L'ex difensore di Milan e Lazio ha parlato la voce della verità alla BoboTV.
Alessandro Nesta ha espresso la voce della Verità sul problema dei settori giovanili e i suoi allenatori (o maestri). Lo ha fatto nello spazio meno consono (la BoboTV) ma nel momento forse più opportuno: quello che sta vivendo il nostro calcio – in quanto sistema. Il mercato faraonico della Premier League (che ha speso oltre 800 milioni di euro nella sessione invernale contro gli appena 30 della nostra piccola Serie A) ha riaperto il dibattito sulla mancanza di materia prima della nostra nazionale. In un momento di crisi come questo, sarebbe cosa buona e giusta puntare sul prodotto interno, si dice da più parti. Il problema però è da dove pescarlo.
Se infatti Roberto Mancini – che evidentemente vive sulla luna – ha sottolineato l’esigenza di far giocare i nostri giovani nelle prime squadre (citando come modello di questa filosofia l’inglese Jude Bellingham: sic!), Alessandro Nesta è partito da più lontano. Lo ha fatto con un’argomentazione a noi cara, forse perché vissuta sulla nostra stessa pelle in giovane età: il talento italiano, che certamente può prodursi dal nulla e ciclicamente («duemila anni e nessun nuovo dio!», diceva Nietzsche), è spesso e volentieri bloccato dalla superbia e dall’arrivismo degli allenatori delle giovanili.
Il calcio giovanile è un sistema oligarchico fondato sul business e sull’ignoranza.
Questi ultimi infatti, con un atteggiamento che somiglia terribilmente alla prassi giampaolista, preferiscono “proporre” il “proprio” credo tattico, addestrare i ragazzi alla propria idea di calcio, anziché allenarne il talento individuale, svilupparne le potenzialità inespresse. Ciò che è peggio, i “maestri” del nostro defunto calcio puntano ai risultati del proprio gruppo, a discapito della crescita – più o meno soddisfacente: questo dipende poi dalla volontà e dalla dedizione del talento individuale – dei piccoli che allenano quotidianamente.
Nesta, nel discorso alla BoboTV, parte dalla sua esperienza come allenatore-scout nei settori giovanili, e il primo punto riguarda le strutture: «strutture non ci sono: in un campo si trovano insieme 4, 5 squadre, hai poco spazio e non riesci ad allenare come vorresti». Ma l’appunto più interessante arriva subito dopo, e riguarda l’argomento poc’anzi toccato (e da noi più volte volte trattato su queste colonne) ma con una sfumatura ulteriore, originale: l’aspetto economico. «Se tu dai 200€ al mese agli allenatori, come puoi chiedergli di creare giocatori da 40, 50 milioni?».
Il discorso è intrigante, ma regge fino a un certo punto, visto che fino a una trentina di anni fa (quando cioè riuscivamo a produrre ancora talento di un certo peso) gli allenatori rimanevano sottopagati ma i calciatori forti uscivano comunque dai vivai. Forse allora il punto è un altro e Nesta lo tocca, anche se di sfuggita, subito dopo (secondo l’ex difensore di Lazio e Milan i due discorsi sono comunque collegati):
« Poi questa gente ha l’ambizione di allenare sopra questi talenti, perciò non allena i ragazzi ma loro stessi».
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