L'italiano perfetto era pure un attaccante straordinario.
Tutto il fascino di Luca Toni è concentrato nella homepage del suo sito ufficiale. Nove righe semplici ed economiche descrivono una carriera che pochi giocatori al mondo possono vantare. Qualche cifra si affianca alla biografia in una pagina web per il resto scarna al limite del divertente. La foto della sua esultanza in maglia azzurra conclude un progetto grafico tanto povero quanto surreale.
Luca Toni nasce il 26 Maggio 1977 a Pavullo nel Frignano. Campione del Mondo con la Nazionale Italiana nel 2006, con la quale realizza 16 Gol in 47 presenze. Vince la Scarpa d’oro 2006 ed è il terzo giocatore italiano capace di aggiudicarsi il titolo di capocannoniere in un campionato straniero (così si legge dal sito web dell’attaccante modenese).
Cannelloni, peperoni, Luca Toni è una boccata d’aria fresca in una stanza dagli odori pesanti: quelli delle biografie scritte col ciuccio in bocca (Icardi docet), dei capelli fluo dipinti sopra il talento (Neymar), dei bomber da playstation (Kean).
Quanto è bello Luca Toni? Capello lungo il giusto, perfettamente lisciato all’indietro, sempre della stessa lunghezza. 193 centimetri di pura stazza italiana. Un cavallo di quelli per cui il Conte di Montecristo avrebbe pagato oro.
Numero Uno come suggerisce una canzone che lo ha reso icona del web, quella di Matze Knop, perfetto accompagnamento al nostro elogio sfrenato e abbuffone. Dentatura perfetta, sorriso stampato sul volto, squadrato e armonico. La perfezione niente affatto platonica delle forme di Luca Toni, slanciate e possenti, contrastano in tutto con il suo stile di gioco.
Indimenticabile, diciamocelo. Quando Toni riceve il pallone, le opzioni si riducono a puntare la porta avversaria o ad allargare le braccia, per poi girarsi e calciare con violenza inaudita. Allargare le braccia, sì ma come? Con quella postura tutta sbilenca e ingobbita, bensì inadatta ai canoni elementari dell’estetica calcistica, ma perfettamente adatta all’obiettivo – che poi è la traduzione italiana della parola inglese “goal”.
Eccola, goal, l’unica parola ammessa nel vocabolario di un uomo troppo italiano per sporcarsi i neuroni con “erre” mosce à la française, buone solo a prendere per il culo il suo amico di una vita, Franck Ribery. Pure il tedesco, Toni, non è che lo abbia amato particolarmente. Anzi. Toni parla tedesco in Tirolo, annuncia un esilarante titolo di Repubblica del 24 luglio 2010. La notizia è appunto questa: che Toni parla in tedesco. In altre parole, devono pagarlo per fargli parlare una lingua che la simpatia dilagante del ragazzone modenese avverte come una tortura:
«Qui il cibo è buono e le montagne sono belle», annuncia nella reclame.
Al Bayern Monaco Toni gioca dal 2007 al gennaio del 2010, segnando 58 reti in 88 presenze: una caterva di gol. Molti dei quali bellissimi. Su azione, su palla inattiva, di testa, in mezza rovesciata, di destro, di sinistro, al volo. Soprattutto al volo; quasi che in Germania Toni affronti le partite come al campetto sotto casa: giocando a tedesca, appunto.
Luca Toni è un trampoliere dai piedi marcati Lotto. Calzettone all’altezza dello stinco – vezzo che condivide con Francesco Totti, amico e compagno di squadra –, testa bassa quando si tratta di vedere i compagni perché lui può vedere solo la porta. Sembra quasi un difetto, a dirlo oggi. L’attaccante “moderno” deve essere in grado di far giocare la squadra, di passare il pallone ai propri compagni, di arrampicarsi sugli specchi e magari anche di segnare, infine!
Toni, con quelle braccia lunghe e maldestre, quelle gambe sbilenche e quel cubismo palla al piede, con andatura da orango, quelle ossa da dinosauro e quella testa da Signorotto italiano, è tutto tranne che il prototipo dell’attaccante moderno. Ha fisico, chiaramente. Ma la tecnica l’ha lasciata nelle giovanili delle Officine Meccaniche Frignanesi. Dove altro poteva venire fuori, d’altra parte, un operaio dell’area di rigore?
Modena, Empoli, Fiorenzuola, Lodigiani, Treviso, dove iniziano a notarlo. Brescia, sotto Carletto Mazzone, che lo accudisce come un figlio. Vicenza, dove continua a segnare. Ecco che nel 2003 inizia la conquista del Sud; la città è quella di Palermo. Segna 51 gol in 83 presenze. Due dal vivo, me bambino, sono costretto a sorbirmeli in un Lazio-Palermo 1-3. Due gol in perfetto stile Toni: uno di testa, su assist dell’elegantissimo Eugenio Corini, l’altro a porta semi-sguarnita, da avvoltoio dell’area piccola.
Mano destra all’orecchio destro, rotazione compulsiva di polso e collo; è l’esultanza alla Luca Toni. Un’esultanza semplice, in pieno stile Toni. Splendida nella sua semplicità. «Ero a Palermo, a cena con Zamparini e altre persone, e un ragazzo fece quel gesto per farmi notare una bella cosa che aveva appena detto. Io dissi che avrei fatto quel gesto la domenica se avessi segnato. Poi è diventata una scaramanzia e me lo sono portato dietro».
«Batti in aria le mani, e poi falle girar, che se in area c’è Toni, non puoi certo sbagliar», gli cantano i tifosi della Fiorentina.
Alla Fiorentina si forma e si compie il Luca Toni che tutti ricordiamo. Come potremmo non ricordare 49 gol in 71 partite? Come dimenticarci del Mondiale del 2006? Dopo la già ricordata esperienza al Bayern Monaco, dove è anche capocannoniere della Bundesliga, sei mesi magici alla Roma, l’esperienza al Genoa e quella alla Juventus – dove il gol d’esordio a Cagliari è un concentrato di strapotenza fisica e capoccia d’acciaio –, per finire all’Al Nasr, circondato di soldi e belle donne.
Nel giugno del 2012 va alla Fiorentina, dove continua a segnare. Infine, nel luglio del 2013, l’ultimo – eccezionale – lampo, all’Hellas Verona. All’ombra dell’Arena, segna 20 reti in 34 partite, vincendo il titolo di capocannoniere – a 36 anni. Chiuderà con le lacrime agli occhi nel 2016. Numero uno.