Recensioni
25 Novembre 2019

Qatar 2022, l'isola che (non) c'è

Inchiesta dal libro di Gianluca Mazzini.

Come è stato possibile che la Fifa abbia deciso di assegnare il principale evento calcistico al mondo ad un piccolo paese arabo senza tradizioni sportive, senza strutture adeguate, e in più caratterizzato da un clima desertico? Il libro di Gianluca Mazzini, “Qatar 2022: un mistero mondiale, si propone di rispondere a questo interrogativo fondamentale. Nel farlo, l’autore dà prova di una competenza geopolitica tale da tradurre con (apparente) semplicità tematiche a dir poco complesse.

L’assegnazione del Mondiale al Qatar è infatti tutto fuorché una storia di sport. In essa s’intrecciano i destini politici ed economici delle maggiori potenze mondiali. In tal senso, il libro di Mazzini è un’inchiesta che, prendendo come spunto una questione sportiva – o presunta tale –, si spinge ben oltre i propri iniziali propositi.

Come cercheremo di mostrare, questo libro è una piccola gemma di giornalismo. Gli interrogativi che solleva sono analizzati con una chiarezza che, come di riflesso, genera nuove domande per il futuro. Qatar 2022 si giocherà tra poco più di tre anni. È arrivato il momento di approfondire seriamente ciò che, fino ad oggi, si è a malapena sfiorato. Il lavoro di Gianluca Mazzini è il primo, in Italia, a prendere di petto la questione e in questo senso, ma non solo in questo senso, è una fonte imprescindibile per chi, come noi, ha già provato a sondare il terreno.


CAPITOLO I
IL QATAR E IL MONDO


L’Emirato del Qatar si estende su un territorio poco più grande dell’Abruzzo, con una popolazione di circa 2,8 milioni di abitanti, il 90% dei quali sono stranieri. È il Paese con il reddito pro capite più alto al mondo. La sua posizione geografica è insieme pericolosa e strategica.

Pericolosa, perché il Qatar è stretto dalla morsa di quattro superpotenze medio-orientali: ad ovest, in ordine di prossimità, Bahrein e Arabia Saudita – i rapporti con Riad erano eccellenti, ma dopo la sconfitta delle monarchie del Golfo nella guerra in Siria sono diventati pessimi; al punto che Doha, sul piano geopolitico, si sta avvicinando sempre di più alla Repubblica Islamica dell’Iran, rivale storico dei Saud –, ad est gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman. Strategica, perché è proprio trovandosi nella terra di mezzo del territorio più ricco di petrolio e gas puro al mondo – elemento, quest’ultimo, che approfondiremo a breve – che questa piccola penisola ricopre un tassello cruciale nello scacchiere medio-orientale.

 
Qatar mappa
Il Qatar, tessera cruciale nel puzzle delle superpotenze medio-orientali

Dall’analisi di Gian Luca Mazzini emerge chiaramente tutta l’ambiguità a cui è costretto il Qatar per convivere pacificamente coi vicini di casa. Di recente, tuttavia, il Qatar si è reso protagonista di un evento che ha cambiato il panorama geopolitico della regione. È il dicembre del 2018. Con un ritiro paragonabile alla nostra Brexit, il Qatar, storico membro dell’OPECOrganizzazione dei Paesi esportatori di petrolio –, si chiama fuori dal gruppo. La motivazione è evidente: il Qatar è infatti il primo paese per esportazione di gas naturale – gas puro – al mondo.

Le riserve di gas naturale scoperte nel 1971 a North Field sono illimitate. Il petrolio, al contrario, non è infinito. E il Qatar – che pure è attualmente uno dei massimi esportatori di petrolio – ha in casa “il petrolio del futuro”, non soggetto al rischio di estinzione.

«Il Qatar, dopo la scoperta del petrolio nel 1939 e i giacimenti di gas naturale nel 1971, ha conosciuto uno sviluppo economico pari a nessun altro Paese al mondo. Un’ascesa economica che non si è mai fermata».

E mai si fermerà, aggiungiamo noi chiosando Mazzini.

La storia del Qatar è allora scandita da tre eventi fondamentali: (1) la scoperta del petrolio; (2) quella del gas naturale; (3) la svolta politica a fine anni Novanta con Hamad. L’emiro, il primo della sua dinastia – al-Thaini – ad aver ricevuto un’educazione internazionale, depone il padre nel 1996. Nel 2000 viene incoronato Emiro del Qatar, una carica che detiene fino al 2013, quando il potere passa nelle mani del figlio Tamim, grande appassionato di pallone.

