Mezzo secolo fa, la strage che cambiò per sempre lo sport.
Con i Giochi del ‘72 la Germania voleva cancellare il ricordo di quelli “nazisti” del ‘36: ora era un Paese democratico, teatro di una guerra pacifica fra popoli. L’ombra del passato aleggiava però ancora così tanto che le misure di sicurezza furono volutamente assai scarne. In realtà una guerra era in corso, anche se fredda. Si infiammò nella finale di basket: tra scontri e proteste, l’URSS interruppe la striscia di 63 vittorie degli Stati Uniti alle Olimpiadi inaugurata proprio a Berlino ‘36.
Ma tra il 5 ed il 6 settembre alla Germania sembrò di ripiombare in un incubo. Una partita terribile che fece vittime di eventi molto più grandi dei loro uomini di sport: uccisi dal conflitto israelo-palestinese in terra tedesca.
Tutto ebbe inizio al Villaggio olimpico sulla Connollystraße. Nell’edificio 31 riposavano gli israeliani: i pesisti David Berger, Ze’ev Friedman e Yossef Romano; Yossef Gutfreund, arbitro di lotta greco-romana; i lottatori Eliezer Halfin e Mark Slavin; l’allenatore di atletica leggera Amitzur Shapira e quello di lotta greco-romana Moshe Weinberg; André Spitzer, maestro di scherma; Kehat Shorr, tecnico del tiro a segno; Yakov Springer, giudice di sollevamento pesi. Molti erano emigrati in Israele dai Paesi d’origine ed avevano già visto la Storia: Friedman, Shorr e Springer vivendo la Shoah e Romano combattendo la Guerra dei Sei giorni.
Verso le 3:30 del 5 settembre si mossero gli uomini di Settembre Nero: il capo Luttif Afif detto Issa, col volto coperto da lucido per scarpe, occhiali da sole e un cappellino bianco; Yusuf Nazzal conosciuto come Tony con un cappello da cowboy; Paolo ossia Afif Ahmad Hamid; Khalid Jawad noto come Salah; Ahmad Shiq Taha detto Abu Halla; Mohammed Safadi “Badran”, Adnan al-Gashei “Denawi” e Jamal al-Gashei “Samir”.
Issa e Tony conoscevano il Villaggio olimpico per averci lavorato durante la costruzione. Avevano l’ordine di non uccidere gli israeliani per scambiarli con altri prigionieri ed usare armi e bombe a mano solo per difendersi, far pressione sulle autorità o in casi estremi. Segue ora il racconto di un disastro. Crudele e totale.
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