Ritratti
17 Luglio 2024

Il sopracciglio di Jaap Stam

Se un episodio può spiegare l'uomo.

Mia nonna mi raccontava spesso di quando, in piena Seconda guerra mondiale, suo papà era rimasto ucciso in treno sotto un bombardamento alleato. Mio padre cercava di trasmettermi un po’ dell’adrenalina accumulata durante gli scontri tra fazioni politiche ai quali aveva assistito nel Sessantotto, dicendomi di quel carissimo amico rimasto ferito da un colpo di chiave inglese. Io, prodotto di una generazione che – per sua fortuna – la violenza l’ha sublimata in riprese di guerra scrollate tra le stories di Instagram e nelle serie tv, farò fatica a trovare aneddoti da tramandare ai miei figli per dar loro un’idea di ciò che significa vivere Storia con la S maiuscola. Sarò costretto a cercare tra le infinite diapositive di seconda e terza mano stampate nel mio cervello di eterno spettatore, ma da malato di calcio sono certo che prima o poi sceglierò un’immagine che ho chiara in testa come l’abbia vista ieri: quando hanno ricucito il sopracciglio di Jaap Stam.

Euro 2000 in Belgio e Olanda. Ho sedici anni e sono appena stato bocciato a scuola, ma da giorni lo nascondo ai miei genitori per evitare che mi impediscano di seguire il torneo come ritorsione. Gli Orange padroni di casa sono tra i grandi favoriti del torneo e l’11 giugno esordiscono contro la Repubblica Ceca di Pavel Nedved, seconda a sorpresa nell’edizione precedente. È una partita che promette molto, ma più che per i contenuti tecnici di uno scarno 1-0 firmato Frank de Boer su rigore all’ottantanovesimo, sarà ricordata dai posteri per ciò che è accaduto una ventina di minuti prima del fischio finale.

I cechi hanno vinto tutte e dieci le partite del loro girone di qualificazione e, oltre al futuro Pallone d’oro juventino – nel 2000 ancora alla Lazio – possono contare sulle stelle del Liverpool Smicer e Berger, sull’incubo del 5 maggio 2002 interista Karel Poborsky e sul centrale della Fiorentina Repka in difesa. Ma soprattutto su un centravanti di due metri e zero due diventato iconico come il bug più efficace del videogioco Pro Evolution Soccer: Jan Koller.

Il resoconto di quell’incredibile partita

All’epoca all’Anderlecht, ma passato anche dal Borussia Dortmund e dal Monaco, Koller è fuori scala nella realtà di un campo da calcio, ma ancora di più nel mondo videoludico. Ogni pallone crossato in area per la sua testa è un potenziale pericolo e nelle sfide tra amici con il joystick in mano tutti fanno a gara per prendere la Repubblica Ceca e stravincere a forza di poderose incornate dell’ariete di Praga. La sua pelata svetta sempre di una buona spanna sopra quella di tutti gli altri giocatori in campo, ma contro l’Olanda il suo superpotere è messo a dura prova dalla presenza minacciosa e terribile della sua nemesi tecnica: il centrale del Manchester United Jaap Stam. Duro e martellante come una canzone dei Black Sabbath.

Nato a Kampen il 17 luglio 1972 è tra i protagonisti della vittoriosa Champions League 1998-99 dei Red Devils. Stam è uno dei difensori più forti della sua generazione, forse il migliore in attività in quell’antica arte conosciuta come l’intimidazione dell’avversario. È un degno epigono della scuola dei mastini italiani, che ha in Claudio Gentile, Pasquale Bruno e Pietro Vierchowod i professori emeriti e Fabio Cannavaro come primo della classe. Uno stile che in Olanda non ha mai fatto troppi proseliti, ma che oggi è ben rappresentato grazie a Virgil Van Dijk, che come Stam è praticamente insuperabile nell’uno contro uno.

Oltre il metro e novanta, per almeno novantuno chili di peso forma, Jaap ha fattezze e movenze che rimandano al Golem della tradizione ebraica, il mostro plasmato proprio nella Praga di Jan Koller dal rabbino Judah Loew. A pensarci bene, anche l’attaccante ceco sarebbe un serio candidato all’illustre paragone, ma a dispetto del suo gigantismo ha un’aria da bonaccione.

Una leggenda medievale narra che il rabbino Loew, per difendere il suo popolo dai pogrom seguiti all’accusa di aver rapito un bambino cristiano, avesse utilizzato le sue conoscenze cabalistiche per manipolare la melma come, fatto da Dio al momento di creare Adamo.