Qatar Iran gas naturali
Come è ben evidenziato dalla mappa, una piccola parte di questi giacimenti di gas naturale il Qatar li divide con l’Iran (foto Al Jazeera)

Attento alle dinamiche culturali moderne – il Qatar, cosa impensabile per la vicina Arabia Saudita, consente la libertà di culto – e alla complessità del mondo che va acquisendo e conquistando pezzo dopo pezzo, la monarchia costituzionale di cui Tamim è a capo è lungi dal poter essere definita laica. Il Qatar, pur essendo grande sponsor internazionale della Fratellanza Musulamana, rimane un Paese di confessione wahhabita, confessione islamica che prende il nome dal suo fondatore, il teologo Muhammad ibn Abd al-Wahhab, che convertì Muhammad ibn Saud, fondatore e sovrano dell’Arabia Saudita, nel 1744.

Quello del Qatar è definito wahhabismo del mare, in opposizione al wahhabismo del deserto, per la relativa “dolcezza” del suo modus o(pe)randi. La realtà è sensibilmente diversa. Come riporta Mazzini, l’Ong di Doha finanzia 8.148 moschee e 490 scuole di memorizzazione del Corano, di cui 148 tra moschee e centri islamici nella sola Europa. Il Qatar vive dunque con un piede in due staffe. Per esprimersi con le parole di Mazzini,

«[è] il Paese all’avanguardia dei cambiamenti che coinvolgono il Medio Oriente, e al contempo […] la Nazione fieramente radicata nel suo passato tribale e nelle sue tradizioni».

Il destino del Paese viene infatti presentato come indissolubilmente legato al clan al-Thani. La festività nazionale più importante dell’Emirato (18 dicembre) ricorda sì l’unificazione del Qatar avvenuta nel 1878, ma celebra soprattutto lo sceicco Jassin bin Mohammed capostipite del clan. «Non è un caso che proprio in quel giorno, nel 2022, si disputerà la finale della Coppa del Mondo di Calcio», aggiunge Mazzini.

Erdogan Al-Thani
Il presidente turco Erdoğan (a sinistra) e l’emiro del Qatar Al Thani a Istanbul, 14/4/2016 (foto ARIF HUDAVERDI YAMAN/AFP/Getty Images)

Abbiamo dunque brevemente accennato alla politica – la monarchia non sembra essere in discussione; chi vive in Qatar vive bene, ma, suggerisce Mazzini, l’ingresso nella cultura qatariota di Università di alto ed ampio livello formativo potrebbe mutare il quadro della situazione nei prossimi anni –; abbiamo detto della religione, il terreno sul quale il Qatar rimane più ambiguo; veniamo ora ad un ultimo, ma non sottovalutabile, problema: la creazione di Al Jazeera, canale giornalistico e televisivo fondato nel 1996 per volontà dell’Emiro Hamad, con un investimento pari a 137 milioni di dollari (per i primi cinque anni di attività).

Non è difficile immaginare il peso che, attraverso l’organo di stampa medio-orientale più famoso del pianeta – lo trovate da anni sul nostro Sky, ad esempio –, il Qatar ha potuto esercitare nelle decisioni da prendere sullo scacchiere geo-politico di questa zona – si pensi soltanto alla Primavera Araba, della cui “imparziale” narrazione si è fatta carico, con conseguenti oneri e onori, proprio Al Jazeera.

«Il network è stato ed è un punto di forza assoluta del piccolo Qatar. Uno strumento essenziale per la sua sopravvivenza politica e per la sua strategia geopolitica».

Nel libro, Mazzini dedica molte e interessanti pagine alla storia del canale, che ha un punto di non ritorno a livello di audience: l’annuncio di vendetta contro le forze statunitensi di Osama Bin Laden, trasmesso dalla CNN con logo Al Jazeera, il 16 ottobre del 2001, poco più di un mese dopo la strage delle Torri Gemelle. Questo ci permette di allacciarci alla questione del terrorismo.

