Una tale vergogna non può essere di un uomo solo.
Restituire lo sprofondo, l’imbarazzo, la “vergogna” (parola-manifesto della serata bianconera) tecnica, fisica e caratteriale della Juventus di ieri sera è impossibile a parole. Semplicemente, bisogna aver visto la trasferta israeliana: un muro del pianto, come l’hanno brillantemente definita alcuni oggi. C’è qualche dato a fare da spia, come quello per cui dall’inaugurazione della nuova Champions League (1992) mai i bianconeri avevano raccolto così pochi punti nelle prime 13 partite – in questo caso 9 di Campionato e 4 di CL. Ma non è con i dati o con le statistiche che si può spiegare lo stato attuale della Juventus: il punto più basso per il club tanto dell’era Agnelli quanto di questo secolo, il XXI – almeno Calciopoli aveva un perché, mentre per tornare a una Juve così masochista bisogna risalire agli anni ’90 del novecento, forse a quella di Gigi Maifredi.
Il problema è che, in un dibattito talmente rabbioso e urlato da aver travalicato da tempo il confine della razionalità, fatto non più solo da tifoserie contrapposte ma da ultras armati, militarizzati e decisi ad annientare il nemico, è difficile ragionare con lucidità senza essere linciati o lapidati da folle inferocite. Le ali estreme dettano l’agenda, e così il partito anti-allegriano, che avrebbe tante e ottime ragioni dalla sua parte, è invece egemonizzato da giacobini con la bava alla bocca che vorrebbero far fare a Max la stessa fine di Luigi XVI a Place de la Concord, per non dire di Mussolini a Piazzale Loreto. Qualsiasi ragionamento viene abbattuto in partenza, qualsiasi dubbio tacciato di collaborazionismo col nemico:
#Allegriout, punto. Il tiranno deve essere cacciato al più presto.
Comprensibile, per carità. Forse anche giusto, considerato il lavoro di Max (quale?) da quando è tornato sulla panchina bianconera. Come abbiamo scritto in diverse occasioni, Allegri ha enormi responsabilità nel rendimento bianconero di questa stagione; di più, ha responsabilità nel modo in cui ha voluto costruire la squadra, un instant team che non è né l’uno né l’altro, costruito per vincere subito e che invece ha acuito ancor di più i problemi e le contraddizioni di questa vecchia, vecchissima, esausta Signora. Se oggi la Juventus esonerasse Allegri probabilmente ne trarrebbe sollievo, ma non risolverebbe o esaurirebbe il problema, anzi. E una partita come quella di ieri sera lo dimostra.
Dopo un match del genere, paradossalmente, credere che sia tutta colpa dell’allenatore è folle. La Juventus è stata talmente tanto imbarazzante che neanche il peggior tecnico del mondo, pagato dagli avversari, avrebbe potuto fare tanto. Per dirla con Agnelli, intervenuto ai microfoni di Sky Sport dopo la partita, «quando non riesci a vincere un tackle non può essere colpa solo dell’allenatore». Quando non ti muovi, non reagisci, non accompagni l’azione, perdi tutti i contrasti e non conquisti mai una seconda palla, quando ancora dopo neanche un tempo contro il Maccabi Haifa stai sotto 2 a 0 ma potresti tranquillamente perdere 3 o 4 a 0, quando non scendi in campo e (non) giochi in questa maniera, per di più in una partita decisiva, chiaramente il responsabile non è un uomo solo.
Agnelli, intervenuto ai microfoni di Sky dopo la partita, ha usato tre o quattro volte la parola “vergogna”: un termine che, così, non si era mai sentito da un dirigente della Juventus in tempi moderni.
«Provo vergogna e sono molto arrabbiato. C’è da provare vergogna, da chiedere scusa ai tifosi che in questo momento fanno fatica a girare per strada e questo dobbiamo capirlo». Poi ha parlato di un gruppo di 80-90 persone, tra giocatori, staff, allenatore, chiamato a riscoprire valori umani e sportivi; e di un problema collettivo, che per la sua stessa gravità non può certo dipendere da un uomo solo. Un uomo, Allegri, che ripetiamo ha molte colpe, ma che per onestà intellettuale e professionale non può essere indicato come il solo artefice della catastrofe juventina. Soprattutto dopo la serata di ieri.
Come scrive Roberto Beccantini, con la solita lucidità e descrivendo “una resa umiliante”, è certo vero che «nessuno crede più in Allegri e Allegri non crede più in niente, vista l’ennesima formazione-lotteria», tuttavia «ce ne fosse solo uno, di problemi. E comunque, per quanti giorni andremo avanti con la tiritera dei danni irreparabili che Max ha creato, offrendo nuovi alibi a una rosa che, se c’è un orizzonte dal quale andrebbe allontanata, è proprio il muro del pianto?». Ragionamenti che è difficile fare oggi, quando le piazze virtuali brulicano di gente assetata di sangue e decisioni irrevocabili; eppure ragionamenti necessari, fondati su uno stato vegetativo della Juventus che va compreso in profondità, senza dare alibi ai giocatori e deresponsabilizzarli con un solo ed unico capro espiatorio.
In conclusione c’è l’aspetto fisico, decisivo, che da fuori non si riesce a capire quanto sia legato a quello psicologico e quanto invece sia il risultato di una preparazione totalmente sbagliata (nel calcio di oggi, sempre più fondamentale). Per citare Fabio Licari sulla Gazzetta: «la questione fisica non è secondaria. La Juve cammina. E cammina male. Le sue partite sono confuse, lente, oppure frenetiche da improvvisazione. Mucchi di giocatori da un lato, vuoti dall’altro. Sbagliano tutti perché non c’è un senso». Ecco, non c’è un senso: tecnico, tattico, atletico, caratteriale. Niente di niente. La Juventus, come già avevamo scritto, oggi non è nulla.
In questo clima, Allegri è stato attaccato anche per aver detto una cosa apparentemente banale, giustificando l’orrore israeliano: «non è una questione tecnica o tattica, ma di cuore e di passione». In molti hanno fatto notare come Max sia superato anche per questo, per un approccio che quasi mette in opposizione i due aspetti. In realtà Allegri ha semplicemente affermato che, per una disfatta del genere, il problema non può che essere mentale e caratteriale. Basta aver visto la partita per capire che in questa singola occasione non serve scomodare la tattica e la tecnica – al contrario della stagione juventina in cui quello tattico-tecnico è un vulnus profondo ed evidente. Ma ieri sera no: ieri sera è andata in scena la rappresentazione della vergogna, una rappresentazione molto superiore alle forze (e ai demeriti) di un solo regista.