successivi, ad assumere una posizione più eretta che paradossalmente, per molti, divenne però simbolo di eleganza, combinazione perfetta di coordinazione ed equilibrio.


18 Agosto 1995: l’ultima istantanea


Marco van Basten, indossando un giubbotto di renna, entra nel rettangolo di gioco di San Siro per salutare gli oltre 63 mila presenti sugli spalti prima del calcio d’inizio del Trofeo Berlusconi. Avanza procedendo con andatura abbastanza sciolta e correndo a passo lentissimo. Percorre una trentina di metri prima di accelerare leggermente: in quel percorso, un giro di campo, non sente alcun dolore. Un passo dopo l’altro in jeans, camicia rosa e giubbotto marrone scamosciato. Ogni tanto alza entrambe le mani e applaude. Un gesto ripetuto un paio di volte continuando a correre.

L’espressione di Marco palesa un certo disagio. Si sente solo malgrado gli applausi incessanti di tutto lo stadio. Prova una sensazione di vuoto. Senza quella caviglia dolorante, San Siro vedrebbe all’opera il Cigno di Utrecht ancora per alcuni anni, a dispensare altre magie. Il silenzio sembra avvolgerlo nonostante l’applauso dei tifosi che scandiscono il suo nome e sciorinano striscioni. Uno trasuda letteratura:

“San Siro senza di te è come un falco senza ali”.

Non sente dolore alla caviglia mentre tutti continuano a cantare, urlare, commuoversi e applaudire. Marco è testimone del suo addio al calcio dopo aver disputato la sua ultima partita, a 29 anni non ancora compiuti. Il commiato calcistico arriva in un clima di profonda tristezza. I suoi compagni di squadra, rimasti a centrocampo, sono visibilmente commossi: capitan Baresi, Maldini, Costacurta, Panucci, Eranio, Albertini, Boban, Savicevic, Rossi, Weah e Baggio. Piange anche Fabio Capello, seduto in panchina.



E piangono in tanti anche sugli spalti. Lacrime sincere, in una sera che vedeva entrare un campione di valore assoluto nell’Olimpo calcistico, laddove sono custoditi i più grandi calciatori di tutti i tempi. Nell’ultimo cerchio dell’Empireo calcistico, quello dei fenomeni, Marco Van Basten trova posto insieme a Di Stefano, Cruijff, Platini e Ronaldo. Al di sopra di loro soltanto Maradona e Pelè.


La grande bellezza


Marco van Basten ha dispensato perle di rara bellezza durante il suo percorso calcistico. Se l’assolo di Diego Maradona contro l’Inghilterra, nel 1986, è passato alla storia come “il gol del secolo”, la maestosa staffilata al volo del Cigno contro l’Urss, all’Europeo ’88, è stata definita “il più bel tiro entrato in fondo alla rete”. Il campo era lo stesso della finale di Coppa Campioni ’93. Rinat Dasaev, portiere dell’Urss, si sentì umiliato: “Van Basten calciò il pallone lungo una traiettoria che non pensavo potesse centrare la porta”. Una rete che rese felici i mendicanti di bellezza in un rettangolo di gioco, per dirla con Eduardo Galeano.

Un gol entrato di diritto (e di dovere) nella storia del calcio

Ma al di là dei gol, van Basten ha rappresentato il paradigma dell’eleganza misto ad efficacia dentro al rettangolo di gioco. Un danzatore classico con il pallone, costretto ad appendere gli scarpini al chiodo troppo presto a causa di una caviglia martoriata da macellai travestiti da giocatori, e da qualche medico troppo presuntuoso. Uno a cui pure il grande Carmelo Bene si offrì di dare in dono le proprie cartilagini, pur di vederlo continuare a giocare, anzi ad essere giocato dal pallone. Un destino che però, ancor di più, lo ha proiettato in una dimensione mitica.

Lo stilema della predestinazione s’intravide già al suo esordio in Eredivisie: van Basten in campo al posto di Cruijff il 3 aprile ‘82. Una leggenda del presente ed una del futuro a passarsi il testimone. Un metro e novanta centimetri di eleganza, bomber abilissimo negli assist e decisivo a tutti i livelli: un pezzo unico nella storia del calcio con queste caratteristiche fisiche. Tra le istantanee più belle della carriera di Marco van Basten (Marcel all’anagrafe) spicca la rovesciata contro gli svedesi del Goteborg, dipinta in una serata di Coppa dei Campioni del novembre 1992 in cui firmò un poker di reti, annichilendo la squadra scandinava. Trattamento riservato, quattro anni prima, ai bulgari del Vitocha Sofia.