Era andato sulle rive della Moldava per tracciare una sagoma umana sulla cui fronte aveva scritto la parola ebraica emet (verità). Quindi, aveva recitato una serie di incantesimi e infine, pronunciando un versetto della Genesi (2,7), gli aveva infuso la vita: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.

Sulla spiaggia, si era sollevato un mostro di fango che, in poco tempo, era riuscito a far scagionare gli ebrei dalle accuse di rapimento, ma poi era andato fuori controllo terrorizzando mezza città.
Come il Golem, Stam ha occhi privi di luce e compassione. Vuoti e immobili come quelli di uno squalo bianco in preda alla frenesia da caccia e sempre fissi sulla preda. Come il Golem, Stam ha dimensioni fuori scala e usa il suo fisico prorompente per annichilire chiunque gli capiti a tiro. Andare a sbattere sul suo petto è come scontrarsi con il cofano di un’auto.

Come il Golem, Stam sembra incapace di provare sentimenti ed empatia. Il suo solo obiettivo è completare la missione per cui è stato creato: che sia la difesa della popolazione del ghetto di Praga oppure l’area di rigore di una squadra di calcio.

Con Koller, tuttavia, lo scontro è alla pari e i dieci centimetri in meno dell’avversario lo fanno quasi passare per un nanerottolo. Una condizione che percepisce come inaccettabile, spingendolo a raddoppiare la foga in ogni intervento: dopo meno di un quarto d’ora gli ha già piantato i tacchetti nella coscia.

La Repubblica Ceca è forte, compatta e ha le idee chiare. L’Olanda subisce la pressione di uno stadio monocolore arancione che pretende una vittoria costi quel che costi. Nel primo tempo, Nedved va vicinissimo al vantaggio in due occasioni e, nella ripresa, Stam si fa scappare Koller per un istante e quello per poco non gliela fa pagare. Su una punizione dalla trequarti il totem ceco, spalle alla porta, decolla in verticale e, con il difensore olandese francobollato, colpisce la traversa con uno dei suoi celebri colpi di testa. I compagni si voltano tutti verso Stam che, pur impassibile, ha preso a digrignare i denti per il nervosismo: non ci sarebbe stata una seconda volta.

Quando, per l’ennesima volta, il pallone spiove dal cielo verso Koller – che con il dieci sulle spalle creava azioni smistando di testa – il centrale olandese si avventa a respingerlo. A piedi uniti, salta a più di un metro da terra e ricadendo plana sulla schiena sovradimensionata del gigante ceco. Le due teste pelate si scontrano, producendo un suono di noce di cocco sbattuta su un sasso.

L’arbitro, l’italiano Collina, è a un paio di passi dall’azione e fischia fallo per la Repubblica Ceca, ma guardando Stam capisce subito che nel contrasto ha avuto la peggio. Prima che l’azione possa riprendere deve andare a bordocampo a medicarsi. Stam guarda l’arbitro e poi a terra, con l’attitudine di chi spera che il Poliziotto con la paletta a bordo strada stia rivolgendosi a qualcuno alle sue spalle. Koller ha la faccia stordita di chi è stato travolto da un tornado ma si ritrova ancora vivo e vegeto circondato dalle macerie, mentre il golem olandese sembra avere un sopracciglio segnato. Non sanguina molto, ma forse è perché nelle vene gli scorre solo livore.

Senza paura, né dolore

Non mostra il minimo accenno di dolore né di preoccupazione, ma chi lo vede da vicino sembra decisamente allarmato, come se dalla tv non si riuscisse a percepire tutta la gravità della situazione.

Collina, con coraggio, gli si fa vicino e gli poggia con cautela una mano sulla schiena, invitandolo ad affrettarsi. Accompagnato da un massaggiatore, Stam si avvia di corsa in panchina. Il suo viso tagliente, con il mento e il naso aguzzi e gli zigomi affilati come due accette rivolte verso l’alto, rimane impassibile.

Si siede in panchina, volta la testa di novanta gradi verso la sua spalla destra e, con l’attitudine mansueta ma pericolosa del cobra che si lascia maneggiare dall’incantatore, permette a qualcuno di cingergli il cranio con una mano, evitando che scatti all’improvviso per azzannare. La sua testa, racchiusa nel palmo della mano sconosciuta, pare un enorme uovo di dinosauro. La bocca serrata, l’occhio sano perso nel vuoto con un’espressione scocciata, Stam viene letteralmente ricucito sul posto con ago, filo e una pinzetta metallica. Il cronista inglese parla di “un po’ di chirurgia estetica”, ma sembra più una scena da film splatter.

