La PTPA ha lanciato la sfida agli organi mondiali del tennis.
Il terremoto che ha provato a scuotere le fondamenta del tennis mondiale, il 18 marzo 2025, ha una portata storica. Una portata paragonabile solo alla leggendaria conferenza stampa nel parcheggio di Flushing Meadows. Era la vigilia dello US Open 1988, e in uno spiazzo venne allestito un palco di fortuna per un momento fondamentale: una prima scissione tra giocatori e ITF (ai tempi la massima entità tennistica, avendo in mano i tornei dello Slam, oggi poco più che un guscio vuoto che vive di ricordi) che avrebbe portato alla nascita dell’ATP Tour nel 1990. L’ATP nasce infatti come associazione dei giocatori professionisti, prima di diventare, in sostanza, l’organizzatore della scena tennistica mondiale.
Nacque in un modo così particolare perché lo US Open rifiutò di concedere la propria sala conferenze per parlare di argomenti spinosi quali l’affollamento del calendario tennistico e una frustrazione nella promozione del gioco. Erano consapevoli che avrebbe potuto scatenarsi il putiferio, visto che alla conferenza organizzata da Hamilton Jordan (che fece anche parte della Casa Bianca durante la presidenza Carter) era presente anche il n.1 Mats Wilander. Così come, alla base della PTPA, che sembra pronta a far scattare una “guerra legale” nel tennis, c’è sempre un totem del tennis, stavolta è Novak Djokovic.
Egli, pur non comparendo nei firmatari del documento depositato dall’associazione giocatori fondata nel 2019 da lui e Vasek Pospisil nei tribunali di New York, Londra e Bruxelles, è certamente il top player più attivo per questo tipo di cause. La causa intentata dalla PTPA ha mirato ai principali organi del tennis mondiale: ATP, WTA, ITIA e ITF. Il documento è composto da 163 pagine, decisamente agguerrite ma non altrettanto ordinate e chiare.
“I tennisti non hanno voce in capitolo sul sistema, nemmeno sui loro corpi, mentre le loro prestazioni garantiscono sempre più soldi e notorietà per gli imputati”.
È questo il concetto dal quale si sviluppa tutto il documento, e da cui prendono il via le argomentazioni contro i vari organi governativi e anche contro i tornei. Questi ultimi sarebbero infatti accusati di essere “complici” con le sigle citate in giudizio, mirando al proprio arricchimento senza dare la giusta dignità ai giocatori e al tennis stesso. Ci sono molte parti condivisibili, altre meno. Prima di esplorarle nel dettaglio, è giusto risolvere un paio di questioni: perché Novak Djokovic non ha firmato? E, tra i firmatari, compaiono nomi importanti?
Partiamo dalla seconda domanda: no. I nomi più noti (e ultimamente non certo per meriti tennistici) sono quelli di Nick Kyrgios e Reilly Opelka, che non sono nuovi a profilarsi come oppositori del sistema. Anche solo per fare rumore. Per quanto Pospisil, altro firmatario, abbia precisato su X che «abbiamo parlato con oltre 300 giocatori prima di presentare la domanda e tutti ci hanno sostenuto molto, compresi i migliori. ATP-WTA hanno diffuso così tanta paura nel corso degli anni che non è facile mettere pubblicamente il proprio nome. Ma il supporto dei giocatori per questa iniziativa è innegabile». Eppure le cose sembrano non stare esattamente in questo modo.
Dubitiamo ad esempio che Sinner sia stato contattato o che possa essere d’accordo, visto che viene citato anche in maniera impropria il suo caso doping, ma ci sono anche esempi concreti a confermare le supposizioni. In conferenza a Miami, Carlos Alcaraz chiosava in questo modo sull’argomento: «Ci sono alcune cose su cui sono d’accordo, altre su cui non lo sono. Ma la cosa principale qui è che non la appoggio. Sinceramente, è stata una sorpresa per me perché nessuno mi aveva detto nulla. L’ho solo vista sui social media». Dunque primo punto a sfavore per la PTPA, che pur avendo nel proprio direttivo figure del calibro di Ons Jabeur e Hubert Hurkacz, ha ricevuto solo qualche timido cenno di assenso finora.
Per quanto riguarda Djokovic? Un’indiscrezione di The Athletic aveva lasciato intendere che le intenzioni del serbo fossero di non firmare (almeno in un primo momento) per evitare che si perdesse di vista il nocciolo della questione e diventasse un semplice “Djokovic vs Tennis”. A sorprendere sono poi state le dichiarazioni, durante il torneo di Miami, dello stesso Nole. Che in parte conferma quanto detto sopra, in parte sembra un buon politico che voglia spostare l’attenzione ed evitare di compromettersi. Senza prendere apertamente una parte, ma lasciando intendere:
«Voglio che altri giocatori si facciano avanti. Non sono mai stato un fan o un sostenitore della divisione nel nostro sport. Ma ho sempre lottato per una migliore rappresentanza, influenza e posizionamento dei giocatori a livello globale nel tennis. Ad essere sincero ci sono aspetti con cui sono d’accordo nella causa e altri con cui non sono d’accordo. E ho scoperto che forse alcune frasi erano piuttosto forti, anche se immagino che il team legale sappia cosa sta facendo e che tipo di terminologia dovrebbe usare per ottenere l’effetto giusto».
