Il campione dice addio alla pedana con un argento al collo.
La Gloria gli ha concesso (e si è concessa) un ultimo ballo, stretta tra le sue braccia. Nulla avrebbe avuto senso se, nella notte italiana della definitiva vasca di Federica Pellegrini, gli azzurri della sciabola fossero usciti nei quarti di finale contro l’Iran con Aldo Montano a fare da capitano non giocatore, seduto a bordo pedana come un turista qualsiasi.
Invece Luca Curatoli ha infilato la botta del 45-44 e mandato gli azzurri, tra mille brividi, a giocarsi di nuovo l’accesso al podio dei Giochi. E a quel punto tutto è tornato ad avere una logica, nel mondo biancovestito. Di fronte agli eterni avversari ungheresi e ad un Áron Szilágyi appena entrato nell’olimpo della sciabola col terzo oro individuale di fila, il destino ha indirizzato definitivamente gli eventi: ha fermato fisicamente il fresco argento di Gigi Semele e mandato Aldino a regolare i suoi conti con la Storia.
E così è stato proprio lui, 17 anni dopo, a chiudere il suo (quinto) cerchio contro i magiari, così come aveva cominciato. E anche a nome del nonno suo omonimo. Contro Zsolt Nemcsik Aldo junior vinse l’oro ad Atene nel 2004, adesso a Tokyo – contro i connazionali Andras Szatmari, ex campione del mondo, e Tamas Decsi, da Kazincbarcika sul confine est, con la sua lunga coda che fa pensare alle cariche degli ussari sulle piane d’Oriente – si prende la rivincita contro la squadra che ad Aldo senior, a Berlino 1936, tolse la gioia dell’oro sotto la guida del mitologico Aladár Gerevich.
D’altra parte mica è un caso se sei (6, numero) Montano, di tre generazioni diverse, in 85 anni di scherma hanno conquistato 14 medaglie olimpiche. Ed è proprio la grinta del veterano a ridare fiducia e colpi agli eredi Luca Curatoli ed Enrico Berrè, per portare a medaglia la nazionale azzurra di sciabola per la quarta olimpiade di fila (solo nel 2016 a Rio non era in programma la prova). Aldo c’è sempre stato: Atene, Pechino, Londra, Tokyo, costante imprescindibile di una formula che si è sempre rivelata magica anche quando pareva impossibile.
La finale contro la Corea del Sud infine dura giusto il tempo del primo assalto concluso 4-5, poi gli asiatici travolgono tutto e confermano, ad oggi, di essere di un altro pianeta per tutti nel mondo dell’arma che colpisce di taglio. Ad Aldo rimane solo qualche spicciolo in quella finale, un sanguinoso 0-5 di partenza ma anche qualche stoccata messa dentro, con la solita classe cristallina, quando però è ormai tardi per rimettere in gioco tutto ancora una volta.
Ma mentre lo guardi chiudere per sempre (si chiama Gu Bon-gil l’ultimo predestinato, fortunato, avversario) non ti luccicano gli occhi tanto per l’oro perduto dai nostri sciabolatori quanto perché ad ogni Êtes-vous prêts? Allez! che pronuncia il presidente di giuria sai che manca un secondo di meno al momento in cui Aldo su quella pedana ti mancherà già da morire. Anche se, a tutti gli orfani della sua classe, resteranno i filmati su youtube da riguardare in loop a giornate intere, per sognare ogni volta, anche se sai già il risultato di ogni singolo assalto.
Sai che sarà, semplicemente, qualcosa tipo dopo l’addio di Roby Baggio: da quando Aldo non tira più…
Anche se lui, il bimbo livornese che tanti anni fa sembrava uscito da una sceneggiatura di Virzì, nonostante gli occhi lucidi alla fine non potrà non lasciarsi scappare una battuta: “Quasi quasi continuo fino a Parigi 2024”. Ma la verità è che un addio così bello è concesso solo a pochi eletti. E perciò va bene così, anche se ci manca già, Aldo.