Il difensore non cambia espressione durante l’intera procedura e alla fine, provando a riaprire l’occhio ferito, mostra un livello di fastidio più basso di quello che un comune mortale riserverebbe a un moscerino. Di quelli davvero davvero piccoli.

Il taglio, tuttavia, non è ancora stato richiuso. Anzi, si riapre mostrandosi alle telecamere nella sua dimensione reale: più o meno quella di una mezza albicocca. Con flemma, Stam continua a mostrare la più assoluta insensibilità al dolore, ma il medico della nazionale comincia a innervosirsi e a compiere gesti sempre più rapidi e scorbutici con le mani, tirando il filo con le pinzette con un po’ troppa foga. La sua concitazione estrema porta il paziente a corrugare la fronte. Nulla più.

Dopo quasi un minuto di furioso infilza e strappa – non dà affatto l’idea di qualcosa di rilassante come un pomeriggio di cucito – Stam si rialza in piedi, pronto a rientrare in campo e ad azzannare di nuovo alla giugulare quel bonaccione Koller. Qualcuno, però, lo frena – forse lo stesso CT, Rijkaard – invitandolo ad andare negli spogliatoi. Forse per rifocillarsi bevendo un litro di sangue umano, ma non ci sono certezze.



L’aneddoto dei punti in faccia è una metafora quasi perfetta del modo di giocare di Jaap Stam, difensore centrale nato come terzino destro che dell’aggressività ha fatto una cifra stilistica, ma che a guardare bene i suoi numeri non ha mai ricevuto un’espulsione diretta in tutta la carriera. Si arrabbiava, tanto. Metteva paura a tutti, ma sapeva innanzitutto controllarsi, mitigando la forza potenzialmente devastante del suo corpaccione.

Per spaventare un avversario non aveva bisogno della violenza, che pure sprigionava con i suoi anticipi puliti, i colpi di testa in elevazione e le scivolate: gli bastava uno sguardo.

PSV Eindhoven, Manchester United, Lazio e Milan sono le squadre con le quali ha mostrato il suo meglio, vincendo una Coppa Italia in biancoceleste – in un periodo difficile a causa del fallimento delle società del presidente Cragnotti – e partecipando alla sfortunata finale di Champions League di Instambul in cui i rossoneri vengono rimontati dal Liverpool da 3-0 a 3-3.

Quando ho lasciato lo United ero furioso” ha raccontato in un’intervista recente, ma in Italia, dal 2001 al 2006, Stam si è costruito la fama di marcatore implacabile e leader di reparto nella patria d’elezione dei più grandi difensori della storia, costituendo con Nesta o Mihajlović coppie formidabili. “Giocare con un grande campione come Alessandro però fu bellissimo, riuscimmo ad avere subito una grande intesa, in campo e fuori. Prima alla Lazio e poi al Milan” ha raccontato. “Non ricordo un avversario che l’abbia saltato nell’uno contro uno” ha detto di lui un’altra leggenda laziale, Luca Marchegiani.

Nei tributi che si trovano su internet, frequenti soprattutto da parte dei tifosi biancocelesti, Stam si esibisce nei gol di testa su calcio d’angolo – sua specialità, tanto che al Milan ne realizzò un paio in due differenti derby – gran bordate con cui risolve mischie a in area, scivolate pulite e decise e, soprattutto, in risse da saloon con l’attaccante avversario di turno. Memorabile quella con un tremebondo Parente, centrocampista dell’Ancona, che prova a rifilargli un calcetto di reazione e se lo vede piombare addosso a petto in fuori, le manone ben strette intorno al collo e gli occhi da pazzo. Stesso trattamento riservato in Inghilterra nientemeno che a Patrick Vieira.

A guardarlo nelle interviste recenti, con gli occhiali dalla montatura scura, la barbetta appena accennata e la pelata lucida e brillante di sempre, sembrerebbe un professore universitario più dell’uomo che, nel suo momento di massima visibilità mondiale, ha cristallizzato per sempre nel ricordo di tutti l’immagine di un Terminator senza sentimenti né emozioni. Stam è molto di più: “Ho tanti bei ricordi del mio periodo alla Lazio. Ho avuto la fortuna di conquistare un trofeo e soprattutto giocare con tanti grandi campioni, ma la cosa più bella è stata ricevere l’affetto dei tifosi biancocelesti, che mi hanno fatto sentire da subito a casa”.
In fondo, per risolvere le situazioni più complesse – almeno su un campo di calcio – gli è sempre bastato uno sguardo. Glaciale, aggressivo, minaccioso ma che ha fatto innamorare tanti tifosi sugli spalti. Il Golem non ha mai avuto questa fortuna.

Gruppo MAGOG

Tommaso Guaita

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