A chi gli ha chiesto di indicare il suo gol più bello, però, Marco ha scelto quello in rovesciata contro il Den Bosch, ai tempi in cui indossava la maglia dell’Ajax. Un capolavoro di magniloquenza tecnica.

Con il Milan ha segnato 125 reti in gare ufficiali, distribuite in 86 partite su un totale di 201, pari al 42,79% di presenze con gol tra quelle collezionate dal fuoriclasse olandese in maglia rossonera. In tutti gli incontri in cui van Basten ha segnato il Milan non ha perso. Una statistica impressionante e difficilmente eguagliabile. Ma parliamo anche del primo centravanti a vincere tre volte il Pallone d’Oro, oltre ai trofei conquistati a iosa durante la sua militanza milanista. Nella conferenza stampa per il suo addio al calcio giocato, l’amministratore delegato rossonero, Adriano Galliani, elencò tutti gli allori del Cigno di Utrecht: un intervento che sembrò interminabile.

A sentire lui…

Nella sua gloriosa parentesi rossonera, van Basten ha smentito persino le previsioni di un mago quasi infallibile, di cui Nils Liedholm si fidava ciecamente, che nell’estate ’87 lanciò una previsione: “Questo olandese in Italia topperà”. Flop epocale del veggente. Al Milan prese la casa lasciata dall’inglese Ray Wilkins. Il giorno dopo la sua presentazione ufficiale nella sede di via Turati 3, la Gazzetta dello Sport gli dedicò un articolo secondario, scegliendo di puntare in apertura di pagina su Vincenzo Scifo, colpo di mercato dell’Inter. Il dottor Vincenzo Pincolini definì l’olandese un potenziale ostacolista di successo, capace di spingere la cyclette con punte di 550 watt.

Se chiedete ai milanisti il significato del trio Gullit-van Basten-Rijkaard vi risponderanno all’unisono: è come descrivere un’epoca calcistica citando tre nomi di calciatori.

Nel tempo libero ha coltivato i suoi hobby: bridge e cricket, pianoforte e tennis. Al suo arrivo in Italia ricordò ai presenti che a casa, nella sua collezione personale di magliette di calciatori, c’era anche la numero 9 indossata da Beppe Incocciati nel Mundialito Indoor di calcetto del dicembre ’82, vinto dai lancieri in finale contro i rossoneri. La prima e unica volta di van Basten contro il Milan.

Un assist del Cigno, invece, è divenuto memorabile: quello di Vienna nella finale di Coppa dei Campioni contro il Benfica. Un tocco, soltanto uno, a smarcare Rijkaard, preludio alla rete decisiva che confermò il Milan di Arrigo Sacchi al vertice dell’Europa calcistica. Tra i suoi gol ufficiali, invece, alcuni hanno un peso specifico altissimo. Ne citiamo un paio, entrambi dell’annata 1988/89: contro gli jugoslavi della Stella Rossa Belgrado e i tedeschi del Werder Brema, le due qualificazioni più sofferte di quella edizione di Coppa Campioni.

Nel ricordare la carriera di Van Basten, Maradona affermò: “Marco si è fatto male quando stava per diventare il migliore di tutti”.

Diego aveva ragione. A trent’anni dal suo addio al football rimane intatta la nostalgia tra i milanisti e gli esteti di ogni fede calcistica. Per dirla con le parole di Paolo Condò, “van Basten è stato il sogno brevemente realizzato dell’armonia assoluta. L’attimo nel quale il calcio ha smesso di essere arte povera per elevarsi a luogo dell’eleganza”. Nel frattempo, il Cigno di Utrecht è stato il fuoriclasse che ha portato il Milan sulla vetta del mondo. Armonia nella semplicità, carattere complesso, a tratti spigoloso, ma dalla presenza in campo unica. Alto e agile, veloce e potente, tecnico e agonista: per dirla in tre parole, Marco van Basten.


Sergio Taccone è un’autorità in materia di Milan: sul Diavolo ha pubblicato 17 libri nella sua carriera; uno anche su van Basten: “Marco van Basten: la giostra rossonera dei gol”. Nel 2020 ha vinto il Premio Selezione Bancarella sport con un libro su Ricky Albertosi


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