Tra la vittoria di Ferrari e quella di Ducati ci sono moltissime analogie.
Due vittorie due capolavori, molto diversi nello svolgimento e nel significato ma anche molto simili, in particolare in un aspetto decisivo: la componente umana dominante sulla tecnica. Charles Leclerc a Monza, Marc Marquez ad Aragon. Abbiamo visto due campioni assoluti non solo controllare e dominare la tecnica, ma riuscire a metterci del proprio per superare gli altri, più forti, più potenti sulla carta. Quel quid di sangue, cuore e testa che nessuna tecnologia, nessuna macchina potrà mai raggiungere.
Quando la Ferrari arriva a Monza un (grande) pezzo di mondo si ferma, si tinge di rosso, si raccoglie in una liturgia che è il Gran Premio d’Italia. Vincere nel Parco Reale è qualcosa di unico per la Ferrari, per i ferraristi e in particolare per un pilota vestito con lo scudetto del Cavallino Rampante. Charles Leclerc non arrivava certo da favorito, non la sua Ferrari SF-24, diventata ormai terza o addirittura quarta forza del campionato. Solo il sogno o il miracolo poteva far sperare in una vittoria ferrarista a Monza, con queste McLaren, con queste Mercedes, con Red Bull in crisi ma sempre in lotta per il vertice.
IL TRIONFO DI LECLERC
La gara è stata invece un’escalation di emozioni, in primis quell’Oscar Piastri che non ci sta a fare il secondo pilota in McLaren e al primo giro attacca un fortissimo ma un po’ fragile Lando Norris. Un sorpasso da campione che, oltre a portare un po’ di frustrazione in casa Papaya, complice un George Russell sbadato in prima variante, permette a Leclerc di usare la sua dose di intuito e acceleratore, passare in seconda posizione e iniziare a pensare a qualcosa di grande.
A confezionare il capolavoro ci pensa la squadra in rosso che assieme al monegasco scommette sulla strategia di una sosta, tentando di fare un numero impressionante di giri sulle stesse gomme dure. Sembrava un’impresa impossibile vista la velocità delle McLaren e di Oscar Piastri, che nello specchietto sembravano dei mostri impossibili da domare. Ma nel Tempio della velocità capita di vedere dei miracoli. La capacità di essere veloce – ma gentile sulle gomme – di Leclerc ha permesso di controllare seppur col fiato sospeso il rientro Papaya.
Decine di migliaia di tifosi a cantare, a sostenere, a caricare, a spingere la Ferrari e Leclerc nei giri finali. Chi canta prega due volte, diceva Sant’Agostino, il cantare è proprio di chi ama.
Charles Leclerc sulla Ferrari è acclamato e amato. Così si è costruito un altro miracolo sportivo, nuovamente nel Tempio della velocità, come nel 2019 contro il suo futuro compagno, Lewis Hamilton. E poi il bagno di folla che solo il podio di Monza regala. Un’orgia sportiva di passione, sacro e profano, tutto assieme come solo il motorsport sa fare.
“Avevo le stesse emozioni del 2019, guardavo gli spalti ed era incredibile. Monaco e Monza sono le due gare che vorrei vincere ogni anno e io sono riuscito a vincerle entrambe quest’anno”. “Siete incredibili. Grazie per il sostegno e la spinta”. Non sappiamo se sia un predestinato, forse non lo è, ma dopo questo gesto epico a casa nostra, dopo aver vinto quest’anno anche il GP di Montecarlo, Charles Leclerc è nella storia dell’automobilismo e del Cavallino Rampante. E tornano in mente le parole di Roberto Chinchero, più di un anno fa, che rispose a chi metteva in discussione il monegasco in una diretta su Twitch: “Chi critica Leclerc non capisce un ca**o di questo sport.”
Ora il campionato, comunque, è riaperto e la McLaren fa paura anche a Max Verstappen. Sarà da capire se questo trend prosegue e soprattutto com’è possibile che le prestazioni della Red Bull si siano normalizzate anzi siano crollate dopo aver dominato insindacabilmente la prima parte di stagione.
IL TRIONFO DI MARQUEZ
Chi un predestinato, un fenomeno e un campione lo è e lo ha ampiamente dimostrato, è Marc Marquez. Lo spagnolo della Ducati team Gresini ha scelto la sfida alla pensione anticipata e ad inizio anno si è rimesso in gioco, per tornare a vincere. Una scommessa ardua, in cui aveva tutto da perdere. Prestigio, credibilità, status, lo spagnolo ha messo in discussione tutto, per vincere. L’unica cosa che a un pilota come lui, a uno sportivo come lui, interessa.
Ne ha vinte tante Marc, ma questa sfida è diversa, più matura: “uno dei miei giorni più belli: vale tanto, ho scommesso su questo. Una vittoria ora conta più del 2019: dopo 1000 giorni ti dimentichi cosa significa un successo e il mio corpo non lo sa. Ho lavorato tanto per questo.”
Lui che con la GP23, una moto in evidente carenza tecnica rispetto alle ultime Ducati ufficiali, sta facendo il suo miracolo. Restare aggrappato alle zone della classifica che contano, ai podi, alle vittorie. Non ha riaperto il campionato, ma ha dimostrato qualcosa a se stesso. E vale molto di più per i campioni così affamati, terribilmente severi con loro stessi. In molti gli hanno messo pressione, in molti l’hanno criticato aspramente e in certi casi giustamente, in molti l’hanno attaccato quando era a terra, per colpa delle sue cadute e degli infortuni interminabili, e il rumore dei nemici si è fatto sempre più forte negli anni. Ma un campione molto spesso vede più in là degli altri, più in profondità, intuisce di più e meglio degli altri. E lui ha risposto così, riprendendosi una sella della moto migliore, e tornando alla vittoria con un mezzo inferiore.
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C’è un video di Marquez, è un suo briefing ai box, in cui mette in parola l’essenziale proprio riferendosi alle ferite sul suo corpo: “esto no es por placer, esto es para ganar.” Uno schiaffo a chi mette il buonismo, la moralina, al di sopra della guerra che è il motorsport, criticandolo senza saper mettersi nei suoi panni.
Ha una bellezza tutta sua il talento. E’ un po’ come la verità, quando emerge brilla in modo diverso. Emoziona in modo diverso. Fa sentire in armonia chi compie l’atto e chi assiste, una forma d’arte, emozione pura. Nel motorsport moderno molto spesso ci si interroga se la tecnica sia troppo invasiva, troppo penetrante, preponderante. Charles Leclerc e Marc Marquez ci dimostrano che forse è vero, ma forse proprio per questo quando il talento umano riesce a fare la differenza si gode davvero, ci si emoziona davvero, come ritrovare un sapore intenso, antico, ancestrale.