Il paladino dei diritti LGBT è pronto ad abbracciare il calcio saudita.
Per chiunque di noi al-Ettifaq non è che uno dei tanti nomi per indicare l’attuale dominio saudita sul calcio europeo, smembrato a colpi di petroldollari. Ma nelle ultime ore il club di Dammam – in provincia di al-Sharqiyya, la più ricca e importante regione dell’Arabia Saudita – è diventato particolarmente celebre per l’acquisto (ormai prossimo all’ufficialità) di Jordan Henderson, capitano del Liverpool e della nazionale inglese nonché fiero paladino dei diritti LGBT. Parliamo di uno che ha segnato il primo gol con la maglia dei Tre Leoni ad Euro2020 indossando degli scarpini dai lacci arcobaleno. Mecojoni!, direbbe il Rocco Schiavone di Marco Giallini.
Come a dire: qui parliamo di uno serio per davvero, di un calciatore-impegnato-con-la-testa-sulle-spalle. Henderson, d’altra parte, è sempre stato molto attento a certe questioni, e i laccetti non erano che il pegno estetico di un forte portato etico. Per i suoi discorsi a sostegno degli LGBT, il nostro eroe aveva ricevuto nell’aprile del 2021 una nomination come ‘Football Ally’ (alleato calcistico dell’anno) ai British LGBT Awards. Un riconoscimento meritato: la lista delle nobili azioni di Henderson è infatti piuttosto lunga. In un’intervista del 2019 con The Athletic, il capitano del Liverpool aveva parlato a supporto della campagna Rainbow Laces della Premier League, con toni degni di un Claudio Marchisio: «Sono un genitore, un marito, un figlio e un fratello e l’idea che qualcuno che amo possa sentirsi a disagio in quanto membro della comunità LGBT mi fa pensare: in che razza di mondo viviamo?».
È una domanda lecita, ma la risposta è terribile. Il mondo nel quale viviamo, per rispondere a Henderson, è quello nel quale non solo c’è una chiara ed evidente contraddizione tra ciò che diciamo e ciò che facciamo – lui dovrebbe saperlo bene – ma, peggio ancora, quello nel quale l’ipocrisia che ci contraddistingue non ci frena dal giudicare negativamente o con tono di supposta superiorità un mondo lontano dal nostro. È già accaduto col Qatar, sta accadendo adesso con i sauditi: tutte le belle idee della politica, le nobili campagne delle più importanti aziende occidentali e i petalosi discorsi dei più viziati calciatori europei cadono, con effetto immediato, sotto il colpo dei milioni depositati in cassaforte.
Sono davvero tanti i soldi che vengono dell’Arabia Saudita, ma il loro peso non è quantificabile soltanto in un senso economico. Sarebbe superficiale pensarla così. La montagna di verdoni che sta ricoprendo il calcio europeo ne mette a nudo – una volta di più – le desolanti ipocrisie. Lo ha detto Renzi parlando della Serie A, lo parafrasiamo noi parlando dell’Europa in generale: è un continente morto, ma non lo sa. D’altra parte persino i cadaveri vengono truccati a dovere prima di essere spediti una volta per tutte al Creatore.
A proposito di maschere Henderson, tra una dichiarazione e l’altra, la sua scelta l’ha fatta da tempo: il suo trasferimento in Arabia Saudita è questione di dettagli tra il club saudita e i Reds di Liverpool. A poco è valsa la levata di scudi delle comunità LGBTQI+ per la decisione del giocatore, chiamato a «provare di essere un uomo di parola, che resta fedele a se stesso e ai valori del nostro club». Per quanto ci riguarda, non siamo né sorpresi né amareggiati. Henderson è solo uno dei tanti nomi, e stupirsi del suo atteggiamento significa avere gli occhi foderati di prosciutto (o di propaganda se preferite). Il calcio europeo, sulla questione LGBT – ma anche, come abbiamo detto più volte, su quella BLM –, non è che lo specchio di una cultura che tanto più proclama quanto meno fa. Così Adam Crafton su The Athletic ha semplicemente ribadito quanto su queste colonne abbiamo già scritto in una miriade di occasioni: «se collaboriamo [con l’Arabia Saudita] nella nostra società, siamo tutti complici».
E ancora: «ogni volta sentiamo di questi atleti impegnati che prendono una posizione e parlano per le minoranze, ma gli esempi materiali di questo impegno sono davvero molto rari. […] Quando l’Inghilterra è andata in Qatar, ad esempio, i giocatori hanno collettivamente perso la voce [lost their tongue] dopo anni di allusioni ad ogni tipo di solidarietà».
Noi andiamo addirittura oltre, smorzando i toni colonialisti di chi vuol farvi credere che l’occidente sia l’alveo della civiltà, la massima espressione della tolleranza politica, sociale e religiosa che la storia dell’umanità abbia prodotto. Detto altrimenti: noi ci andremmo cauti col giudicare dall’alto al basso l’Ancien Regime saudita. Soprattutto se il punto di vista dell’osservazione proviene dal nostro mondo.
Quello nel quale mentre si erge a principio etico assoluto l’idea di libertà – nel credo, nella politica, nell’espressione –, si vieta al numero uno al mondo di Tennis di partecipare allo sport in quanto non vaccinato. O quello nel quale dopo mesi di #boycottQatar, come detto, tutte le nazionali nessuna esclusa alla fine vi partecipano come se niente fosse. L’Occidente è quel meraviglioso posto dove se sei russo non puoi partecipare alle Olimpiadi, ma i rapporti – sempre occidentali – coi gasdotti e l’economia russi non si toccano. Infine e soprattutto, l’Occidente è quella parte di mondo che dà lezioni di etica fino a bonifico contrario. Ecco quanto valgono le idee ‘della nostra cultura’. Jordan Henderson probabilmente non lo sa, ma al-Ettifaq in arabo significa ‘accordo’. Una curiosa coincidenza.