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Effettivamente i termini usati da parte della PTPA sono abbastanza forti, ma quando si parla di calendario, divisione dei montepremi e problemi di rappresentanza, risulta difficile trattare la parte accusata con i guanti. Siamo tutti d’accordo sul passaggio di non desiderare una divisione del tennis, di voler evitare una guerra che potrebbe arrecare più danni che benefici. Ma, allora, quali sono nel dettaglio le azioni intentate dalla PTPA? Dove maggiormente l’associazione dei giocatori vuole andare a colpire, e tentare di cambiare, gli organi governativi?
Un punto fondamentale è senza dubbio quello dei montepremi e dei guadagni, una questione annosa che più di tutte meriterebbe di essere risolta, visto che nessun altro sport professionistico propone a molti dei suoi giocatori i problemi che sono costretti a vivere i tennisti. I quali, in quanto lavoratori autonomi, non hanno entrate fisse a sostenerli, e tutto è legato ai risultati sportivi. Escludendo un’élite che rappresenta però una percentuale decisamente insufficiente nel panorama del tennis mondiale, i giocatori di secondo piano sono spesso costretti a giocare eventi a squadre o esibizioni per arrotondare, dove peraltro vengono comunque prediletti profili di livello maggiore per avere maggiore attrazione mediatica.
Le storie di notti in macchina e viaggi internazionali in camper – il nostro Berrettini da ragazzo apparteneva proprio alla seconda categoria – non sono assolutamente rare, e il Baseline Program dell’ATP, che garantisce un reddito minimo ai primi 250 al mondo, appare ancora insufficiente. È pur vero che si tratta di un passo comunque importante, alla pari della novità promossa dalla WTA, che si impegnerà a riservare fondi per le atlete che vorranno diventare mamme in una sorta di “permesso di maternità”. I punti principali della causa sono tutti collegati. E le inadempienze economiche vanno di pari passo con i guadagni e le percentuali che vengono riservati ai tennisti:
Il prodotto tennis riserva ai giocatori il 15% del proprio fatturato!
Una cifra infinitesimale e inadatta, che sì dovrebbe far drizzare le orecchie e smuovere le opinioni, soprattutto dei diretti interessati. I giocatori infatti sono coloro che rendono possibile il guadagno di grandi somme ai tornei e ai vari ATP, WTA e ITF. E il paragone sul guadagno di altri sportivi impegnati in leghe professionistiche è assolutamente, ed eccessivamente, impari. Perché sì, come le star del calcio o del basket, anche i primi 100 (80?) possono tranquillamente vivere di tennis, grazie alle sponsorizzazioni e a lauti contratti o cachet per partecipare ai tornei. Ma il n.170 del mondo, paragonabile a un role player in NBA, vive e gioca pensando al guadagno in senso stretto.
Sicuramente è un punto su cui bisogna discutere e dove andare a lavorare, così come lo è il tema legato al calendario. Spesso infatti i giocatori si lamentano di un calendario troppo fitto, troppi tornei, troppi impegni, ma poi giocano le esibizioni solo perché guadagnano tantissimo, esclamano le voci di sottofondo. Premesso che i giocatori hanno pieno di diritto di giocare dove vogliono, anche per una semplice questione economica, il peso di giocare una partita di esibizione, sotto un aspetto soprattutto mentale, è imparagonabile con il giocare in un torneo “vero”, anche per le condizioni.
In un match di esibizione, dove ci si impegna a garantire il massimo dello spettacolo, si fa sempre in modo che chi vi prenda parte sia a suo agio, così da poter scendere in campo e divertire la platea che avrà pagato fior di quattrini. Nei tornei succede sempre così? No, e andiamo così ad analizzare gli ultimi due punti fortemente condivisibili della causa PTPA. Ricordando brevemente, con l’ausilio dei numeri, che le lamentele dei tennisti sull’attività esasperata assumono più le sembianze di capricci che di effettivi problemi.
Rispetto a 30 anni fa ci sono meno eventi (nel 1995 c’erano 90 tornei nel calendario ATP, nel 2024 sono stati 66) e soprattutto i top player giocano molto meno: basti pensare che l’ultimo giocatore (uno dei tre a farlo nel XXI secolo) a giocare almeno 100 partite in un anno è stato Rainer Schuettler nel 2003. Quindi forse la polemica sul calendario lascia un po’ il tempo che trova.
