I tradimenti non sono tutti uguali. Nella vita si tradisce per noia, per divertimento, per stanchezza, per curiosità, per rivalsa, per interesse, per impulso. Oltre alle varie motivazioni, intervengono altri fattori a complicare la faccenda. Come hai tradito, per esempio: l’hai fatto apertamente con un senso di sfida? Ti hanno beccato/a in flagrante mentre pensavi di farla franca? Hai confessato? Hai negato tutto fino all’ultimo? Ti sei pentito/a? È stata un’avventura prolungata o estemporanea? Cosa cercavi? Rassicurazioni, certezze, brividi che non avevi più?
Poi è importante anche con chi hai tradito: con un estraneo o un’estranea? Con il partner o la partner del tuo migliore amico o della tua migliore amica? Eccetera. Ogni storia è unica, in un caleidoscopio di micro sfumature che non modificano l’unico dato certo: chi subisce un tradimento prova sempre quel mix di stizza, dolore, rabbia e incredulità che lascia l’amaro in bocca.
Il rapporto che i tifosi intrattengono con la propria squadra e i propri calciatori è di tipo puramente passionale.
Questo i sauditi non lo capiranno neppure fra cent’anni (anche duecento, esageriamo un po’ come fanno loro con gli stipendi). Ma è inutile spiegarglielo. Da Mazzola a Rivera, da Riva ad Antognoni, da Totti a Maldini, da Zanetti a Del Piero, solo per rimanere in Italia, il calcio ha saputo offrire storie romantiche, e monogame, nelle quali i protagonisti hanno vissuto insieme felici e contenti, malgrado mille tentazioni. Calciatori e tifosi si sono promessi amore eterno. E così è stato. Ma statisticamente, lo sappiamo bene, queste relazioni perfette sono una minoranza. Si tradisce. Molto. E sempre di più. Con Tinder o con il calciomercato.
Per uno strano scherzo del destino (neppure un pacchetto di algoritmi, astrologi e intelligenza artificiale avrebbe potuto inventarsi di meglio), Milano sarà nel giro di una settimana il palcoscenico sul quale saliranno due traditori (almeno dal punto di vista dei tifosi) per affrontare lo sguardo di 75 mila persone che si sentono ingannate.
29 ottobre, Inter-Roma: Lukaku torna a San Siro. 7 novembre, Milan-PSG: Donnarumma torna a San Siro. Wow.
Due personalità e due vicende radicalmente diverse. Uno fa l’attaccante, l’altro fa il portiere. Uno è nero, l’altro è bianco. Uno è belga, l’altro è italiano. Uno ha cambiato diverse maglie, l’altro era un prodotto del vivaio. Uno se n’è andato due mesi fa, l’altro due anni fa. Uno ha accettato di guadagnare meno, l’altro ha voluto guadagnare di più. Uno è nella parte finale della carriera, l’altro nella parte centrale della carriera. Uno ha tradito restando qui, l’altro ha tradito spostandosi all’estero.
I famosi 75 mila (rappresentanti fisici degli altri milioni di nerazzurri e rossoneri), si sentono comunque feriti da entrambi. E li aspettano. Vedremo cosa succederà. Già, cosa succederà? Pochi istanti dopo la pubblicazione dei calendari, si è scatenato il dibattito sull’accoglienza da riservare. I più inferociti hanno citato come esempio quella dedicata a Luis Figo nel 2000, quando il portoghese si presentò per la prima volta al Camp Nou indossando la maglia del Real Madrid. Fu una roba abbastanza da matti, al punto che Netflix ci ha realizzato un docufilm uscito di recente.
Leggi, approfondisci, rifletti. Non perderti in un click, abbonati a ULTRA per ricevere il
meglio di Contrasti.
Abbonati
Dobbiamo dunque attenderci la solita raffica di urla, fischi, insulti, offese, minacce, sputi, striscioni più o meno aggressivi? L’ipotesi è altamente probabile – certa nel caso di Lukaku, per cui già la curva nerazzurra si è mobilitata per distribuire 30mila fischietti allo stadio. I più controllati suggeriscono di rifugiarsi nell’indifferenza attraverso un silenzio gelido. Ma la passione è passione, difficile reprimerla.
Possibile che siano solo questi due i modi per manifestare il proprio disprezzo? Non esiste una chiave alternativa, magari sorprendente? Forse no. O forse sì.
C’è una frase, a cui è difficile attribuire una paternità, che nasce come motto anarchico dell’Ottocento ed è stata poi ripresa dai movimenti del ’68 e del ’77: “Una risata vi seppellirà”. Il sarcasmo usato come arma offensiva contro il potere. Oppure, come in questo caso, per riparare a un torto subìto. Il tradimento, appunto. Immaginiamo allora questa scena.
Lukaku e Donnarumma entrano in campo. A partire da quel preciso istante ogni loro azione, dalla più elementare alla più rilevante, viene accompagnata da sghignazzate colossali e volutamente assordanti. Pallone toccato da Lukaku? Ridono in 75 mila. Pallone toccato da Donnarumma? Ridono in 75 mila. Così per tutto il match. L’effetto sarebbe spiazzante, perché i due si sono senza dubbio preparati a ricevere ostilità e a fare la figura dei nemici cattivi (scenario scontato). Ma non ad essere ridicolizzati in maniera così plateale. Cosa sarebbe peggio per loro? Il dibattito è aperto.
La soluzione comica, a ben guardare, presenta altri vantaggi. Anzitutto, non è violenta o volgare. Poi è comoda anche per gli spettatori. Se partiamo dalla rilevazione statistica che un giocatore tocca il pallone per meno di 3 minuti (tempo da impegnare nelle risate), ne rimangono 87 per godersi il resto. Ma il vero bonus per i tifosi traditi sarebbe un altro. Molto più invitante. Una situazione del genere, infatti, verrebbe immediatamente amplificata a livello mediatico: social, tv, quotidiani italiani ed esteri… se ne parlerebbe ovunque. E i vari filmati caricati qui e là, diventerebbero una testimonianza destinata a durare.
Lukaku e Donnarumma sarebbero ricordati non più come i soliti mercenari, ma come quelli che un giorno hanno fatto ridere un intero stadio e un’intera città. Una bella condanna, no?