Apologia dell'umano troppo umano fenomeno della MotoGP.
Da qualche tempo, Marc Marquez Alentà sembra non essere più dalla parte del destino. Cade, si scontra con altri piloti, sembra distratto in pista, si fa lanciare in aria dalla sua moto, cade, si rialza, cade e ricade. Al Gran Premio del Sachsenring, pista a lui amica dove negli anni ha dominato a suon di record, nel 2023 ha collezionato ben cinque cadute, l’ultima delle quali durante il warm-up che lo ha portato a decidere di non correre la gara nonostante i medici l’avessero delineato fit to race. “Un pericolo per gli altri e per se stesso”, iniziano a dire in molti addetti ai lavori.
Lui, il protagonista di salvataggi incredibili dopo strisciate a terra mai viste nella storia del motociclismo, sembra non riuscire a smentire queste sirene e ad evitare di cadere a ripetizione, rischiando di farsi (molto) male. I risultati non arrivano, gli anni passano e i mondiali sfuggono; il fisico cambia, la moto e la squadra non offrono prospettive di miglioramento delle performance, gli addetti ai lavori lo criticano, i tifosi lo contestano spesso ferocemente. Marquez, oggi, è sotto pressione come non lo era mai stato nella carriera e nella vita, ferito nella testa e nell’animo prima che nel fisico.
Dopo la brutta caduta del 2020 sul circuito di Jerez, che portò ad una altrettanto brutta frattura all’omero del braccio destro, malcurata e la cui malgestione da parte dell’entourage ha portato a strascichi clinici molto lunghi, non abbiamo più visto quel fenomeno dominare come sembrava fosse destinato a fare ad vitam. Complice l’incostanza di risultati e di presenze, HRC ha perso il suo leader e la bussola dello sviluppo della moto, e ha naturalmente perso terreno nei confronti della concorrenza.
La Honda non solo non è la miglior moto in pista, non è nemmeno vicina in termini di performance a quelle frecce rosse che sembrano le Ducati in mano a Bagnaia, Bezzecchi e gli altri.
Tant’è che oggi, anche i giapponesi dell’ala, quelli del team più potente e blasonato del Circus, sembrano caduti in una crisi sistematica difficile da affrontare. Marquez sta provando a metterci una pezza con il suo talento ma non basta, in MotoGP la tecnologia del mezzo meccanico è ormai preponderante e si sono affacciati nuovi campioni degni di contrastarlo come Fabio Quartararo, Joan Mir, Enea Bastianini (ora anche Marco Bezzecchi) e non ultimo Pecco Bagnaia.
Come tutti gli artisti, lo spagnolo ha degli angoli spigolosi ed oscuri che spesso ha malcelato, uno su tutti la personalissima e a tratti anti-sportiva battaglia contro Valentino Rossi, una sorta di ossessione da parricidio sportivo, culminata nel 2015 con la storica “alleanza” con Jorge Lorenzo per far perdere il decimo titolo al Dottore. Oppure la oggettiva facilità nel rendersi pericoloso in pista, con bagarre troppo aggressive e sportellate spesso al limite del regolamento.
Con il passare del tempo, però, e con l’inevitabile declino di VR46, il motomondiale aveva perdonato i peccati di gioventù e imparato a conoscere il nuovo fenomeno, se non altro a fare i conti con Marquez e con l’asticella sportiva da lui portata molto in alto. Quella stessa asticella che Marc oggi non riesce a raggiungere.
Lui però è così: non riesce ad accontentarsi di fare ottavo o decimo, non riesce ad andare piano, soprattutto mentre si rende conto di non essere efficace in moto. Non riesce ad essere lento, non è nella sua natura: lui o è se stesso, dunque veloce, o cade. Non gli importa. Lui risponde solo al suo daimon interiore, non gliene frega nulla di quelli in pista e ancora meno di quelli fuori dalla pista. Il suo unico scopo è la velocità, l’adrenalina, vincere. Non fa il pilota, ma è pilota, nel senso più puro e sacro. Un manifesto per il motorsport: è il motorsport ad essere pericoloso, non lui. Lui lo interpreta a suo modo ed è il modo di un pluricampione del mondo.
Pochi – se messi alla prova – avrebbero la forza di provarci come fa lui, senza nemmeno prendere fiato. Chi siamo noi per giudicarlo?
Forse l’unico che può capirlo davvero è un pilota di talento, un campione del mondo ma anche un avversario del calibro di Fabio Quartararo, che dopo il GP del Sachsenring ha dichiarato: “capisco benissimo come possa sentirsi, è dall’infortunio del 2020 che qualche volta riesce a strappare qualche podio, ma per me rimane il migliore“. E ancora: “come pilota da il 100% in ogni sessione, qui è caduto e si è rialzato ogni volta cercando di fare meglio. Mentalmente è di certo il più forte ma poi arriva quel momento in cui ti fai male, una frattura al pollice nel suo caso. È strano detto da me, ma voglio congratularmi con lui per ciò che sta facendo”.
Anche Max Temporali, pilota e giornalista, nei suoi canali social sottolinea lo spirito guerriero dello spagnolo: “le botte che ha tirato Marquez in carriera, penso non le abbia tirate nessuno nella storia. Ci sono piloti che sono caduti molto, ma molto meno di lui, facendosi molto più male. È questione anche di fortuna, e Marc ne ha sempre avuta tanta. C’è da dire che è un gatto: rialzarsi e correre ai box, è sempre stato uno degli aspetti più straordinari di questo ragazzo“.
Un sorriso smagliante e solare, occhi svegli, viso placido e tranquillo. Dietro a questa maschera il ferocissimo Marc Marquez si presenta al mondo, come se dovesse celare il suo animale interiore: brutale, ambizioso, predatore. Un pilota dal talento smisurato, dalla fame insaziabile.
Di piloti, di sportivi, di uomini come lui ce ne sono pochi, uno su milioni. Marc Marquez è un numero primo, la sua alchimia di istinto e ragione, di follia e fame agonistica, lo ha portato ad essere uno degli interpreti più brillanti della storia delle corse motociclistiche, e gli permette di affrontare come nessun altro la guida col manubrio in relazione alla velocità, di piegarsi tutt’uno con la moto sfiorando l’asfalto come nessuno, di sfidare la morte. Gli permette di vincere, come nessuno.
Il suo talento è innato, Marc Marquez come tutti i geni non fa ma è, per dirla con Carmelo Bene.
Questo non lo ha messo al riparo dall’essere umano, dal dover fare i conti con la fallibilità, con il corso della storia e con lo scorrere degli eventi. Quel divenire che lo ha portato prima ad essere pluricampione del mondo, incontrastabile e incontrastato nella MotoGP degli anni ’10 vincendo sei delle dieci edizioni del campionato del mondo, e ora a scoprire gli abissi della sconfitta, nel tormento della sua passione. Questa la sua nuova sfida: trovare la forza, in questi inferi sportivi, di rinascere, di tornare a vincere e di mostrarci come si fa.
Immagine di copertina: Marc Marquez Twitter