Una squadra che ha trasformato lo straordinario in fenomeno ordinario.
Quando Gianni Brera, parafrasando Guido Gozzano, creò l’analogia donna-calcio (entrambi bei misteri senza fine), pensava al giuoco nel suo carattere estetico prima ed eventuale poi. Un ragionamento logico, a pensarci bene. Noi possiamo infatti parlare di estetica perché coi sensi abbiamo imparato a conviverci, quotidianamente, da millenni. Ma cosa dire dell’evento? L’evento, che è imprevedibile per natura, accade quando Dio vuole e senza schemi possibili. Noi non possiamo convivere con l’evento, è l’evento semmai che viene a convivere in mezzo a noi. Eppure, quando vediamo giocare il Real Madrid – specialmente nelle notti europee –, è come se fosse il Real Madrid a farsi evento.
Come ci ha suggerito un grillo parlante, il Real ha trasformato lo straordinario in fenomeno ordinario. Ognuno di noi, in cuor suo s’intende, sapeva bene che nonostante una gran partita del Bayern – il Bayern, mica pizza e fichi – il Real, in un modo o in un altro, la qualificazione l’avrebbe ripresa. E in questo senso può annoiarsi di fronte ad uno spettacolo simile o, peggio, dirsi deluso dall’ennesimo epilogo a tinte bianche, solo chi ha poca fede. Non è di questi il Regno del Calcio.
I minuti passavano, il Madrid pareva stanco. Il Bayern, dal canto suo, si copriva – grazie! Viene da ridere a leggere gli esperti del pallone sentenziare sulle scelte di Thomas Tuchel, troppo timoroso di vincere a loro dire – e questo timore, dicono quelli, lo avrebbe condotto alla rovina. Non si rendono conto, questi come tutti quelli che oggi parlano di culo ancelottiano, che al Bernabèu le partite vivono di una logica loro – la logica di Eupalla, potremmo dire parafrasando John Wisdom.
Questa logica non è spiegabile a parole, o a concetti, non è com-prensibile fino in fondo. Va accolta soltanto, possibilmente con devozione. Come fa ogni volta Carlo Ancelotti, che è un po’ lo starec del Bernabèu, questo tempio del calcio e simbolo di qualcosa che va oltre il calcio. Ha sorriso, Ancelotti, al termine della partita. E guardando poi negli occhi – lucidi – Alessia Tarquinio (“Succede sempre”), ha semplicemente ripetuto la litania accennata dalla giornalista italiana:
“Sì, succede sempre”.
Questo sempre è come l’antitipo del gioco. Non c’è niente da fare: il Real Madrid è una religione, non è una squadra di calcio. Parlare di tattica, errori di Tuchel, culo – ma anche bravura, per eccesso – di Ancelotti è sbagliato, riduttivo: non coglie la portata mistica dell’evento. Ieri sono accadute robe di tattica, certo, Tuchel avrà commesso qualche errore (mah), Ancelotti sarà stato bravo a inserire Joselu (surreale). Ma tutti questi fattori non vanno all’essenza della cosa.
Così come un ottimo PSG il giorno prima aveva colto quattro legni (sette compresa l’andata) contro il Dortmund senza mai segnare, così un discreto Real Madrid ieri sera ha vinto la partita segnando due volte nell’arco di circa 180 secondi. Dall’88’ al 91’. Due volte con Joselu, prima su spaperata di Neuer – che in quel rilancio frettoloso da cui nascerà il gol del pareggio è finito pure lui vittima dell’evento, dado e non lanciatore –, poi su assist di Antonio Rudiger.
Lo stesso che al triplice fischio andrà da Alaba con quella sedia bianca di mondonichiana memoria a riprendere – appunto, a farne il memoriale, si direbbe in termini sacramentali – l’evento di due anni prima con la vittoria del Real sul PSG (3-1). Possiamo pure raccontarci che le cose accadano per caso, insomma. Specialmente quando parliamo di Ancelotti e di Real Madrid. E in fondo è la cosa più rassicurante: sapere che il Real Madrid non è il club degli eletti ci dà ancora modo di parlare di quella vista ieri come di una semplice partita di calcio. Noi tutti, in fondo, «abbiamo occhi per vedere e non vediamo». (Ez 12,2)
immagine di copertina Real Madrid C.F. su X