Qatar Netanyahu Al Jaazera Salman
Una vignetta satirica che mostra, senza lasciare troppo spazio ad equivoci, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “chiudere” nel proprio paese la trasmissione di Al Jazeera (2017) dietro il gentile consulto di Salman, Re dell’Arabia Saudita (foto Carlos Latuff)

Il Qatar è accusato, dai suoi vicini, di sostenere e proteggere numerosi gruppi terroristici che mirano a destabilizzare la regione. Tra questi: i Fratelli Musulmani in Egitto, lo Stato Islamico (ISIS) e anche al Qaeda (e le formazioni di sua derivazione come Jabhat al Nusra) in Siria. Ma le accuse arrivano anche dall’Occidente e riguardano il finanziamento di moschee e centri islamici. Finanziamento che avviene attraverso la Qatar Charity Foundation, sorta di Deus ex machina delle operazioni economiche e politiche del Paese.

Nel settembre del 2017 il settimanale parigino Le Point pubblica un’esplosiva intervista del presidente francese Emmanuel Macron. Senza mezzi termini il numero uno dell’Eliseo accusa Qatar e Arabia Saudita di aver “contribuito al terrorismo”. L’analisi di Mazzini si ferma a lungo su questo punto, delicato per almeno due ragioni: (1) la Francia è senza dubbio – dai tempi di Sarkozy – il Paese europeo che intrattiene i più floridi rapporti con il Qatar, a livello economico come politico.

(2) l’Islam, presente anche e soprattutto nella sua forma “nichilistica” – come la definisce Gianluca Marletta, citato da Mazzini, ne La guerra del Tempio (2019, ed. Irfan) – in Francia e nelle sue banlieu – la gran parte delle quali sotto proprio il controllo finanziario del Qatar –; ebbene, l’Islam gioca un ruolo cruciale, senza dubbio ambiguo, nel processo di espansione qatariota in Europa. Le parole di Macron meritano un’analisi che qui non ci è possibile affrontare nel dettaglio – rimandiamo, per questo, allo splendido terzo capitolo del libro di Mazzini, intitolato Guerre, rivoluzioni e Jihad, di cui riportiamo almeno la conclusione:

«Oltre ad intrattenere ottime relazioni con la Turchia di Erdogan, il Qatar continua a ospitare incontri diplomatici riservati, come quello tra gli Stati Uniti e i talebani afghani del febbraio 2019. L’assedio commerciale e il blocco dei trasporti imposto da Riad ha spinto Doha a cercare una sponda sempre più importante nella Repubblica Islamica.

[…] Unendo oggi i puntini della presenza politica e finanziaria del Qatar in Medio Oriente, in questa fase storica, emerge un poligono irregolare che dal Golfo arriva al Mediterraneo aggirando l’Arabia Saudita e passando per Iran, Iraq, Turchia, per poi scendere verso sud in Libano e proseguendo verso Israele e Gaza, giungendo infine in Sudan, almeno fino all’epoca di Bashir. Non male per un Paese sotto assedio».

Macron Qatar
Lo stesso Macron ha poi dichiarato, in un incontro all’Eliseo con l’emiro cheikh Tamim Al Thani di cui questa foto è testimone, che Francia e Qatar sono unite nella lotta al terrorismo (foto REUTERS/Charles Platiau)

CAPITOLO II
IL QATAR ALLA CONQUISTA DEL MONDO


Non è possibile riassumere in poche righe l’utilizzo – meglio, la strumentalizzazione – che il Qatar ha fatto dello sport dagli anni Novanta – il decennio della svolta – ad oggi. Ci sono dei traguardi che ne hanno scandito la storia. Il mondiale di atletica andato in scena nel 2019 è solo l’ultimo in ordine di tempo.

Nonostante l’utilizzo di imponenti e costosissimi macchinari tecnologici di raffreddamento atti a rendere gli impianti sportivi e le prestazioni atletiche quantomeno praticabili a quelle latitudini, il mondo dell’atletica ha fatto pensare – attraverso più voci, quelle dei protagonisti come quelle degli organi ufficiali – che l’esperimento sia tutto meno che riuscito. Molti atleti sono stati costretti ad abbandonare la gara per le condizioni climatiche proibitive – fuori dagli impianti “raffreddati”, infatti, le temperature raggiungevano anche i 40 gradi, percepiti sui 50 per via dell’umidità.

Ad onor del vero, la gran parte di essi ha preferito i soldi – premi così non si erano mai visti nel mondo dell’atletica – alla salute. A chiudere il (non certo armonioso) quadro l’affluenza media degli spettatori attestata sulle 2000 unità, spettacolo decisamente imbarazzante se pensiamo alla capienza minima dello Stadio Khalifa, che conta 48.000 posti a sedere.

