Ritratti
09 Novembre 2016

Rinat Dasaev, l'ultimo guardiano dell'URSS

Grande portiere, icona del calcio sovietico.

Ci sono giocatori che si identificano con una nazione o un momento storico, che segnano una cesura con il passato o l’inizio di una rivoluzione politica o sportiva. Spesso si tratta di grandi calciatori, ma in qualche caso anche di giocatori normali. Jurgen Sparwasser non è stato un fuoriclasse, ma quel suo gol nel “derby” con la Germania Ovest al Mondiale ’74 ha segnato un’epoca per i simpatizzanti del piccolo Stato guidato dal compagno Honecker.

 

 

Il più grande di tutti, Diego Maradona, costruisce buona parte della propria leggenda nel Mondiale ’86 con i due gol all’Inghilterra: calcio e politica fusi insieme in gesti tecnici colmi di diabolica astuzia e raffinata perfidia tipici di un campione del popolo, incomprensibile alle attuali star del football cosmopolita. Il sovietico Rinat Dasaev è stato a suo modo un simbolo e uno dei migliori portieri degli anni Ottanta. Descritto come un “favorito” del PCUS, era soprattutto un uomo con la testa sulle spalle.

 

 

Interrogato sui suoi colleghi di ruolo, dirà semplicemente: «Zenga è più bravo di me, come lo sono Pfaff e Schumacher». Una supremazia dell’italiano condivisa anche da Gianni Brera: il più celebre giornalista sportivo italiano soleva arrotondare per difetto le pagelle del sovietico quasi a compensare gli esagerati elogi normalmente tributati al misterioso uomo di Astrakhan. Erano tempi in cui si vaticinava l’arrivo di Dasaev in Italia: il presidente dell’Atalanta, Bortolotti, giurava di non essere interessato, nonostante l’irrisorio “rimborso spese” da 400 rubli al mese percepito dal portiere.

 

_rinat_dasaev_soviet_football_059428_
Rinat Dasaev a difesa dell’Urss

 

 

Un insulto alla classe del sovietico, uomo di 190 centimetri per 80 chilogrammi, molto diverso dai portieri “nani” che ancora si vedevano in giro a metà anni Ottanta. Il brasiliano Dirceu, celebre per le sue cannonate all’incrocio dei pali, li prendeva in giro: per parare certe bordate, anzi «per arrivare a toccare la traversa», diceva, bisogna essere «alti e sottili», al contrario di portieri tascabili come Tancredi o lo stesso «clown» belga Pfaff.

 

 

Essenziale, poco scenografico, sicuro, capace di ben organizzare la difesa. Dasaev non è sempre stato perfetto nelle uscite ma aveva una qualità non comune, praticamente assente negli estremi difensori di oggi: il lancio con le mani, preciso e potente, tale da innescare micidiali contropiedi. Insomma non il calcio lungo, a casaccio, sovente preda degli avversari: i compagni, con le mani, vanno serviti sui piedi, proiettando la palla fin quasi alla metà campo.

 

 

Altra caratteristica di Dasaev è stata quella di subire gol di rara bellezza: per sfortuna, forse, o più probabilmente per merito. Per batterlo occorreva alzare il coefficiente di difficoltà; Socrates e Eder, a Spagna 82, furono costretti a inventarsi le due reti più belle del mondiale per rimontare l’iniziale vantaggio sovietico: bolide da fuori area, dopo aver seminato un paio di difensori, per il «medico» della «democracia corinthiana» e bomba di controbalzo per Eder, dopo il velo di Falcao.

 

 

Qui un riassunto della finale di Euro 88, con uno dei gol più belli della storia del calcio

 

 

Quella del Mundial 86 è stata probabilmente l’Urss più forte che si sia vista sui campi di calcio: non tanto nei singoli quanto nella organizzazione di gioco. La «perestrojka» esigeva novità e la decisione di affidare la nazionale sovietica a un innovatore come Lobanovsky, tecnico plurimedagliato della Dinamo Kiev, fu consequenziale. Per “il colonnello” il calcio era una scienza esatta meritevole di rigida applicazione: tre allenamenti al giorno – all’alba, a metà giornata sotto il solleone del Messico, al tramonto – e credere fermamente in quello che si fa. Fatiche premiate da prestazioni spettacolari e per certi versi inquietanti, come il 6 a 0 all’Ungheria.

