Ventiseiesima giornata di Serie A (quasi) alle spalle, tra incroci ad alta quota e transizione domenicale.
Beh, di certo non ci siamo annoiati in questo fine settimana di calcio nostrano (a parte la domenica pomeriggio s’intende, in cui diverse squadre si sono sfidate un po’ così, per dovere di calendario). Hanno aperto lo spettacolo i ragazzi terribili di Gasp, sbancando il San Paolo; ha chiuso il sipario Radja Nainggolan, sbancando il Meazza.
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Il più forte centrocampista del mondo. Un alieno è sbarcato nella Scala del calcio. Esagerato! – direte voi. Ma sapreste dirmi ad oggi una mezz’ala/centrocampista offensivo/centrocampista totale etc più decisivo di Nainggolan? Forse è sì più opportuno dire decisivo anziché forte, un termine tanto generico quanto improprio. Il belga ricorda un po’ il miglior Vidal dell’era Conte: media realizzativa da seconda punta, energia inesauribile, forza fisica dirompente, interdizione (fatta bene) quando serve. O magari anche il Pogba che decideva le partite da solo, mettendo in campo una superiorità manifesta e senza perdersi in tacchi e punte. Tutti adesso parlano del secondo gol, un tiro a 99 km/h (neanche lui è perfetto) dopo cinquanta metri di campo. Ma ancora più bello è il primo: inserimento sulla fascia sinistra, sterzata verso l’interno con repentino cambio di direzione – e con una forza nelle gambe innaturale – tocco d’esterno in controtempo, conseguente dribbling verso il limite dell’area e, per concludere, destro a giro (e anche di potenza) all’incrocio dei pali. Uno a zero per i giallorossi, San Siro annichilito. Passano circa dieci minuti dall’inizio della ripresa e la scena si ripete, o meglio si ripetono l’effetto e la causa; il Meazza è nuovamente in silenzio, dopo una cavalcata chiusa in gloria con un missile terra aria. Si levano alcune proteste per una spinta del giallorosso – ai danni di un Gagliardini costretto a marcarlo quasi a uomo – ma siamo nel terreno delle interminabili e irrisolte dispute sportive del Lunedì; meno soggetto a confutazione è il rigore su Eder, netto e indiscutibile, ma passati pochi minuti Icardi accorcia le distanze. I nerazzurri a questo punto risalgono in energie e speranze, puntualmente frustrate da uno strano animale di nome Diego Perotti, il quale calcia dagli undici metri con la stessa naturalezza con cui noi comuni mortali beviamo un bicchier d’acqua. Nel complessovittoria meritata per la Roma, una squadra sempre più matura che si prepara ad affrontare un periodo di fuoco; e onore al coraggio di Pioli, anche se Candreva e Perisic a tutta fascia sono stati probabilmente un azzardo troppo grande, soprattutto nel dopo partita in cui a parlare siamo buoni tutti.