“Per me le condizioni erano impossibili, sono svenuta e per forza mi sono dovuta fermare. Era veramente una situazione pericolosa per noi atleti, è stato meglio così, anche se mi spiace tantissimo”. Con queste parole l’italiana Sara Dossena commenta il proprio (forzato e non isolato) ritiro dalla Maratona di Doha 2019

Il Mondiale di calcio del 2022 potrà almeno avere i seguenti vantaggi: un afflusso maggiore – si calcola l’arrivo di 1.5 milioni di appassionati – e un dettaglio climatico non irrilevante, dal momento che quello del 2022 sarà il primo Mondiale invernale. Certo, a totale discapito dei tifosi – ci torneremo.

Facciamo un passo indietro. È l’estate del 2007 e il Qatar lancia l’Aspire Football Dreams (AFD), una sorta di enorme Cantera sparsa per il mondo. Non a caso, il progetto è stato affidato a Josep Colomer, l’occhio che ha intravisto in un gracile ragazzino di Rosario un potenziale futuro fenomeno: Lionel Messi. Il progetto si è scandito secondo due fasi fondamentali: (1) il reclutamento di giovani talenti – tutti provenienti dall’Africa – e lo smistamento degli stessi (2) presso diverse squadre “satellite” dove fare pratica a livello professionistico.

Un risultato, tra le mille difficoltà affrontate da Colomer, si è comunque registrato (anche se indirettamente): la vittoria della Coppa d’Asia del 2019 del Qatar e la conseguente partecipazione della formazione qatariota – insieme al Giappone, l’altra finalista della Coppa d’Asia – alla Coppa America dello stesso anno. Un altro uomo fortemente legato alla Catalogna e al Barcellona come Xavi Hernandez aveva profetizzato – tra l’ironia generale – questo risultato; Xavi è un uomo simbolo del calcio qatariota, avendo finito la propria carriera da calciatore nell’Al-Sadd, di cui è attualmente allenatore.

 
Qatar 2022 Xavi
Lo stesso Xavi, qui nei panni di allenatore, ha dichiarato che il Qatar potrebbe arrivare nelle prime otto al prossimo Mondiale del 2022

Il risultato del 2019 – storico per il Qatar – è frutto di una programmazione oculata e di milioni di soldi spesi tra l’acquisto – con conseguente cambio di nazionalità – di talenti e la costruzione di strutture avanguardiste. Il fenomeno sportivo qatariota, strettamente legato alla propaganda del Paese, è splendidamente riassunto da una sentenza di Mazzini:

«Dal punto di vista sportivo l’Emirato funziona così: esporta petrolio e importa campioni. Di qualunque disciplina».

Solo per fare un esempio, l’uomo più veloce d’Asia si chiama Femi Seun Ogunode. È africano ma gareggia per il Qatar. Nato in Nigeria a Ondo City nel 1991 ha cambiato cittadinanza nel 2008. “Quando venni contattato via mail dal Qatar ho accettato la loro proposta ma dicendo subito che non avevo i soldi per trasferirmi a Doha. Mi risposero di spedire il passaporto e mi hanno pagato il viaggio. Il resto è storia”.

Ma in tutta questa storia, a mancare è proprio il resto. Quali segreti nasconde la vittoria del Qatar come Paese ospitante dei Mondiali del 2022?

Il filo rosso che lega il Qatar al calcio si chiama Francia.

Siamo a Zurigo, nel Dicembre del 2010. In ballo le candidature per i prossimi Mondiali del 2018 e del 2022. Josep Blatter, padre padrone della FIFA, dichiara, tra l’incredulità generale, che la piccola Penisola ha vinto – con 14 voti a favore – il bando del 2022. L’avversario? Niente di meno che gli Stati Uniti d’America, Paese col quale il Qatar intrattiene ottimi rapporti commerciali.

Il filo rosso che lega il Qatar al calcio si chiama Francia. Il libro di Mazzini lo slega attraverso tre punti chiave, scanditi nel tempo: (1) la vittoria del Qatar al bando per i Mondiali del 2022 – vittoria che fu possibile grazie a due uomini chiave nell’organizzazione europea e mondiale del calcio, Platini e Blatter; (2) l’acquisto da parte dell’emiro Nasser Al-Khelaïfi del Paris Saint Germain; (3) il colpo di mercato più importante della storia calcistica: Neymar Junior, dal Barcellona. Andiamo con ordine.

