La psicopolizia britannica è tornata.
Signore e signori, ci risiamo. La psicopolizia della Football Association è tornata solerte a lavoro e ogni volta, rispetto alla precedente, alza addirittura il tiro. Questa volta a farne le spese è stato, o meglio sarà, Rodrigo Bentancur, che per un commento discriminatorio rischia una maxi-squalifica da 6 a 12 giornate in Premier League – una punizione che deve essere “esemplare”, filtra da fonti inglesi, come non si è mai vista prima nella storia della Premier. Ma cosa è successo?
Per farla breve, la vicenda risale allo scorso giugno quando, durante lo show di Canal 10 del suo paese ‘Por La Camiseta’, a Bentancur è stata chiesta la maglia di un giocatore degli Spurs. «Di Sonny? – ha risposto lui – Potrebbe essere anche quella di suo cugino dato che sembrano tutti uguali», ha scherzato. Per carità di Dio, non l’avesse mai fatto. Immediatamente sono arrivate le prime reazioni social di indignazione e inappellabile condanna a cui siamo ormai tristemente abituati, soprattutto dall’Inghilterra, e Rodrigo ha cercato di correre ai ripari con delle scuse e un post sui propri canali:
«Sonny, fratello! Mi scuso con te per quello che è successo, è stato solo uno scherzo molto brutto. Sai quanto ti voglio bene, che non ti mancherei mai di rispetto o ferirei te o chiunque altro! Ti voglio bene, fratello!»
E ancora, rivolto al ‘mondo’: «Le mie parole erano riferite a Son e a nessun altro. Con lui ho già parlato e logicamente, vista la nostra profonda amicizia, ha capito che si è trattato di uno sfortunato malinteso. Abbiamo già chiarito e risolto. Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, vorrei porgergli le mie più sincere scuse. Ma vorrei anche che sapesse che non mi sarei permesso di riferirmi a nessun altro, ma solo a Son. Per questo vi dico che non ho mai avuto l’intenzione di offendere direttamente o indirettamente qualcuno. Un grande abbraccio e tutto il mio rispetto a chiunque».
Questa la ‘nota’ di Bentancur a cui ha fatto seguito quella del compagno di squadra, e amico, Son Heung-min: «Ho parlato con ‘Lolo’. Ha fatto un errore, lo sa e si è scusato. Non avrebbe mai voluto dire qualcosa di offensivo, siamo fratelli e non è cambiato nulla tra di noi. Siamo uniti e torneremo insieme in pre-stagione per lottare per il nostro club come un tutt’uno». Infine l’intervento del Tottenham stesso, che dopo essere ricorso al solito campionario di frasi fatte su quanto il club sia “estremamente orgoglioso della propria fanbase globale e delle proprie squadre diversificate”, su quanto abbia “obiettivi di diversità, uguaglianza e inclusione” e su quanto alcun tipo di discriminazione, vera o simulata, abbia “posto nel nostro Club, nel nostro gioco o nella società in generale”, ha concluso:
«In seguito a un commento di Bentancur e alle scuse pubbliche del giocatore, il club ha fornito assistenza per garantire un esito positivo sulla questione. Siamo pienamente convinti che il nostro capitano Sonny possa tracciare una linea e mettere fine all’incidente».
Tutto a posto quindi? Ma neanche per sogno. A tracciare una linea è stata invece la Football Association, e già da anni – ricordiamo quando squalificò Cavani per tre turni con annessa multa e corso di rieducazione per aver risposto ‘gracias negrito’ a un caro amico uruguaiano che gli faceva i complimenti su Instagram. Una linea che ormai è diventata un autentico fossato, e così si arriva ad invocare e ventilare una punizione che davvero faccia scuola, e che possa tenere Bentancur lontano dai campi inglesi per mesi e mesi.
«Bentancur è stato accusato di una presunta violazione della regola E3 della FA per cattiva condotta in relazione a un’intervista – ha fatto sapere la federazione –. Si sostiene che il centrocampista del Tottenham abbia violato la regola E3.1 in quanto si è comportato in modo improprio e/o ha usato parole offensive e/o ingiuriose e/o ha screditato il gioco. Si sostiene, inoltre, che questo costituisca una ‘violazione aggravata’, come definito nella norma E3.2, in quanto include un riferimento, implicito o esplicito, alla razza e/o all’origine etnica».
Praticamente Bentancur avrebbe screditato il gioco stesso del calcio per una battuta da locker-room che sì poteva essere risparmiata, ma che non ha dato fastidio neppure al diretto interessato né a coloro che si sarebbero dovuti offendere, ovvero i coreani i quali, al contrario, non hanno alzato nessun polverone. Il caso è invece scoppiato in Inghilterra, alimentato da coloro che decidono chi, come e quando debba sentirsi offeso, che addirittura vogliono sensibilizzare le persone a sentirsi offese, ovvero gli interna(u)ti dei social occidentali e le federazioni nel pallone britanniche.
Sorvolando sul fatto che anche in questo si cela una certa dose di endemico razzismo o comunque di complesso di superiorità britannico, altrimenti si capirebbe pure che certe espressioni in certi luoghi sono all’ordine del giorno e non certo passibili di discriminazione/offesa – a proposito di Uruguay e di Cavani il caso di ‘negrito’ è davvero emblematico –, ebbene sorvolando su questo possiamo solo ragionare sulla morale della vicenda: per una battuta infelice, assolutamente trascurabile (e trascurata dalle ‘vittime’) Bentancur rischia di saltare una decina di partite, una pena che non si infligge neppure a chi in campo colpisce un avversario con una testata.
Questo corromperebbe il football, secondo i signori della FA. Ci sarebbe da ridere se solo non ci fosse da riflettere, più che da piangere. E probabilmente da comprendere che questo gioco perverso, corrotto sì ma non certo da Bentancur, questo gioco che gioco non è più almeno ad alti livelli, ha smesso, e ormai da tempo, di rappresentarci.