 

 

I sovietici sembravano però limitati da una sorta di “decoubertinismo” di fondo: nulla a che vedere con la tensione tattico-agonistica degli italiani, l’astuzia argentina, l’immensa classe brasiliana, la strabordante personalità dei tedeschi. Basterà il piccolo Belgio di Scifo e uno strano arbitro svedese per eliminare l’Urss di Lobanovsky agli ottavi di Mexico 86. Gente come Dasaev, Zavarov, Belanov, Jakovenko, Rats, Aleinikov, e poi più tardi Protassov e Mikhailichenko, si disperdono nei più o meno ricchi club europei: finiscono quasi tutti male, tra mille infortuni, problemi di ambientamento e di bottiglia, veri e propri impazzimenti. Il pallone d’oro Belanov verrà pescato a fare il ladro in un supermercato tedesco. Dasaev non approda mai in Italia, ma finisce al Siviglia accolto da migliaia di tifosi che già sognavano la Liga.

 

 

Si rivelerà un fallimento. L’ex portierone guadagna poco, al punto tale da non riuscire nemmeno a mantenere la moglie e la figlia in Spagna. Parte bene, ma poi viene sepolto di gol in uno sfortunato match contro il Real Madrid e lì inizia una discesa agli inferi fatta di guide in stato di ebrezza, incidenti e avventure imprenditoriali fallite. A Italia 90, Dasaev gioca la sua ultima partita con la gloriosa maglia targata «Cccp»; finisce di fatto anche l’epopea di Lobanovsky e dei giocatori che incantarono il mondo a metà anni Ottanta: l’Urss fa ancora in tempo a buttare fuori gli azzurri dall’Europeo del 92, ma ormai sono i titoli di coda. Alla massima rassegna continentale giocata in Svezia, non si parlerà più di Urss ma di «Csi» – Comunità di stati indipendenti. Sul web un anonimo tifoso presente alla finale di euro 88 testimonia:

 

«Ero nella curva dell’Olympiastadion di Monaco quando van Basten segnò quello straordinario gol. Avrei voluto registrare il sonoro di quei pochi secondi tra il cross dalla sinistra e l’urlo della gente olandese: mentre il pallone era in aria e van Basten stava per colpirlo, di colpo si fece un silenzio quasi totale, come se si stesse intuendo la prodezza in arrivo, tanto che si poté chiaramente sentire il potente fruscio, quasi un sibilo, del pallone che sfrega contro la rete nella parte corta della porta, alle spalle di Dasaev».

 

Poesia pura e crudele del calcio, che stava decretando la fine dell’Urss e di Dasaev. Nessuno poteva dirlo non certezza, ma i più capirono.

 

 

Gruppo MAGOG

Nicola Ventura

14 articoli
Niki Lauda, l’uomo dei metodi estremi
Ritratti
Nicola Ventura
21 Maggio 2024

Niki Lauda, l’uomo dei metodi estremi

Da pilota computer a uomo che vola alto.
James Hunt, talento indomabile
Ultra
Nicola Ventura
29 Agosto 2023

James Hunt, talento indomabile

La breve, emozionante, vita di un uomo che ha voluto essere soltanto sé stesso.
Bruce Lee, il piccolo drago
Ritratti
Nicola Ventura
27 Novembre 2021

Bruce Lee, il piccolo drago

Il 27 novembre del 1940 nasceva un combattente pop.

Ti potrebbe interessare

Repubblica Ceca, calma e libertà
Calcio
Emanuele Meschini
22 Giugno 2021

Repubblica Ceca, calma e libertà

Una nazionale sospesa nel tempo.
Le regole del calcio
Calcio
Andrea Tavano
30 Marzo 2018

Le regole del calcio

Come la rivoluzione regolamentare dei Novanta ha salvato il gioco del calcio.
La falange e il martello
Calcio
Manuel Camassa
08 Novembre 2016

La falange e il martello

Agli Europei del 1964, la Spagna di Francisco Franco, padrona di casa, ospita l'Unione Sovietica dei gerarchi di partito. Così il calcio diviene uno strumento raffinatissimo al servizio dei Paesi autoritari.
Il calcio è fatto (anche) di Ivano Bordon
Ritratti
Diego Mariottini
15 Aprile 2021

Il calcio è fatto (anche) di Ivano Bordon

Una carriera al servizio del gruppo.
San Francesco
Calcio
Lorenzo Santucci
03 Luglio 2017

San Francesco

29 giugno 2000.