La potenza di Nainggolan in occasione del secondo gol
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Gloria ai corsari neri (e azzurri). Prima di tutto faccia mea culpa chi credeva che i rivoluzionari di Gasperini fermassero la propria marcia; inizio io, con parziale ammissione scritta di colpevolezza. Questa Atalanta è una delle più belle squadre che ricordi in Italia. Di più, è quel luogo in cui l’etica si incrocia con l’estetica. Un calcio coraggioso, entusiasta ma ordinato, generoso ma intelligente, intenso ma chirurgico. In panchina c’è un certo Giampiero Gasperini, che come comandante di una rivoluzione non sembra molto credibile: un signore per bene, educato, mai fuori dalle righe; più studioso che uomo d’azione. In campo c’è invece una squadra giovane ma con grande carattere, tanto da giocare alla pari con il Napoli al San Paolo – una sola sconfitta tra le mura amiche per gli azzurri – e raggiungere il vantaggio con Mattia Caldara, difensore centrale di ventidue anni già prenotato dalla Juventus. A riposo si va sull’uno a zero per i nerazzurri, ma ancora non abbiamo visto niente. Si entra in campo nella ripresa e l’Atalanta sfiora il doppio vantaggio con Petagna, che se fosse abile davanti alla porta quanto lo è nel proteggere la palla giocherebbe già nel Real Madrid; poi nel giro di tre minuti (tra il 64′ e il 67′) Franck Kessie, altro gioiellino classe ’96 dei bergamaschi, viene espulso per somma di ammonizioni. Sembra la fine per questi giovani rivoluzionari, ma tre minuti dopo quel Caldara di cui prima decide di arrivare dalla sua area fino a quella avversaria, per trasformare magistralmente in rete un gran cross di Spinazzola: l’innocenza della volontà di potenza. Da questo momento in poi l’Atalanta tiene bene per festeggiare quindi a Bergamo, con migliaia di tifosi in tripudio, tre punti meravigliosi. Dall’altro lato il Napoli inizia un periodo di fuoco, proprio come la Roma, dovendo preparare partite potenzialmente esiziali (Juventus in Coppa Italia, Roma in Campionato e Real in Champions). Sarri non avrà tempo per pensare che su dieci incontri con Gasperini in ben sei non ha trovato la via della rete; nè avrà tempo di riflettere sul fatto che solo in tre partite quest’anno il Napoli non ha segnato, e ben due volte con l’Atalanta, unica squadra a sconfiggere i partenopei sia nella gara d’andata (1-0) che nella gara di ritorno (0-2). Viene addirittura da osare: se il Napoli avesse avuto al Santiago Bernabeu la stessa sfacciataggine che i ragazzi di Gasp hanno dimostrato al San Paolo, chissà, magari oggi la rimonta risulterebbe meno complicata.
La girata volante di Caldara per la prima doppietta tra i professionisti
Un campionato falsato. Questa faccenda invece sta iniziando a diventare noiosa. Adesso perché il calcio non si discute, e il calcio di domenica a maggior ragione, e anche perché noi Italiani in fondo ci teniamo alla tradizione. Ma per un non tifoso delle squadre in campo, che senso aveva sedersi sul divano ieri alle 15? Si affrontavano formazioni che non avevano nulla da chiedere al campionato, se non la Lazio e il Milan che avanzavano pretese sull’Europa dei piccoli. In questa Serie A ci sono una decina scarsa di squadre che giocano per dovere di calendario e di rappresentanza; e probabilmente sono anche di più, perché in fondo in zona salvezza sapevamo circa dalla decima giornata chi sarebbe retrocesso (per quanto l’Empoli ce la stia mettendo tutta per mantenere una parvenza di competizione, e lo ringraziamo). Anche questo aspetto è inquietante: i toscani hanno fatto 22 punti in 26 partite, con ben 15 gol all’attivo, e godono di una discreta sicurezza per la permanenza nella massima serie. Se infatti l’Empoli nelle prossime 12 partite non dovesse ottenere neanche un risultato positivo, comunque il Palermo (prima inseguitrice) con la media punti evidenziata fino ad ora arriverebbe a 21 lunghezze, retrocedendo inesorabilmente in Serie B. Per il resto con il Crotone abbiamo scherzato, onore allo spirito e via discorrendo ma lo scherzo è bello quando dura poco. Il Pescara di Oddo credo abbia fatto il record negativo di punti sul campo nella storia della Serie A o giù di lì (levando i tre a tavolino), e meno male che ora è tornata Zemanlandia a dare un po’ di folclore, anche se come utopia velleitaria, costruita troppo tardi per sperare nell’obiettivo. Una volta era necessaria quota 40 per salvarsi, adesso secondo la matematica sarebbero sufficienti 22 punti, e male che vada ne basteranno una trentina scarsi. Che poi noi siamo italiani, come si diceva prima: tanto conservatori quanto anarchici, nel senso fatalista del termine; nulla a che vedere con l’individualismo selvaggio della contemporaneità, no, il nostro è più un menefreghismo metafisico, che fa tutt’uno con il ciclo delle stagioni. Non potremmo mai chiedere a una squadra senza obiettivi, con il sorgere della primavera, di lottare coltello fra i denti come fanno nella perfida Albione. Il campionato a diciotto squadre si impone come una necessità non più prorogabile.