Un punto sul quale soffermarsi è certamente la programmazione giornaliera degli orari di gioco, con un importante neo: i singoli tornei hanno effettivamente troppo potere. Capita non di rado (esemplare il caso Anisimova a Miami, costretta a scendere in campo alle 15 dopo aver vinto in tarda notte il terzo turno contro Andreeva, giocando in circa 18 ore sedicesimi e ottavi 1000) che vengano pubblicati programmi non del tutto condivisibili, sia come scelta di orario che di campi. Non è del tutto sano che il torneo decida in maniera arbitraria, imponendo ai giocatori la scelta.
Questi ultimi non possono rifiutarsi di scendere in campo. O meglio, potrebbero a costo di sanzioni, squalifiche e conseguente perdita di punti.
E chiaramente sarebbe un danno per niente irrilevante. Questo anche a causa del meccanismo di assegnazione dei punti nel ranking che rende obbligatori gli Slam e otto Masters 1000 su nove (eccezione solo per Montecarlo) pena un pesante 0 in classifica in quei tornei, che potrebbe incidere non poco. Insomma, si può anche saltare un evento importante, poi però le conseguenze vanno prese e affrontate. E, sempre anche legandosi al discorso economico e alla necessità di trarre proventi dalla propria professione, non le si può certo digerire a cuor leggero.
Ciò chiaramente, pur non essendolo da un punto di vista legale, rende giocatori e giocatrici troppo dipendenti dai vari organi governativi. È chiaro che i punti finora analizzati necessitano dei miglioramenti. Ma è al contempo vero che il documento della PTPA sembra più una chiamata alle armi raffazzonata che un reale tentativo di prendere in mano e cambiare questa situazione. Non solo per l’esiguo numero di firmatari e la promessa di Pospisil sui nomi importanti, o per un documento caotico e disordinato. Ma anche per alcuni passaggi che, oltre ad essere duri, avrebbero forse necessitato di uno studio ulteriore. Come quello sull’ITIA.
L’ITIA è l’organo ufficiale deputato alla tutela dell’integrità del tennis contro doping e scommesse, i due principali cancri che ad oggi possono mettere in difficoltà il nostro sport. Un punto di primaria importanza, dove probabilmente i legali della PTPA hanno calcato un po’ troppo la mano, e non proprio in maniera adeguata. Per quanto sia infatti indubbio che alcune pratiche dell’agenzia siano ai “limiti del poliziesco”, tra sequestri di telefoni ed investigatori privati non sempre del tutto responsabili, è altrettanto vero che una causa di questa portata dovrebbe basarsi su fatti e storture concreti, non semplici disagi.
Fa sicuramente una buona figura la citazione del caso di Marco Trungelliti, uno dei pochissimi a denunciare un tentativo di corruzione ai suoi danni (non una cosa insolita per i tennisti di seconda fascia), senza ricevere la protezione adeguata. Figura poi decisamente smorzata dal passaggio su Jannik Sinner e i cosiddetti “doppi standard” riguardo al suo caso. Più volte è stato spiegato come il n.1 al mondo si sia avvalso della miglior difesa in circolazione, grazie a mezzi importanti, per andare fino in fondo e risolvere la propria situazione, senza nessuna corsia preferenziale.
La verità dei fatti è che un documento di 163 pagine meriterebbe un’analisi approfondita punto per punto, ma già così è possibile tessere una prima disamina, anche chiara: la PTPA ha degli argomenti di discussione interessanti e delle leve che possono far rumore, ma non è quello il loro obiettivo primario. Come affermato anche da Djokovic, non si vuole andare a dividere il tennis come accadeva negli anni ’70 e ’80, ma semplicemente restituire un ruolo di maggior centralità e tutela ai giocatori. Sono loro in effetti i veri protagonisti del prodotto tennis. Un negoziato extra-giudiziale sarebbe la soluzione migliore per tutti.
Portare il tennis in vari tribunali non farebbe bene a nessuno, rischierebbe soltanto giudizi non tutelati con il rischio reale di perdere quanto costruito in questi 35 anni di ATP.
L’associazione principe, delle 4 sigle citate, ha messo in campo la risposta più dura: “Respingiamo fermamente la premessa delle affermazioni PTPA, riteniamo che il caso sia del tutto privo di fondamento e difenderemo vigorosamente la nostra posizione”. Sempre su quest’onda, seppur in maniera leggermente più smorzata, sono arrivate le repliche anche di WTA, ITF e ITIA. Il vero problema, in parte anche dovuto a un certo orgoglio, sarebbe il dover negoziare da pari a pari con la PTPA.
Una considerazione che gli organi governativi hanno sempre rifiutato di mostrare all’associazione giocatori, che vede oggi in Pospisil l’esponente più attivo. L’impressione, in attesa di ulteriori sviluppi, è che si dialogherà in “maniera informale” per cercare una via di mezzo che non scontenti nessuno. Non dovesse accadere, ricorrendo dunque a un tribunale, ci troveremmo davanti ad una “Guerra del Tennis”. E lì sì che ci sarebbe da preoccuparsi sul serio.