Valentino Rossi sarà pilota per la vita.
Gli abeti rossi della Stiria pizzicano il cielo e occultano l’orizzonte. Il profumo del bosco arriva fin dentro la sala stampa del Red Bull Ring dove, nella ressa contenuta di giornalisti, tra mascherine e certificazioni, Valentino Rossi si prende la scena per l’ultimo soliloquio, quello atteso e temuto, rimandato ma inevitabile: «È un momento triste e difficile, dire che l’anno prossimo non correrò con una moto (…) Ma è stato grandioso e mi sono divertito tantissimo». La luce si era spenta già da tempo. Un decennio leggendario prima di un lento declino, culminato con il disastroso avvio della stagione in corso. Valentino aveva detto che avrebbe deciso in estate e così è stato.
Aveva detto che per divertirsi gli sarebbe bastato sentirsi competitivo: «Lottare per la vittoria, arrivare tra i primi cinque». Ambizioni partorite dalla parte migliore di sé, quella eternamente fanciullesca, lucente e raggiante, capace di spazzare via i rischi di uno sport mortale e accendere le luci del luna park. Ora il viaggio, però, è giunto a destinazione. Da Tavullia, baciata dalla brezza adriatica, alle alture austriache, dove Valentino ha trovato il coraggio di dire basta. Fosse stato per il bimbo che è in lui, avrebbe continuato per altri «20 o 25 anni». «Ma non è possibile», ammette con gli occhi lucidi a impossessarsi del sorriso scanzonato.
Valentino si è inchinato al tempo, l’unico avversario insuperabile: quarantadue anni e mezzo, in moto da quando ne ha tredici. Le ultime 26 stagioni nel motomondiale con 9 titoli mondiali, 423 gran premi e 115 vittorie.
In tanti potranno vincere quanto Valentino ma mai nessuno vincerà come Valentino, che ha celebrato ogni successo con gag memorabili (il Pollo Osvaldo, I sette nani e persino una bambola gonfiabile), frutto di una straordinaria capacità comunicativa che ha infranto ogni barriera sociale e geografica. Valentino ha duellato e vinto cavalcando rivalità sportive che hanno infiammato le folle: da Biaggi e Gibernau a Stoner e Lorenzo, fino alla sfida incompiuta con Marc Marquez, il reietto, diseredato dal trono di Vale dopo il complotto che costò al Dottore il decimo mondiale, che resta l’unico rimpianto: «Sono triste di non aver vinto il decimo titolo, perché penso lo meritassi per la mia velocità».
Il 5 agosto è dunque il giorno dell’addio. Il debutto in Malesia nel 1996: un ragazzino ribelle col 46 stampato sulla carena, il numero di papà Graziano diventato icona motoristica, brand universale. Valentino ha trascinato la folla:
«Sembra che in Italia molte persone hanno iniziato a seguire le gare di moto per seguire me. Come quello che è successo con Tomba nello sci. L’obiettivo più importante raggiunto è questo. Penso di essere riuscito a intrattenere tante persone la domenica pomeriggio. Una o due ore durante le quali non li ho fatti pensare a nulla se non al divertimento. Per questo credo dicono io sia una leggenda».
A forza di vederlo in pista sembrava, la sua, un’avventura infinita. Invece il tempo, giudice severo e inappellabile, ha avuto la meglio. Valentino ha navigato centinaia di oceani, con il vento alle spalle o in preda alle tempeste. È stato promessa, talento, padrone e mito. Ha vissuto più vite, pagando lo scotto del tempo che lo ha reso infine un pilota normale. Gli esordi in 125 e 250, poi il salto in 500 e il mondiale prima dell’era MotoGP: unico a vincere un titolo in quattro classi diverse. Le Honda giallo fluo e arancione, le Yamaha blu, il rosso opaco Ducati e ancora i colori Yamaha. Moto diventate iconiche, col 46 giallo sul cupolino a unirle in un immaginario cammino di redenzione motoristica.
Il futuro è lì, appena dietro l’ultima curva, diviso tra il neonato VR46 Team, l’Academy che porta il suo nome e un’ultima pazza idea: le corse in auto. «Penso che correrò con le auto, ma è ancora un processo in corso. Non ho preso alcuna decisione. Mi sento un pilota in moto e in auto e lo sarò per tutta la vita. Penso che correrò comunque». Perché correre, per quelli come lui, è l’essenza del tutto. Il brivido della velocità che rende unico il viaggio, e che fino a ieri non era riuscito a farlo scendere. Il campione però passa, il pilota resta. E Valentino ha ragione da vendere: ci siamo divertiti.