Neymar PSG Qatar
Nasser Al-Khelaïfi presenta Neymar Junior, l’acquisto più costoso nella storia del calcio e crocevia fondamentale per arrivare a Qatar 2022

Nonostante svariate inchieste partite dagli Stati Uniti prima e dalla Gran Bretagna poi, note alla voce Qatargate – a definirlo così è stato per primo l’Equipe; siamo nel 2013 e il colosso editoriale francese esce con un’inchiesta shock sulla corruzione che ha portato all’assegnazione del Mondiale del 2022 –, ad oggi il Qatar risulta innocente.

Come ha affermato Jassim Bin Mansour rispondendo ai “nemici” che in questi anni hanno puntato il dito verso il Qatar,

«le accuse di corruzione non ci toccano. Indagini e rapporti investigativi negli anni non sono stati in grado di portare prove certe. Ci siamo aggiudicati la competizione con un margine di voto significativo: 14 voti contro 8. È tempo di cancellare queste falsità per sempre. Anche sul fronte del lavoro abbiamo fatto passi importanti. Nel 2013 la Confederazione internazionale dei sindacati (CIS) ci aveva criticato per le condizioni di vita degli operai edili in Qatar ma nel 2017 la stessa organizzazione ha dichiarato che c’è stato un chiaro impegno del nostro governo a normalizzare con gli standard internazionali le tutele per i lavoratori immigrati.

[…] Il Qatar è incredibilmente orgoglioso di ospitare i prossimi Mondiali perché attraverso lo sport riusciremo ad avvicinare le persone e promuovere e ispirare l’avanzamento di generazioni e generi attraverso i continenti».

Ma torniamo all’assegnazione del Mondiale. Un broglio che ha avuto tre protagonisti assoluti: lo svizzero Sepp Blatter, il francese Michel Platini e il qatarino Mohamed Bin Hammam. Tutti e tre, caso vuole, in aspra lotta per la presidenza della Fifa tra il 2011 e il 2015. Tutti e tre travolti, in tempi diversi, dallo scandalo.

Blatter Qatar 2022
La curiosa assegnazione di Qatar 2022. Scriveva Stefano Olivari sul Guerin Sportivo: “Da politico navigato (Blatter) sa che in Inghilterra ci sono i giornalisti, in America l’FBI”. E infatti… (foto EPA/WALTER BIERI)

A far scattare l’operazione il ministro della Giustizia americano Loretta Lynch che insieme alla Procura di Brooklyn ha messo sotto accusa l’organizzazione del calcio mondiale a partire dal 1991 fino al 2015. Un periodo lungo 24 anni (17 a guida Blatter) durante il quale sono stati messi in palio al miglior offerente sottobanco diritti media, sponsorizzazioni e poltrone al vertice delle istituzioni calcistiche, oltre all’assegnazione di tornei, dai mondiali a qualificazioni e coppe continentali.

Tutto ha inizio – come spesso accade – da una cena tra “amici”.

«Sono andato a cena da Sarkozy e ho trovato quelli del Qatar. Ma ero andato per dire che avrei votato Russia e Qatar, avevo già deciso. Nessuno mi ha obbligato. Solo Blatter mi ha chiesto di votare Russia» (Michel Platini).

In cambio del voto e dell’influenza di Platini per il Mondiale del 2022, Al-Khelaïfi avrebbe rilevato il PSG per farne un top club, incrementato la partecipazione qatarina nel gruppo Lagardere e aperto un canale tv interamente dedicato allo sport in Francia. Detto fatto. Nell’arco di sei mesi, gli emiri acquisiranno il PSG, diventeranno i maggiori azionisti di Lagardere e apriranno il canale beIN Sports. Solo nove giorni dopo quella cena, il 2 dicembre 2010, la Fifa assegna al Qatar i Mondiali 2022.

L’acquisto del PSG fu dunque la naturale conseguenza di quell’accordo. Ma l’acquisto di Neymar è andato oltre ogni previsione. Alla fine, si calcola che l’intera operazione sia costata 562 milioni. Una cifra pazzesca, che ha portato il calcio in una nuova dimensione.

«Questo perché a comprare il giocatore brasiliano non è stato un club calcistico ma una nazione: il Qatar. E questo per motivi non solo calcistici».

