L’Italia che torna da Parigi può ritenersi sportivamente soddisfatta: 40 medaglie e 12 ori, 2 in più di Tokyo. L’Italia olimpica ha dimostrato in molte occasioni di saper vincere, di essere preparata e di riuscire a competere ai più alti livelli in ogni disciplina, mantenendo una cultura e una tradizione sportiva degna di un grande Paese. Gli azzurri e le azzurre vincono, ispirano e fanno esultare, appassionano il pubblico.
C’è un dato, però, che stona più di altri rispetto al passato: siamo la prima nazione nella classifica dei quarti posti.
Fin qui nessuna notizia. Ciò che stona però non è il dato sportivo, buono solo da dare in pasto ai nerd e a chi lo sport lo pratica in teoria, quasi neutro per una lettura di massa, senza dubbio utile per analisi approfondite in sede CONI. Stona la particolare, mirata e inusuale attenzione mediatica di cui hanno goduto le cosiddette medaglie di legno. Inusuale, per non dire eccessiva, soprattutto se a farsene carico – e ad influenzare gli altri – è una parte di sistema mediatico rappresentato su tutti dal direttore Enrico Mentana, che si è esposto da subito e con grande determinazione.
Fin qui (quasi) tutto nella norma, se non fosse che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiesto espressamente a Giovanni Malagò di estendere gli inviti per il classico ricevimento dei medagliati – che si terrà il 23 settembre – anche ai quarti classificati. Allora, da interpretazione giornalistica, diventa una scelta politica e da tale deve essere trattata. Difficile da capire, anzi, a tutti gli effetti da considerare un errore: sportivo ed etico.
C’è un grande, definitivo, insegnamento di vita che soprattutto attraverso lo sport è bene imparare: perdere. Enzo Ferrari diceva “il secondo è il primo dei perdenti”, figuriamoci come considerava un quarto posto. Alle Olimpiadi esistono le 3 medaglie e – dall’oro al bronzo – il podio è comunque un traguardo eccellente, ma invitare i quarti classificati ad una celebrazione dei risultati conseguiti significa spolverare di vittoria una ‘sconfitta’. Il rispetto che va riconosciuto agli sportivi che si qualificano alle Olimpiadi è chiaro, indubbio. Ma nello sport emerge la differenza, tra chi è più forte e chi lo è meno, tra chi ha gareggiato meglio e chi peggio, tra chi in quel momento è destinato alla vittoria e chi verrà sconfitto.
E questa differenza è giusto celebrarla, al Quirinale come al bar, come è giusto rielaborare una sconfitta. Sembra banale sottolinearlo ma è necessario ribadirlo viste le tendenze. A che pro questa narrazione sui quarti posti e sui podi inclusivi? Ergere quegli atleti a simbolo di speranza? Consolarli pubblicamente? Lo sport racconta una storia per ogni atleta, certo, infatti ognuno è libero di scrivere il proprio libro, ma ciò che conta per la gloria e la storia, ciò che ha un valore per la società intera, è ancora il risultato. Non la retorica emozionale che tanto piace alla gente che piace, ma che non insegna niente, che sostituisce la disciplina con la commiserazione.
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In un mondo in cui tutti vogliono vincere, nessuno vuole perdere, nessuno può permettersi di perdere, bisogna trovare una soluzione buona per tutti. E allora ecco che vincono tutti o almeno tutti devono essere celebrati, coi propri alibi. Se lo sport è terreno di soft power, questa interpretazione è davvero troppo soft, sintomo di un mondo Occidentale che sa guardare solo al proprio ombelico, che se la fa e se la canta a piacere, che usa i paraocchi come i cavalli da corsa. Scrive Filippo Lubrano su Il Foglio
“molti media (americani, ndr) negli ultimi anni, per non venire superati dalla Cina nel conteggio dei successi, hanno modificato la presentazione del medagliere, sommando tutte le medaglie a prescindere dal colore, anzichè dare priorità a quelle d’oro per esempio”.
Dobbiamo sempre vincere, a tutti i costi, anche a costo di distorcere la realtà con la narrazione. Ma assecondare la sete di successo in questo modo non può che aprire le porte al declino. E poi, seguendo la logica dei podi inclusivi, perché deve essere celebrato ‘solo’ il quarto e non anche il quinto? Perché solo il quinto e non anche chi è arrivato alle finali? Perché chi è arrivato alle finali e non chiunque si sia qualificato alle Olimpiadi, con così tanti sforzi e sacrifici? È l’eliminazione della sconfitta che non insegna nulla. Aggiunge solo una sfumatura a quell’arcobaleno scolorito indistinto di valori a cui ci stiamo abituando.
“Siamo come gli altri, ma abbiamo fatto meglio di loro. Vincenti, non speciali”. Così Julio Velasco al termine della trionfante partita contro gli Stati Uniti che ha consegnato l’ultimo oro all’Italia delle Olimpiadi di Parigi 2024. Il leader argentino ha offerto come al suo solito degli spunti di filosofia che trascendono i confini dello sport.
L’interpretazione dei risultati, la lettura delle prestazioni agonistiche, la comprensione dei valori, sono aspetti fondamentali di chi fa sport ma anche di chi lo guarda come fonte di ispirazione, di chi semplicemente se ne appassiona, di chi ne fa un intrattenimento domestico e di chi li vuole usare come strumenti di politica. Se ne possono trarre gli insegnamenti di vita più importanti, come il rispetto dell’altro, il superamento dei propri limiti e ultimo, ma non ultimo, saper perdere. Cose che non siamo più in grado di fare.