Mazzini non esclude che la motivazione, oltre che di immagine – punto indiscutibile – fosse di carattere vendicativo. Appena un anno prima, infatti, l’emiro si era dovuto sorbire la rimonta dei catalani (6-1 al Camp Nou dopo il 4-0 dei parigini all’andata) ad opera, oltre che di Messi e compagni, proprio di Neymar – in una delle sue notti indimenticabili. Oggi O’Ney vuole andarsene dal PSG, magari proprio per tornare al Barcellona. Fatto sta che l’acquisto del brasiliano ha portato gli occhi del pianeta calcistico sul club parigino – di cui grande tifoso è Sarkozy, il primo uomo politico vicino ad Hamad, l’emiro della svolta qatariota.

Sarkozy Hamad Qatar 2022
L’ex capo dell’Eliseo Sarkozy insieme ad Hamad, l’emiro della svolta. Qatar 2022 inizia da questa amicizia (REUTERS/Charles Platiau)

CONCLUSIONE


Il libro di Mazzini si conclude con una doppia appendice dedicata al Belpaese. L’intervista all’ambasciatore italiano in Qatar Pasquale Salzano mette in luce con la chiarezza propria del discorso diretto ciò che l’autore del libro già rivela tra le righe dello stesso: l’Italia vive – nei confronti del Qatar – in uno stato di beata ignoranza.

La beatitudine (materiale) gli viene dal fatto che il ricco Paese medio-orientale investe ogni anno milioni e milioni di euro in Italia – almeno tre i casi emblematici: l’acquisto pressoché totale del quartiere Porta Nuova di Milano, l’acquisto dell’Excelsior, hotel simbolo della Roma felliniana, e l’Hotel San Domenico di Taormina; è soprattutto in Sicilia che l’emiro vuole affermare lo stretto legame tra la cultura locale e il mondo islamico. Non solo. Nel 2012 viene acquistata per 650 milioni di euro la Smeralda Holding che possiede in Sardegna alberghi e centri turistici come Cala di Volpe, La Marina di Porto Cervo o il Pevero Golf Club in aggiunta a 2.300 ettari di terreni prestigiosi in Gallura.

Ma c’è dell’altro. Oltre ai rapporti con l’Adriatic Lng Terminal – società di Rovigo che tratta il gas proveniente dalle fonti qatariote – è soprattutto con la società Leonardo – parliamo della maggiore realtà italiana specializzata nell’alta tecnologia per la difesa e la sicurezza del nostro Paese – che il Qatar intrattiene i più frequenti e ricchi rapporti.

Ogni investimento è strategico, specchio fedele della filosofia che, dagli anni Novanta ad oggi, guida uno dei paesi più ricchi del pianeta.

Per il Mondiale del 2022, inoltre, va menzionata la costruzione dell’Hamad International Airport, 510 mila metri quadri di puro design made in Italy. Per la facciata esterna, 200 mila metri quadri di vetro e acciaio, è stata scelta la veneta Permasteelisa. L’intera opera è costata 800 milioni di euro e 7 anni di lavori. Per la metro – 4 linee ferroviarie che permetteranno la visione di più partite nella stessa giornata – e i lavori di costruzione esterni agli impianti sportivi, il Qatar ha chiamato in causa altri due colossi dell’ingegneristica italiana, Salini Impregilo e Rizzani De Eccher.

Come non citare, infine, l’acquisizione dello storico marchio di moda Valentino sempre da parte del Qatar, nel lontano 2012; ma anche il main sponsor dell’AS Roma, Qatar Airways. La lista potrebbe proseguire e nel libro di Mazzini non mancano i dettagli. Quel che qui conta sottolineare non è tanto la quantità ma la qualità delle spese qatariote. Ogni investimento è strategico, specchio fedele della filosofia che, dagli anni Novanta ad oggi, guida uno dei paesi più ricchi del pianeta. Ricco, ma non spendaccione. Attento al futuro, ma con un occhio alle tradizioni secolari che ne caratterizzano il territorio (soprattutto quello circostante).

Come si diceva all’inizio, un Paese dal piede in due staffe. Ambiguo, equivoco. Ma destinato a diventare sempre più potente. È proprio in questa strutturale “ipocrisia” della gestione interna ed esterna del Qatar che l’agile ma profondo libro di Gianluca Mazzini intende scavare. Nella certezza che il velo di mistero che, simile al Burqa, avvolge il Qatar, sia grazie a quest’inchiesta meno oscuro di prima.

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